Un paese lontano. Cinque lezioni sulla cultura americana – Franco Moretti

SINTESI DEL LIBRO:

 STANFORD, SALERNO. Dietro questo libro ci sono due università: Stanford,
dove ho insegnato il mio ultimo corso di letteratura inglese, nella primavera
del 2016; e Salerno, dove avevo insegnato il primo, nell’autunno del 1979.
Per molti aspetti, i due posti non potrebbero essere piú diversi tra loro:
Stanford è l’università privata piú ricca del mondo, sul bordo di Silicon
Valley; Salerno era una piccola università pubblica, vicina a quello che è
stato a lungo chiamato «l’osso d’Italia»: una regione dura, avara, e poi anche
colpita dal terremoto del 1980. Molti studenti di Stanford hanno frequentato
delle ottime high schools, e se vogliono studiare letteratura hanno a loro
disposizione un dipartimento di Inglese con trenta professori di ruolo; a
Salerno, venivano spesso da scuole dove mancava tutto, e a insegnare inglese
eravamo in due, poco piú che ragazzi. A causa delle bizze del riscaldamento,
in quell’inverno di quarant’anni fa imparai a far lezione in cappotto, a un’aula
piena di cappotti; a Stanford, una cosa del genere sarebbe impensabile. E cosí
via, e cosí via. Ma c’era un tratto in comune: in tutti e due i posti gli studenti
non conoscevano la storia della letteratura. Bisognava fare qualcosa.
RIMEDIO. A Stanford, il dipartimento di Inglese decise di lanciare un corso
sull’arco di tre trimestri – «Literary History» – che facesse da introduzione
generale a dieci secoli di letteratura inglese e americana
1
. Nelle discussioni
che portarono a tale scelta, alcuni colleghi descrissero il corso con un
aggettivo – «remedial», dal latino remedium – che suggeriva l’idea di un
ritorno alla salute dopo una malattia (la radice, mederi, è la stessa di
«medicina»). Insegniamogli quello che non hanno imparato al liceo, disse
qualcuno. E uno capisce la logica, naturalmente; ma gli anni di Salerno, dove
le condizioni erano tanto piú difficili, mi avevano fatto capire che, in fondo,
non importa quel che si ignora; importa quel che si sa, e come lo si sa. Hanno
imparato poco? E allora diamogli di piú. Se non sanno cosa sia la lirica,
stringiamo in un’ora e mezzo i concetti fondamentali del verso e della prosa,
un’analisi del Song of Myself, e qualche riflessione generale su lirica e
modernità. Troppo, in troppo poco tempo? Sí; ma appunto a questo serve
l’università – a sfidare quel che passa per ragionevole. L’insegnamento
diventa una scommessa: l’opposto di quel che «si deve» assolutamente
sapere. O quanto meno: cosí decisi di interpretare il compito che mi era stato
assegnato – e questo libro ne è il risultato.
II.
IL GIOCO DEL MONDO. Con i suoi 60-70 studenti, «Literary History» era
piuttosto grande, per un corso di letteratura a Stanford. Lezioni-conferenza,
ex cathedra, come a suo tempo a Salerno. Ma nel frattempo, qualcosa era
cambiato. A Salerno, avevo davvero insegnato un corso: un lungo
ragionamento unitario sul romanzo di formazione europeo, che si era
sviluppato lentamente lungo due (indimenticabili) anni accademici. A
Stanford, feci di ognuna delle venti lezioni un tutto a sé stante. L’assenza di
continuità era dichiarata, e quasi esibita: tra la prima lezione su «La forma
poetica e l’esperienza della modernità» e il ritorno dello stesso argomento un
mese piú tardi, c’erano due lezioni sul «Campo letterario», due su «Stile e
socializzazione», una sul «Modernismo radicale» e una su «Metropoli e
forma romanzesca». Tre settimane separavano le prime due lezioni sul campo
letterario dalla terza; quattro, la prima lezione su metropoli e romanzo dalla
seconda. Questa scacchiera disegnata un po’ alla buona era perfetta per
mettere a fuoco due aspetti antitetici della storia letteraria, che mi
sembravano entrambi essenziali: per un verso, il permanere di alcune
domande di fondo da una generazione all’altra (che tipo di intreccio ci
permette di «vedere» la struttura della città moderna? è ancora possibile la
tragedia, nel mondo capitalistico?); per l’altro, la straordinaria diversità delle
risposte che erano state di volta in volta trovate. Ogni lezione oscillava tra la
stabilità del paesaggio letterario e le scosse che di quando in quando lo
ridisegnavano per intero
2
. Questa non era la storia della letteratura che avevo
studiato a suo tempo: l’ininterrotta catena di autori e opere dove la continuità
era cosí forte da rendere superflua ogni spiegazione. «Literary History»
faceva troppi salti per far finta di niente. La storia letteraria era diventata un
problema, ed esigeva una soluzione.

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