Il respiro del ghiaccio – Brian Freeman

SINTESI DEL LIBRO:
Il respiro del ghiaccio
Sembrano mani che premono per entrare. Le foglie schiacciate dal
vento contro il vetro dell‘auto. . Ma è solo l’effetto della nebbia, che
avvolge tutto intorno a Kasey e fa brutti scherzi alla sua mente. é
solo il senso di colpa. é solo il panico. Perchè Kasey sa di essersi
persa, finendo per sbaglio in quel sentiero sperduto tra i campi.
Perché sa che un‘agente di polizia non dovrebbe avere paura, e
invece, in quella regione in cui da settimane le donne vivono con
un’arma sempre con sé, l’unica cosa che in quel momento la
rassicura è la pistola posata sul sedile accanto a lei. Ma soprattutto
perché sa che, se si trova lì, è per un terribile errore commesso. Di
nuovo mani che sbattono contro il finestrino, ma ora hanno il volto di
una donna, occhi terrorizzati, e una voce. - «Fammi entrare, per
favore» . Non è più un’allucinazione, è realtà, e Kasey non può più
tornare indietro.
Sarà una lunga notte. Anche per i genitori di Callie Glenn, una
bambina di soli undici mesi sparita dalla culla in cui dormiva, nella
ricca villa in riva al lago. Nessuna richiesta di riscatto, nessun
sospetto. Soltanto la consapevolezza che, col passare delle ore, si
affievoliscono le probabilità di ritrovarla. A farsi carico delle ricerche
è il detective Jonathan Stride, che già indaga sulla recente
scomparsa di tre donne della zona. Di loro non è più stata rinvenuta
alcuna traccia, solo segni di colluttazioni violente sul luogo del
rapimento. Per Stride e la sua squadra si preannuncia una corsa
contro il tempo, nel tentativo di districare il doppio mistero. Prima che
la verità emerga, macabra e inesorabile, dal manto della neve.
BRIAN FREEMAN
È autore di thriller venduti in quarantasei paesi e tradotti in diciotto
lingue. Ha esordito con Immoral (Piemme, 2006) , che ha vinto il
MacavityAward come migliore opera prima. Sono seguiti, sempre
presso Piemme e con successo crescente. - Las Vegas Baby (2007)
, La danza delle falene (2008) , Polvere e sangue (2009) . Il respiro
del ghiaccio è finalista ai prestigiosi International Thriller Writers
Awards nella categoria “Miglior romanzo del 2010”.
Esperto di marketing e comunicazione, Brian è molto attivo nella
promozione dei suoi libri, specie sul web. - ama rispondere
personalmente alle mail dei fan e ha creato un profilo su Facebook
per riunire la community dei suoi lettori sparsi per il mondo. In Italia è
stato nominato miglior autore del 2009 dai blogger di Corpi Freddi.
Vive in Minnesota con la moglie.
Colibrì COVER SYSTEM ® www. bfreemanbooks. com/italia. hfml
^jWww.
facebook. com/bfreemanfans (n Italy
BRIAN FREEMAN
IL RESPIRO DEL GHIACCIO
Traduzione di Alfredo Coluto PIEMME LINEAROSSA Titolo
originale: The Burying Place Copyright © 2009 Brian Freeman
Questo romanzo è un’opera di fantasia. Qualsiasi analogia con fatti,
eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.
I Edizione 2011
© 2011 - EDIZIONI PIEMME Spa 20145 Milano - Via Tiziano, 32
info@edizpiemme. it - www. edizpiemme. it Stampa: Mondadori
Printing S.
p. A. - Stabilimento NSM - Cles (Trento)
Per Marcia «Ah, anche tu qui, Iago? Sei stato bravo, tutti ora
addosseranno a te la colpa.»
Otello Prologo Kasey Kennedy guidava fendendo una cascata di
foglie morte.
A ogni folata di vento, proiettili di carta vorticavano fuori dalla nebbia
e sbattevano contro il parabrezza della sua auto. Rat-ta-ta-ta.
Kasey aveva un soprassalto a ogni colpo. Stringeva con forza il
volante e aguzzava la vista per scrutare attraverso la nebbia, ma le
luci dell’auto riuscivano a illuminare a malapena cinque metri di
asfalto bagnato.
Accese gli abbaglianti, ma fu anche peggio. Era come puntare una
torcia elettrica contro uno specchio: la luce le tornava dritta negli
occhi. Il mondo era come un lenzuolo di garza avvolto intorno alla
sua auto. Niente illuminazione stradale. Niente cartelli. Niente linee
di mezzeria. Niente a guidarla. Era cieca e smarrita.
«Ma dove diavolo sono?» si chiese a voce alta.
Di sicuro non era dove avrebbe dovuto essere. Nel tratto in cui
attraversava i terreni coltivati a nord di Duluth, Minnesota, la
Highway 43 procedeva a zigzag e in un punto Kasey doveva aver
sbagliato strada.
Poi, nel tentativo di rimediare all‘errore, aveva svoltato molte altre
volte, con l’unico risultato di perdere del tutto il senso
dell’orientamento. Non poteva essere molto lontana da casa, ma in
mezzo a quella nebbia un chilometro sembrava una distanza
smisurata.
Un’occhiata allo specchietto retrovisore le rimandò la propria
espressione preoccupata. I capelli ricci e di colore rosso acceso le
scendevano sulla fronte, bagnati di pioggia e sudore. I suoi grandi
occhi blu erano velati di lacrime. Gli zigomi lentigginosi erano
arrossati, come quelli di una ragazzina che ha commesso una
marachella. Cercò di sorridere, ma non riuscì a fingere nemmeno
con se stessa. Aveva fatto uno sbaglio terribile. Si era allontanata
dalla faccia della Terra e ora non sapeva più come tornare indietro.
