La guardarobiera – Patrick McGrath

SINTESI DEL LIBRO:
L’attore Charlie Grice era morto.
Un fulmine a ciel sereno, e quella
bella società, gli uomini e le donne
del teatro londinese, si era radunata
per il funerale. Era il gennaio del
1947 e una giornata di freddo
pungente a Golders Green. Ci
assiepammo
nel
cortile
del
crematorio ed eravamo così tanti,
una volta entrati nella grande
cappella, che i ritardatari dovettero
restare fuori. Un tutto esaurito: be’,
Gricey non si meritava di meno. Sul
fatto che avrebbe scelto Golders
Green, invece, qualche dubbio lo
avevamo. Vera, la figlia, indossava
un paio di occhiali scuri e un
cappotto nero di pelliccia. Attrice
anche lei, sembrava provata e si
tenne stretta per tutto il tempo al
braccio della madre. La madre era
Joan Grice, anche lei in nero e con il
velo.
Non
particolarmente
simpatica, Joan, ma come non
provare pena per lei, quel giorno? A
detta di tutti era stato un
matrimonio felice.
Abbiamo sentito descrivere Joan
Grice come una donna stupenda.
Una donna di straordinaria bellezza,
senz’altro, e formidabile. Aveva i
capelli neri senza un filo d’argento.
Li portava tirati all’indietro con una
certa severità, per meglio gettarsi
sul mondo come una falce, era stato
detto. Alta quanto il defunto marito
e di corporatura snella, il viso era
pallido e scolpito, col mento alto, i
lineamenti modellati in una pietra
bianca e dura; l’effetto certe volte
era ieratico. Ma, oddio – ci rincresce
dirlo – aveva i denti inguardabili!
Gialli, neri alla radice e tutti storti.
E come capita a molte inglesi era
forse
questa
l’origine
della
spigolosità del suo carattere, ossia
della sua profonda riluttanza a
sorridere. Ma se la lingua sapeva
essere velenosa, la mente era lucida,
anche nei fumi dell’alcol. Nel lavoro
poi, direttrice di un guardaroba
costumi, Joan era una delle migliori
di Londra.
Per i propri abiti prediligeva una
buona stoffa nera e tagli antiquati,
magari accesi da un tocco di
argento al collo o al polso. Con
l’ago, quando doveva usarlo, poche
erano più brave e veloci di lei. Un
po’ di imbottitura, una sforbiciata,
una piega, uno spillo, un punto – un
rimasuglio di pizzo – e riusciva a
trasformare il capo più anonimo in
qualcosa di elegante e prezioso.
Sotto il cappotto indossava una
giacca squadrata con le spalline e
una gonna aderente. Le gambe
fasciate di pura seta.
Joan era orgogliosa del proprio
lavoro e pretendeva che anche chi
lavorava per lei rispettasse i suoi
stessi elevati standard. Al marito
aveva
sempre
risparmiare,
cercato
non
di
sempre
riuscendovi, la devastazione che era
capace di infliggere ai comuni
mortali. Quando però c’era di
mezzo la loro figlia – ossia quando
si trattava di Vera – era un leone.
La maggior parte dei presenti le era
nota, tranne alcuni – noi lo
sapevamo chi erano, oh sì – che
Joan non aveva mai visto, di sicuro
non era gente di teatro, ma del resto
Gricey aveva frequentato di tutto,
criminali compresi. C’era Sir John
Brogue, e in forma discreta, Joan si
era spesso presa cura dei suoi
costumi, e c’era Madame Anna
Flitch, tutta in bianco, un vago
sorriso sulla faccia malamente
incipriata mentre distribuiva gigli, e
dove diavolo se li era procurati i
gigli in quell’inverno di austerità?
Era venuto anche Ed Colefax, e poi
Jimmy Urquhart, per nulla
imbruttito da un soggiorno in
galera, le amiche di lunga data
Hattie Waterstone e Delphie Dix
la vecchia ballerina ormai su una
sedia a rotelle – e naturalmente
Rupert, al verde, dicevano, ma sì,
parecchi della vecchia guardia,
quelli che erano sopravvissuti alla
guerra... e pensare che Gricey se li
stava perdendo. Si sarebbe divertito
da matti.
Vera nel frattempo teneva
ancora
gli
occhiali
scuri,
avvinghiata al braccio della madre
mentre si dirigevano verso la
cappella, ed era chiaro quanto la
povera ragazza fosse in difficoltà.
Così alta e graziosa, una donna più
statuaria della madre eppure così
fragile
quel
giorno,
davvero
straziante, ci venne da pensare.
Il marito di Vera era Julius Glass,
l’ex impresario, un uomo segaligno,
dalla carnagione giallognola, una
ventina d’anni più anziano di lei, le
stava alla sinistra e aveva accanto
Gustl Herzfeld, un’ebrea rifugiata
che si diceva lui avesse salvato dai
nazisti, un soggetto molto, molto
interessante. A Hattie si era
presentata come la sorella di Julius
ma avevamo i nostri dubbi.
Sembrava francamente improbabile.
Julius era austero e guardingo,
incombeva sulle sue donne come
una specie di airone palustre giallo.
Che cosa Joan provasse per lui quel
giorno lo si poteva soltanto
immaginare, ma correva voce che
Julius e Gricey non fossero in
rapporti idilliaci – per usare un
eufemismo – si diceva addirittura
che Julius fosse lì sui gradini,
quando Gricey era caduto.
Questa a ogni modo era la
famiglia, e tutti insieme vennero
accompagnati verso le prime
panche della cappella e lì presero
posto. Joan sentiva alle spalle un
brusio di chiacchiere, e di tanto in
tanto una risata. Gli volevamo bene
tutti, a Gricey; almeno alcuni di noi.
Poi arrivò la bara. Oh, il momento
più duro, senza ombra di dubbio.
Entrò in scena da sinistra
trasportata
a spalla da sei
marcantoni.
Un
convulso
singhiozzo da parte di Vera, e Julius
la avvolse con il braccio. Joan pensò
che se lo sarebbe scrollato di dosso
e invece Vera si appoggiò a lui
quasi
che altrimenti potesse
accasciarsi sul freddo pavimento di
pietra, povera ragazza. E freddo lo
era proprio lì dentro, da battere i
denti, vedevamo l’alito degli oratori
trasformarsi in nuvolette nella
gelida umidità di quella gremita e
caliginosa cappella. Le previsioni
annunciavano neve per la serata. Ci
tocca,
pensammo,
un altro
maledetto inverno da cani.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo