Il principe prigioniero – C. S. Pacat

SINTESI DEL LIBRO:
Damen tornò in sé un poco alla volta, le membra drogate grevi sui
cuscini di seta e gli spessi bracciali d’oro attorno ai polsi che pesavano come
piombo. Sollevò le palpebre e poi le richiuse. I suoni che udiva, voci che
bisbigliavano in veriano, all’inizio giunsero prive di senso alle sue orecchie.
Alzati, gli suggerì l’istinto.
Raccolse le forze e si sollevò sulle ginocchia.
Voci veriane?
I suoi pensieri ancora nebulosi, pur giungendo a quella conclusione, non
riuscirono a trovare una spiegazione plausibile. La mente era più difficile da
controllare del corpo. In un primo momento non ricordò nulla di ciò che era
successo dopo la sua cattura, benché avesse la certezza che fosse trascorso
del tempo da allora. Sapeva anche che, a un certo punto, lo avevano drogato.
Cercò di riappropriarsi di quel ricordo, e alla fine ci riuscì.
Aveva cercato di scappare.
Lo avevano trasportato a bordo di un carro chiuso scortato da un numero
imprecisato di guardie fino a una casa ai margini della città. Lì lo avevano
tirato giù a forza in un cortile circondato da mura e… ricordò le campane. Il
cortile si era improvvisamente riempito dei rintocchi delle campane, una
cacofonia che proveniva dalle alture della città e che risuonava nell’aria calda
della sera.
Le campane al tramonto. L’ascesa di un nuovo re.
Theomedes è morto. Viva Castor.
Quando aveva sentito quel suono, il bisogno di scappare, alimentato
dalla rabbia e dall’amarezza che, come ondate, erano tornate ad assalirlo, si
era fatto più forte di qualsiasi precauzione o stratagemma. Lo scatto nervoso
dei cavalli gli aveva fornito l’occasione che cercava.
Ma era disarmato e circondato dai soldati in un cortile chiuso. La rissa
che ne era seguita non era stata piacevole. Alla fine, lo avevano gettato in una
cella nascosta nel ventre profondo della casa e poi lo avevano drogato. I
giorni avevano cominciato a fondersi l’uno nell’altro, sempre uguali.
Di ciò che era successo in seguito ricordava solo vaghi frammenti,
inclusi – e provò una stretta allo stomaco – il rollio delle onde e il profumo
salmastro del mare. Lo avevano trasportato su una nave.
Stava tornando lucido. I suoi pensieri si stavano schiarendo per la prima
da volta da… quanto?
Quanto tempo era trascorso dalla sua cattura? E da quanto le campane
avevano suonato? Per quanto tempo aveva permesso a quella follia di
continuare? Sostenuto dalla forza di volontà, si mise in piedi. Doveva
proteggere la sua casa, il suo popolo. Mosse un passo in avanti.
Lo sferragliare di una catena. Sentì i piedi scivolare sul pavimento
levigato. Aveva le vertigini e il mondo gli ondeggiava davanti agli occhi.
Cercò un supporto e riuscì a restare in piedi con una spalla appoggiata
alla parete. Determinato, lottò per non accasciarsi di nuovo e combatté contro
lo stordimento. Dove si trovava? Ordinò alla sua mente annebbiata di
prendere nota delle sue condizioni e di ciò che lo circondava.
Indossava la veste corta degli schiavi di Akielos ed era pulito dalla testa
ai piedi. Ciò significava che qualcuno si era preso cura di lui, dedusse, anche
se non ricordava assolutamente nulla. Prese atto del collare d’oro e delle
polsiere. Il collare era legato per mezzo di una catena e un lucchetto a un
anello fissato al pavimento.
Per poco non si abbandonò a una risata isterica: la sua pelle emanava
una leggera fragranza di rose.
Riguardo alla stanza, invece, ovunque Damen posasse lo sguardo, i suoi
occhi erano aggrediti dai fregi. Le pareti ne erano ricoperte. Le porte erano
delicate come paraventi e intagliate con un motivo ricorrente che prevedeva
anche dei fori nel legno, attraverso i quali era possibile cogliere una fugace
visione di ciò che si trovava dall’altra parte. Anche le finestre presentavano lo
stesso decoro, e persino le piastrelle del pavimento erano colorate e posate
seguendo uno schema geometrico.
Ogni cosa suggeriva l’impressione di un disegno all’interno di un
disegno e rifletteva i tortuosi meandri della mente veriana. E, all’improvviso,
tutto fu chiaro: le voci veriane; la sua umiliante presentazione al consigliere
Guion; “Gli schiavi sono tutti legati?”; la nave e la sua destinazione.
Si trovava a Vere.
Damen si guardò intorno sconvolto. Si trovava nel cuore del territorio
nemico, a centinaia di leghe da casa.
Non aveva senso. Respirava, il suo corpo era ancora intatto e non era
stato vittima di nessuno ‘scabroso incidente’, come si era aspettato che
accadesse. I veriani avevano tutte le ragioni del mondo per odiare il principe
Damianos di Akielos. E allora come mai era ancora vivo?
Il fragore di un chiavistello attirò la sua attenzione sulla porta.
Due uomini entrarono nella stanza. Osservandoli con circospezione,
Damen riconobbe nel primo uno dei carcerieri veriani della nave, mentre il
secondo era uno sconosciuto. Capelli neri, barba, vestito secondo la moda
locale, anelli d’argento su ciascuna falange di ogni mano.
«È lo schiavo che deve essere presentato al principe?» chiese l’uomo
con gli anelli.
L’altro annuì.
«Hai detto che è pericoloso. Cos’è? Un prigioniero di guerra? Un
criminale?»
