La quarta versione di Giuda – Dario Ferrari

SINTESI DEL LIBRO:
Se, pistola alla tempia, don Tony dovesse dire quali sono le cose che
più detesta del suo lavoro, non avrebbe dubbi:
1. L’alito di suor Tarcisia.
2. La messa delle se e di ma ina.
3. Il giovedì.
Se le motivazioni dei primi due gradini del podio sono evidenti,
per il bronzo occorre forse una precisazione: il giovedì è il giorno
delle confessioni, e le confessioni sono uno strazio a cui don Tony
preferirebbe le fiamme della Geenna.
Da seminaristi, lui e i compagni pregustavano la confessione
come la più sugosa delle mansioni sacerdotali; ed è stato proprio in
seminario che don Tony, ancora solamente, laicamente Antonio, ha
visto La messa è finita, e ha riso del prete che si lamentava perché le
confessioni ruotavano sempre a orno al sesso. Per lui, bisogna dire,
il
sesso non è mai stato un argomento alle ante; sa che tu i,
compresi i colleghi, lo considerano una priorità, se non la priorità.
Lui no. Se Satana cercasse di farlo cadere in tentazione facendogli
trovare nel le o le nudità di una ragazza, o di un ragazzo,
difficilmente lo farebbe capitolare. Piu osto, il Maligno farebbe
meglio a presentarsi con una teglia di melanzane alla parmigiana,
con dei tortelli al ragù e con una se eveli: allora sì che la fede di quei
121 chili di sacerdote vacillerebbe.
Sin da giovanissimo, tu avia, don Tony ha imparato a
dissimulare la sua olimpica indifferenza al sesso, considerata
sospe a (se non foriera di perversioni) perfino (se non sopra u o) in
un prete; e si è rassegnato all’idea di ascoltare tra gli sbadigli le
confessioni a sfondo sessuale che gli sarebbero inevitabilmente
toccate. Contro ogni previsione, però, le confessioni a cui è costre o
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a so oporsi ogni giovedì pomeriggio di sessuale hanno ben poco, e
quando capita di sicuro non gli fanno rimpiangere di averci
rinunciato sine die. Se quindi il mondo intero ruota davvero a orno
al sesso, come tu i ripetono, allora i casi sono due, anzi tre: o è tu o
un sopravvalutato imbroglio freudiano a cui la gente finge di credere
per spirito di omologazione; oppure il sesso è una cosa di cui in
confessione si preferisce non parlare, anche perché ormai solo pochi
nostalgici lo considerano un peccato; oppure il sesso è una cosa che
si fa solo al di fuori della sua parrocchia. Tu e e tre le opzioni gli
appaiono ragionevoli, ma non valgono a lenire la noia cui lo
costringono quelle interminabili sedute di confessione, in cui il
massimo di tensione emotiva che si riesce a raggiungere è uno
schiaffo assestato a un figlio maleducato, seguito poi da grandi (ed
eccessivi, se si conosce il figlio in questione) pentimenti.
Ci sono poi le vecchie che vengono tu e le se imane, e che da
almeno venticinque anni è fisicamente impossibile che abbiano
commesso un peccato (la Pia, per dire, si presenta anche due o tre
volte la se imana, braccandolo in sacrestia o chiedendo un’apposita
sessione di recupero, che poi espia offrendosi di pulire i locali
parrocchiali); i padri di famiglia che trascurano moglie e figli in
favore di calce i e social network; i bambini che rubano qualche
gioca olo o che si toccano (per quanto don Tony abbia messo in
chiaro che tanto il Signore prima dei dicio o anni i peccati li dà per
perdonati d’ufficio) e poco altro. Desolantemente poco altro.
Ha tuonato svariate volte, dal pulpito, cercando di assumere
un’aria da Savonarola, che la confessione è un sacramento di cui non
si deve assolutamente abusare. Ha tu avia dovuto costatare l’inanità
dei suoi sermoni dissuasivi: i fedeli della parrocchia dei Se e Santi
Fondatori, a Viareggio, quartiere Darsena, continuano a presentarsi
ogni giovedì, e probabilmente quelli che vengono regolarmente
manco le ascoltano, le sue omelie, appisolati come danno
l’impressione di essere nei momenti di supposto raccoglimento
(sempre che quelle portentose vecchie e non riescano a raccogliersi e
russare nel medesimo tempo).
Quindi niente: le confessioni si devono fare, e non c’è modo di far
desistere gli oltranzisti di un sacramento che versioni più aggiornate
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della sua religione si sono saggiamente affre ate a depennare. E don
Tony vi si so opone, con la rassegnazione cui lo costringe la sua
natura docile e aliena al confli o, distraendosi regolarmente
pensando a come sarebbero le persone che ha di fronte se avessero
due teste, tre narici o – se solo Dio glielo concedesse! – gli
confessassero una volta tanto un omicidio. Gli omicidi, tu avia,
devono restare appannaggio delle chiese delle metropoli americane,
o al limite di quelle del centro.
È de o comune che si vada dalle pu ane più per fare
conversazione che per fare sesso; evidentemente in Darsena le
pu ane non sono buone ascoltatrici. Lui, in compenso, è considerato
il migliore.
In un certo senso – anzi: in diversi certi sensi – posso essere considerato il
migliore. Questo pensiero si formula quasi inconsciamente nella
mente del do or Ferri, pilastro (si dice) del reparto Ostetricia e
ginecologia dell’ospedale Versilia, nonché pilastro (si potrebbe dire)
della parrocchia dei Se e Santi. Presta quindi la dovuta cura a non
farsi riconoscere, calando il viso nel bavero del cappo o e
camminando a testa bassa. Il freddo lo aiuta, giustificando il
Borsalino e la sciarpa 100% cashmere. Le scarpe, rifle e, potrebbero
tu avia tradirlo: in pochi le portano di taglio e fa ura così fini. Ma in
pochi, si tranquillizza subito, hanno un occhio abbastanza fine da
notare simili particolari. È il bello della provincia: i suoi limiti spesso
si rivelano le sue virtù, per chi li sa me ere a fru o. Certo non gli
dispiacerebbe che qualcuno avesse il buon gusto di soffermarsi sui
particolari, di commentare o anche solo di guardare con la dovuta
malcelata invidia quei pezzi unici di alto artigianato che si fa fare su
misura dall’Antico Calzaturificio Mori di Prato, dove hanno due
riproduzioni dei suoi piedi in legno massello e dove gli
confezionano mocassini che costano l’equivalente della mesata di
un’operatrice sanitaria.
Quanto all’idea di affiare un garage in cui parcheggiare lontano
da sguardi indiscreti la sua Audi Q3, la considera un piccolo colpo di
genio. Prima di allora ha sempre optato per lasciare la macchina in
una piazzola della superstrada, tra un folto cespuglio e il guardrail.
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Un posto che reputava perfe amente sicuro, finché una volta – era in
macchina con il do or Tommasi, un dermatologo dalla loquela
implacabile – il collega si era fermato proprio in quella piazzola,
giustificandosi con lunghe perifrasi tra cui il do or Ferri aveva colto
l’espressione “difficoltà nel controllo della minzione”. Mentre il
collega, anche durante l’a o che faticava a controllare, continuava a
parlare, il do or Ferri si era chiesto se al Tommasi non fosse già
capitato di fermarsi lì. E quel dubbio lo aveva messo in uno stato di
grande apprensione: chissà quante volte il collega avrebbe potuto
vedere la sua macchina infra ata. Bisognava correre ai ripari senza
por tempo in mezzo (gli piacciono le espressioni virilmente risolute).
Ha dunque affiato il garage: e se adesso può accomodarsi con
affe ata lentezza sui sedili in pelle riscaldati, anziché doversi far
riaccompagnare sulla superstrada, è grazie all’inconsapevole
imbeccata del Tommasi, a conferma che anche gli imbecilli possono
rivelarsi utili.
La Pia si chiede se è lei a essere imbecille o la su’ figliola che si
approfi a della sua innata bontà d’animo. Fa o sta che stasera,
nonostante sia giovedì, la figlia l’ha incastrata chiedendole di
guardarle la bimba. Lo sa bene che il giovedì non la deve disturbare,
che il giovedì ha il burraco alle tre, la confessione alle se e, il rosario
alle o o e la pizza surgelata (corre a con mozzarella della Carla,
capperi e acciughe marinate in casa) davanti a MasterChef alle nove e
dieci. E invece quella buona a nulla della figlia ha mandato tu o a
monte chiedendole di andare a prendere Anita a scuola e di
guardarla finché lei non torna. Deve andare a teatro, ha de o. A
teatro! La Pia, che non ama farsi prendere per i fondelli, è andata
subito a verificare, scoprendo che a teatro, quella sera, non ci sarebbe
stato niente.
«Ma te sei proprio si’ura che vai a teatro?» le aveva chiesto al
telefono. «Ho visto poco fa, per combinazione, che stasera al
Politeama un c’è nulla. Magari vi siete sbagliati. Un vorrei che poi
arrivate lì e un trovate lo spe acolo...»
«Non ti dovevi preoccupare, mamma...» La figlia fa una pausa,
ma prima che sua madre possa riprendere aggiunge: «... Comunque
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andiamo con le colleghe a vedere una cosa a Pietrasanta».
Allora la Pia, a cui il tempo non manca, ha verificato nuovamente,
prima di richiamare la figlia. «Marta.»
«Mamma, per favore, sono al lavoro.»
«Io ho lavorato una vita e un ho mai risposto a culo ai miei
genitori. Comunque mi dovresti ringraziare, che perdo tempo per te
solo per evitarti un viaggio fin là per nulla: ho controllato sul
giornale il programma del Comunale di Pietrasanta; dice che il teatro
è in ristru urazione fino a giugno.»
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