Jürgen Klopp – Scatenate l’inferno – Raphael Honigstein

SINTESI DEL LIBRO:
La Foresta Nera non è affa o nera, e non è nemmeno una foresta, per
lo meno non più. Mille e o ocento anni fa, le tribù germaniche degli
alemanni erano state le prime ad aprire uno squarcio in
quell’ammasso oscuro per fare posto a villaggi e allevamenti, e i
missionari celti, giunti dall’Irlanda e dalla Scozia armati di fede e
asce, erano penetrati ancora più all’interno finché la natura era stata
domata, il male arginato. Oggi, quel che rimane di quell’oscurità è
per lo più materia prima per gli incubi dei bambini e per gli orologi a
cucù, oltre che un’eccezionale a razione turistica: da tu o il Paese e
da oltre il confine la gente raggiunge a fro e le basse montagne della
Germania sudoccidentale per liberarsi il cuore e i polmoni dalla
desolazione delle ci à.
A partire dal dopoguerra, la Foresta Nera è diventata uno dei
luoghi preferiti dell’industria cinematografica, alla ricerca di scenari
incontaminati, di ambientazioni idilliache per cliniche reali e
immaginate, di uno di quei posti in cui fantasia e realtà possono
fondersi in un incanto. Con buona pace degli sce ici, perché nella
splendida ci adina di Gla en succede proprio questo: le case e
bianche, con i balconi in legno e i te i che sembrano di bisco o, si
adagiano placidamente contro le colline e sorvegliano pendii verdi e
sconfinati. «Alcuni costruiscono in cima alle colline, per far mostra
del loro splendore, mentre gli svevi incastonano le loro case al di
so o di queste, per nascondere la loro magnificenza,» spiega Rezzo
Schlauch, ex membro del Partito dei verdi, parlando della mentalità
modesta dei suoi conci adini. «Tengono le Mercedes in garage e sul
viale o di casa lasciano le Volkswagen.»
Il fiume Gla (che in antico alto-tedesco significa “lucente” o
“liscio”) scende da nord e a raversa la ci adina che prende il suo
nome, lasciandosi alle spalle l’acciaio della J. Schmalz GmbH,
fabbrica di tecnologie per il vuoto. Ci guida discretamente fino alla
strada principale (dove ci sono il concessionario d’auto, la banca, la
pane eria, la macelleria, un fioraio, una bancarella che serve kebab)
e rifornisce un po’ a fatica una piscina naturale, che poi abbandona
nei pressi dei campi sportivi giusto fuori Böffingen, villaggio che è
stato assorbito dall’abitato di Gla en.
Il clima difficile – d’estate piove molto – fa di questi luoghi un
paradiso non concesso ma conquistato, dove una stirpe di tedeschi
frugale e incredibilmente determinata, che lavora durissimo e non
molla di un centimetro, coltiva graminacee e mais e alleva maiali.
Schaffe, schaffe, Häusle baue, “Lavora, lavora e poi costruisciti una
casa”: così recita uno dei de i più conosciuti della regione.
«Lavorare giorno e no e è una delle cara eristiche principali
degli svevi,» dice Schlauch «una cara eristica che affonda le sue
radici nella storia, esa amente come la loro reputazione di popolo
innovativo. In altre regioni, era il primogenito a ereditare la fa oria
dei genitori, ma in Svevia la terra veniva divisa equamente tra tu i i
f
igli; in questo modo, il terreno a disposizione di ciascuno diventava
sempre più piccolo, finché non bastava più a dare sostentamento. Per
questo, a un certo punto gli svevi erano costre i a cercarsi altri
lavori, e molti diventavano inventori o Tüftler, individui che
cercavano nuove soluzioni per problemi antichi.»
Qui tu o si fa con serietà e perizia, incluso divertirsi. Uno dei
qua ordici centri sociali a ivi a Gla en è dedicato al “carnevale”, un
altro riunisce gli amici del pastore tedesco; su una stradina
punteggiata di mucchie i di argilla lasciati dai tra ori, lungo la
quale sorgono numerosi fienili, proprio accanto a un campo coltivato
c’è l’Haarstüble di Isolde Reich, un piccolo negozio di parrucchiere
che è anche luogo di ritrovo e rivendita di calzini fa i a maglia da
una delle amiche di Reich, i cui proventi vengono destinati
all’acquisto di scarpe per i senzate o.
Isolde è nata a Gla en nel 1962, la più giovane di due sorelle. Suo
padre Norbert, fanatico dello sport e portiere di talento ma
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ostacolato da un padre severo – «sosteneva che Norbert dovesse
intraprendere una carriera seria, invece di tentare di diventare un
calciatore professionista» – non aveva avuto la possibilità di provare
a fare sul serio; nonostante questo, le sue ambizioni sportive non
erano diminuite, e aveva giocato a calcio, pallamano e tennis a livello
amatoriale, oltre a cercare di trasme ere la sua passione alla
famiglia. Sua moglie Elisabeth e la figlia maggiore Stefanie si erano
mostrate poco inclini a qualsiasi tipo di a ività, perciò le speranze di
Norbert si erano concentrate su Isolde, prima della sua nascita
(«Nell’album di foto della mia infanzia scrisse: “Isolde, avresti
dovuto nascere maschio”»), e dopo: «Ero la prima bambina in
assoluto a Gla en ad andare agli allenamenti di calcio».
Ad allenarla era Norbert, e i suoi metodi erano rigidi e severi:
portava la piccola Isolde, che aveva solo cinque anni, ad allenarsi al
campo di Riedwiesen, vicino al fiume, dove un pallone vecchio e
pesante era appeso con una corda a una sbarra di ferro verde. Se la
posizione del suo corpo era sbagliata o le sue braccia erano troppo in
alto le faceva fare un giro di campo di corsa per punizione: «Era
severo ma giusto, un uomo di grande integrità, pieno di passione,»
dice Reich.
Nell’estate del 1967, sua madre andò via di casa per un mese:
Elisabeth era al termine di una gravidanza, e il rischio di
complicazioni aveva reso necessario il suo trasferimento in una
clinica di Stoccarda, o anta minuti a nordovest del Paese, dal
momento che il vicino ospedale di Freudenstadt, a soli o o
chilometri e mezzo di distanza, non aveva l’equipaggiamento
necessario a effe uare il taglio cesareo. Per Stephanie e Isolde non fu
facile restare così tanto tempo lontane dalla madre: «Ci fecero una
promessa: “Quando tornerà, la mamma vi porterà qualcosa di
incredibile”».
Quando Norbert ed Elisabeth erano arrivati a casa, però, tenevano
in braccio un neonato che urlava a più non posso; dopo un’ora, le
sorelle si chiedevano se per caso non fosse possibile riportarlo
indietro e cambiarlo con qualcos’altro. Un fratellino, minuscolo e
frignante: che sorpresa schifosa!
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