Aveva lasciato a casa il cellulare e non possedeva un navigatore
GPS.
L’unica cosa che la faceva sentire meglio era la pistola sul sedile del
passeggero.
In quel periodo, le donne che vivevano nelle zone rurali del Nord
dormivano, mangiavano e facevano la doccia con una pistola a
portata di mano.
Kasey la portava con sé ogni giorno, per lavoro, tuttavia non aveva
mai dovuto sfoderarla. Lavorava per la polizia di Duluth, ma non era
il tipo di agente che si occupava di spacciatori o di rapine a mano
armata.
Jonathan Stride e Maggie Bei, i capi del Detective Bureau che
gestiva i reati gravi, probabilmente non sapevano neanche chi fosse.
Il suo settore erano i bambini che rompevano le finestre, le teste
calde nei bar di Lakeside; controllava le segnalazioni delle macchine
avvistate in mezzo ai boschi e di solito ci trovava dentro degli
adolescenti che pomiciavano. Era quello il suo pane quotidiano.
In teoria un poliziotto non dovrebbe mai aver paura, ma in quel
momento Kasey era terrorizzata. Erano giorni che non dormiva
bene. Tirava avanti grazie alla caffeina e all‘adrenalina. I suoi nervi,
già a pezzi, minacciavano di cedere nel corso di quel viaggio che
durava ormai da due ore. Incapace di controllare l’ansia, si sentiva
stordita dalla confusione e dal panico.
Guardò nuovamente nello specchietto. «E ora che faccio?»
La pioggerella all‘esterno divenne più intensa. Alcune foglie cadute
si incollarono al vetro, simili a mani le cui dita tese sembravano
volersi fare strada all’interno del veicolo. La nebbia cominciò a
giocarle brutti scherzi. Le pareva di vedere cervi attraversare con un
balzo la strada, sagome di bambini immobili di fronte a lei. Le
allucinazioni erano così reali che, quando vide una macchina ferma
davanti a sé, sterzò con forza per togliersi dalla sua traiettoria e
premette sull’acceleratore per dare velocità alla sua vecchia Cutlass.
Fu un altro errore.
Un errore che avrebbe cambiato tutto.
La strada asfaltata svanì sotto le ruote e si tramutò in uno sterrato.
Rami d‘albero si allungavano da ogni lato a graffiarle le portiere. I
solchi irregolari su cui l’auto procedeva facevano vibrare tutto il
telaio. Non era più sulla superstrada, ma su un sentiero che si
addentrava nella foresta.
Kasey si fermò. La pioggia picchiettava sul parabrezza. Si coprì la
metà inferiore del volto con una mano, il respiro affannato e
rumoroso. Chiuse gli occhi e pregò che la nebbia si sollevasse, ma
quando li riaprì era ancora avvolta nella caligine.
Sapeva di non poter restare lì. Doveva capire dov’era finita e
ritrovare la strada di casa.
Spense il motore, i fari e aprì la portiera. L‘aria di novembre, fredda e
profumata di pino, entrò nel veicolo. Kasey scese e gli stivali
affondarono nel fango. I sempreverdi ondeggiavano sopra di lei
come ubriachi. Superò gli alberi e si addentrò nel buio. Quando i
suoi occhi si furono abituati all’oscurità, vide che si trovava al limitare
di un campo di mais non arato da anni. Steli corti e nodosi
spuntavano dal terreno. Sembrava un desolato panorama lunare.
Molti dicevano di amare l‘autunno del Minnesota, ma Kasey lo
detestava.
Per lei era il preludio al lungo periodo di morte dell’inverno. Gli alberi
si stavano già scrollando di dosso le foglie e somigliavano sempre
più a scheletri congelati. Kasey era felice di sapere che non avrebbe
visto la fine del suo quarto inverno nel Minnesota. Non vedeva l’ora
di fuggire con la sua famiglia nel deserto del Nevada, al caldo, di
doversi riparare gli occhi contro il sole splendente.
Ma quel momento era ancora lontano. Nel presente, la situazione
era ben diversa.
Kasey capì cos‘era successo. Colta dal panico, era uscita dalla
superstrada ed era finita su uno sterrato che conduceva verso una
delle tante fattorie di Duluth. Riusciva a distinguerne il tetto a punta e
le finestre scure. Annusando l’aria, sentì un odore di legna bruciata.
Accanto alla casa scorse la base di una torre d’acciaio e tra i refoli di
nebbia vide anche le pale di un mulino a vento stagliarsi contro il
cielo e girare con lenta eleganza. Tornò rapidamente sui propri
passi. Non poteva rischiare di allontanarsi troppo dall’auto.
Risalì a bordo del veicolo e imprecò quando le chiavi le scivolarono
tra le dita. Si piegò in avanti per recuperarle sul pavimento della
Cutlass e batté la testa sul volante.
Poi sentì un tonfo. Qualcuno batteva sul vetro.
Kasey si tirò su e gridò. A meno di venti centimetri da lei c‘era un
volto di donna, simile a uno spaventapasseri dipinto a colori
sgargianti.
Kasey vide occhi verdi carichi di follia, capelli corvini resi appiccicosi
dall’acqua e due mani premute in un gesto di supplica contro il vetro.
Il collo sottile della donna era circondato da quello che sembrava un
collarino rosso, ma che in realtà era una profonda abrasione dalla
quale gocciolavano perle di sangue.
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