Il viaggio di Felicia – William Trevor

SINTESI DEL LIBRO:
Felicia continua a sentirsi male. Una donna in bagno le dice:
«Secondo me ti farebbe bene un po’ d’aria fresca. Perché non sali
in coperta?»
Fa freddo in coperta, e il vento le fa dolere le orecchie. Dopo aver
dato di stomaco oltre il bordo però si sente meglio, e torna nella
saletta in cui era prima di andare in bagno. I vestiti che si è portata
per il viaggio sono contenuti in due sporte verdi; i soldi sono nella
borsetta. Le sporte le ha dovute comprare da Chawke’s, cinquanta
pence l’una. C’è stampato sopra il nome di Chawke’s, e il bordo è
decorato con un motivo celtico. Al bureau de change le hanno dato
banconote inglesi in cambio delle sue irlandesi.
Non ci sono molti passeggeri. Un paio di bambini che strillano
fingendo di perdere l’equilibrio continuano a passare davanti alla
poltrona su cui è rannicchiata. Una famiglia siede tranquillamente in
un angolo, tutti con gli occhi chiusi. Due donne anziane e un prete
parlano di corse di cavalli inglesi.
È il traghetto della sera; non ha fatto a tempo a prendere quello
del mattino. «Ecco l’Ireland’s Eye», ha esclamato uno dei bambini
quando il battello si è staccato dalla riva, e allora Felicia si è sentita
al sicuro. Sembra trascorso un anno da ieri sera, quando è sgusciata
fuori dalla stanza che divide con la bisnonna per andare a
nascondere le sporte nel capanno degli attrezzi, dietro un mucchio di
vecchie assi con cui suo padre pensa di costruire una serra. Di
mattina, quando la bisnonna dormiva ancora, ha aspettato nel
capanno finché si è accesa la luce della cucina, il segnale che suo
padre era tornato con l’«Irish Press» comperato da Heverin’s. Poi è
sgattaiolata fuori e per vie secondarie è arrivata in piazza
venticinque minuti prima della partenza dell’autobus delle 7 e 45. Per
tutto il tempo ha temuto di veder comparire suo padre o i suoi fratelli,
e quando l’autobus si è avviato, ha sbirciato dal finestrino coprendosi
il
viso con la mano. Continuava a dirsi che non potevano sapere
ancora dei soldi, che non avevano nemmeno trovato la sua lettera,
ma niente di tutto questo l’aiutava.
Per qualche tempo Felicia dorme, poi torna in bagno. Due
ragazze si stanno mettendo il deodorante, si passano lo stick l’un
l’altra, le camicette sbottonate. «Scusate», dice Felicia dopo aver
rigettato, ma loro dicono che non fa niente. Non può avere più molto,
dentro, pensa, perché quel giorno ha mangiato poco. «Bevi un sorso
d’acqua», le suggerisce una delle ragazze. «Arriviamo tra venti
minuti.» L’altra le chiede se si è ripresa e lei dice di sì. Si pulisce i
denti e una donna le prende lo spazzolino quando lei lo appoggia sul
bordo del lavabo. «Oddio, scusi!» esclama in risposta alle proteste di
Felicia. «Credevo che fosse della nave.»
Tipico suo, andarsene in un momento critico come questo,
direbbe suo padre non potendo contare su di lei per la colazione;
tipico di com’è in questi giorni. Non può aver trovato la lettera fino a
quando non sia andato a portare la colazione alla bisnonna. «Se n’è
andata», avrà detto ai fratelli e non ci sarà stato tempo per dire altro
prima della partenza dei ragazzi per le cave. Si chiede se sia andato
alla Polizia; magari non ha voluto, fatto com’è. Però sarà andato dai
vicini per chiedere alla signora Quigly di dare un’occhiata alla nonna
durante il giorno, di darle le sue gallette e la mezza lattina di
minestra a mezzogiorno, come quando Felicia lavorava ancora nella
fabbrica di carne in scatola.
Viene annunciato l’arrivo. C’è movimento tra i passeggeri che
prendono le valige e si riuniscono obbedienti nello spazio
prestabilito. Le porte si aprono per lo sbarco, entra un fiotto d’aria
fredda, poi la piccola folla avanza nel corridoio. Di sera, quando suo
padre e i suoi fratelli sono rientrati, devono essersi seduti in cucina
con la lettera sul tavolo, il padre scuotendo piano la testa, con aria
triste, come se gli fosse stato riservato un destino particolarmente
duro: tutto è sempre drammatico per suo padre. Uno dei fratelli sarà
andato in McGrattan Street a dirlo ad Aidan, e sulla via del ritorno si
sarà fermato al bar di Myles Brady. Suo padre avrà preparato la
cena per la bisnonna e poi per loro, con faccia impietrita davanti ai
fornelli.