Il carceriere si strinse nelle spalle come a dire E chi lo sa? «Non
toglietegli le catene,» suggerì.
«Non essere ridicolo. Non possiamo tenerlo legato per sempre.» Damen
sentì lo sguardo dello sconosciuto indugiare sul suo corpo. Quando, infine,
riprese la parola, il suo tono era quasi ammirato. «Guardalo, persino il
principe avrà il suo da fare con lui.»
«A bordo della nave, quando ha cominciato a creare problemi, è stato
drogato,» lo informò il carceriere.
«Capisco.» Lo sguardo dell’uomo si fece preoccupato. «Imbavagliatelo
e accorciate la catena per la presentazione al principe. Mettetegli accanto una
scorta e, se si dimostrasse troppo difficile, fate quello che dovete.»
Aveva usato un tono sdegnoso, come se Damen non contasse nulla per
lui, come se non fosse altro che una fastidiosa formalità.
E fu allora che Damen cominciò a capire, nonostante le ultime tracce
della droga gli ottenebrassero ancora la mente, che i suoi custodi ignoravano
la sua identità. Un prigioniero di guerra? Un criminale? Rilasciò un
silenzioso sospiro di sollievo.
Doveva restare tranquillo e non farsi notare. Ormai era abbastanza
lucido da comprendere che il principe Damianos non sarebbe sopravvissuto
una notte lì a Vere. Molto meglio essere considerato uno schiavo qualunque.
Lasciò che facessero quello che dovevano, osservando con attenzione le
uscite e valutando la prestanza dei soldati della scorta, che trovò meno
preoccupanti dello spessore dei ferri che lo imprigionavano. Aveva le braccia
legate dietro la schiena, un bavaglio alla bocca e il numero di anelli della
catena legata al collare era stato ridotto a nove, cosicché, anche quando venne
fatto inginocchiare, la sua testa rimase piegata, permettendogli a malapena di
sollevare lo sguardo.
Due guardie lo affiancarono, mentre altre due si portarono ai lati della
porta che gli stava di fronte. Ebbe il tempo, a quel punto, di concentrarsi sul
silenzio carico di curiosità che impregnava la stanza e di ascoltare il battito
sempre più rapido del proprio cuore.
Poi, all’improvviso, un fervere di attività, voci e passi in avvicinamento.
La presentazione al principe.
Il reggente di Vere regnava in vece del nipote, il principe ereditario.
Damen non sapeva quasi niente di lui, se non che era il minore di due fratelli.
Il maggiore, e precedente erede, era morto, di quello era certo.
Una manciata di cortigiani fece il suo ingresso nella stanza.
Erano tutti uguali ad eccezione di uno: un giovane uomo dal volto
bellissimo; il genere di viso che sarebbe costato una piccola fortuna al
mercato degli schiavi di Akielos.
Il suo aspetto catturò subito l’attenzione di Damen. Aveva capelli
biondi, occhi azzurri e un incarnato niveo. Gli abiti severi e pieni di lacci che
lo fasciavano erano di un blu scuro che mal si addiceva alla delicatezza dei
suoi colori e che si scontrava con lo stile carico della stanza. Diversamente
dagli altri cortigiani, non indossava gioielli, neppure un anello.
Quando gli si avvicinò, Damen notò che l’espressione di quel viso
altrimenti perfetto era arrogante e sgradevole. Conosceva i tipi come lui:
narcisi ed egoisti, cresciuti nell’esaltazione del proprio valore e propensi a
esercitare sugli altri tirannie meschine. Individui corrotti e viziati, per farla
breve.
«Corre voce che il re di Akielos mi abbia mandato un regalo,» disse a
quel punto Laurent, il principe di Vere.
***
«Un akielonese in ginocchio. Che bello spettacolo!»
Damen sentiva pesare su di sé lo sguardo dei cortigiani lì riuniti per
assistere alla presentazione dello schiavo al principe. Quando aveva posato
gli occhi su di lui, Laurent si era immobilizzato, il volto pallido come se
qualcuno lo avesse schiaffeggiato o insultato. Nonostante la catena lo
costringesse a tenere la testa bassa, Damen non aveva mancato di notare
quella reazione; così come aveva visto il giovane recuperare immediatamente
il controllo e tornare impassibile.
Damen aveva intuito di far parte di un gruppo di schiavi più nutrito e i
commenti sottovoce di due cortigiani lì accanto confermarono la sua ipotesi,
innervosendolo. Laurent lo stava scrutando da tutte le angolazioni, come se
stesse valutando una mercanzia. Sentì un muscolo della mascella guizzare.
Poi giunse la voce del consigliere Guion. «È stato destinato alla
funzione di schiavo di piacere, ma non è addestrato. Castor ha suggerito che
potreste domarlo voi stesso.»
«Non sono così disperato da dovermi sporcare le mani col letame,»
commentò Laurent.
«Come desiderate, Vostra Altezza.»
«Usate la croce per spezzare il suo spirito. Credo che in questo modo il
mio obbligo verso il re di Akielos possa considerarsi onorato.»
«Sì, Vostra Altezza.»
Il sollievo nella voce del consigliere Guion fu palese. Vennero mandate
a chiamare delle guardie per portarlo via. Damen era certo di aver
rappresentato un problema diplomatico non da poco: il dono di Castor era a
metà tra il munifico e l’offensivo.
I cortigiani si prepararono a lasciare la stanza. Quella farsa era giunta
alla fine. Damen sentì il carceriere chinarsi sull’anello fissato al pavimento.
Lo avrebbero slegato e poi condotto alla croce. Contrasse le dita,
preparandosi, gli occhi fissi sull’uomo, il suo unico avversario.
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