Felicia si sente di nuovo nervosa quando entra, con gli altri
passeggeri, in un tetro edificio vuoto in cui un uomo in divisa le fa
alcune domande. «Ha un documento d’identità?» chiede.
«Come, scusi?»
«Come si chiama?»
Felicia glielo dice. Lui le chiede se ha la patente.
«Veramente non so guidare.»
«Ha qualche altro documento?»
«Di che genere?»
«Una lettera, qualsiasi altro documento?»
Lei scuote la testa. Le chiede se sia cittadina del Regno Unito e
lei dice di no, irlandese.
«È qui in visita allora, signorina?»
«Sì.»
«E qual è il motivo della sua visita?»
«Vado a trovare un amico.»
«Per dove prosegue?»
«Birmingham. A nord di Birmingham.»
«Posso guardare un momento nelle sue borse? Le dispiace
aspettare qui?»
Rovista tra i suoi vestiti e le scarpe nuove che ha comperato.
Teme che dica qualcosa vedendo i soldi nella borsetta, ma l’uomo
non commenta.
«Mi segno l’indirizzo del suo amico», dice. «Me lo dà, per
favore?»
«È che non lo so. Devo trovarlo.»
«Come, non la aspetta?»
«Veramente no.»
«È sicura di trovarlo?»
«So dove lavora.»
L’uomo annuisce. Ha circa l’età di suo padre, una faccia scialba.
Indossa un soprabito nero, aperto davanti.
«Mi dia il suo indirizzo in Irlanda, allora.»
Lei gli dice di essere di Mountmellick, la prima città che le viene in
mente. Gli dà un indirizzo che inventa su due piedi: 23 St Mary’s
Terrace.
«Bene», dice l’uomo.
Nessuno la ferma alla dogana. Si fa indicare da dove partono i
treni. Apprende che il treno per Birmingham parte appena alle due e
un quarto. È mezzanotte passata da poco.
Per qualche tempo dorme nella sala d’aspetto. Sogna di
comperare della carne da Scaddan: il signor Scaddan butta sulla
bilancia un enorme pezzo di fegato e dice di averlo tirato fuori dal
manzo con le sue mani. Ma non è vero; in sogno sa che non è vero;
il
signor Scaddan è famoso per le storie che racconta. Uno dei
giovani Fratelli cristiani entra nella macelleria e il signor Scaddan
dice che è una disgrazia, ma lei non capisce perché. «Ero uscito per
una passeggiata una sera», dice Scaddan al Fratello cristiano. «Giù
vicino ai vecchi serbatoi del gas.» Allora capisce.
Il
treno arriva; manca ancora del tempo alla partenza. Felicia
verifica che sia effettivamente quello giusto, e quando parte si
riaddormenta. Svegliata dal controllore, si sente confusa per un
momento, non sa dove si trova. L’uomo è paziente mentre lei rovista
nella borsa in cerca del biglietto. Vede i tratti pacati di sua madre, un
altro brandello di sogno che le è rimasto impigliato nei ricordi.
«Grazie», dice l’uomo andandosene.
Il sogno della madre è svanito, ma anche se non se lo ricorda, le
ha risvegliato la memoria. «Sbrigati adesso, vai dalla signora
Quigly», le aveva ordinato la bisnonna quel giorno tanti anni fa. «E
di’ a Padre Kilgallen di venire in fretta.» La donna teneva una tazza
di tè davanti alle labbra di sua madre, e sua madre aveva gli occhi
socchiusi; le guance erano color cemento. «Signora Quigly! Signora
Quigly!» Aveva sei anni allora, quando aveva bussato contro la
cassetta della posta dei vicini. Dopo, dovette correre per tenere
dietro al passo frettoloso di Padre Kilgallen in Main Street e sulla
piazza, e quando arrivarono a casa la signora Quigly e la bisnonna
aiutavano la madre nella camera da letto. Padre Kilgallen parlava a
bassa voce. Poi tornarono i suoi fratelli dalla scuola dei Fratelli
cristiani, e Aidan andò a chiamare suo padre nel giardino del
convento. Fu suo padre a coprire con il lenzuolo il viso della madre,
per poi stare con lei ancora per qualche minuto mentre gli altri
aspettavano in cucina e Aidan piangeva. La sua cartella con dentro i
libri di scuola era per terra dove l’aveva abbandonata, azzurra e
lucida, con sopra Minni con le scarpe rosa. «Mi dispiace», disse la
signora Quigly; dopo essersi fatta il segno della croce si tolse il
grembiule: la stoffa fiorata era inadatta al momento. «Grazie a Dio»,
disse Padre Kilgallen perché era arrivato in tempo. «Così ne
seppellisco un altro», disse la bisnonna.
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