Su una gamba sola- Oliver Sacks

SINTESI DEL LIBRO:

 No, quel mondo, nel suo silenzio immenso, non aveva nulla di
attraente, accoglieva il visitatore a suo rischio e pericolo, anzi non lo
accoglieva, sopportava soltanto la sua intrusione, la sua presenza; da
esso emanavano forze elementari quietamente minacciose, non già
ostili, ma piuttosto mortali in semplice indifferenza.
THOMAS MANN, "La montagna incantata".
La giornata di sabato 24 cominciò coperta e imbronciata, ma con
una promessa di bel tempo a giorno inoltrato. Sarei quindi potuto
partire di buon'ora per la mia arrampicata, attraverso i frutteti e i
boschi che si trovavano all'inizio della salita, in modo da raggiungere
per mezzogiorno, secondo i miei calcoli, la sommità del monte. A
quell'ora probabilmente il cielo si sarebbe schiarito, e dalla cima avrei
potuto abbracciare con lo sguardo un panorama meraviglioso -
tutt'intorno le montagne più basse, che digradavano giù nello
Hardanger Fjord, e il grande fiordo medesimo visibile in tutta la sua
lunghezza «Arrampicata» suggerisce l'idea di picchi rocciosi da
scalare, di corde, ma non si trattava di un'arrampicata di questo
genere; più semplicemente, dovevo salire per un ripido sentiero di
montagna, e non prevedevo alcun particolare problema o difficoltà. Mi
sentivo forte come un toro, nel fiore degli anni, allo zenit della vita;
assaporavo già, con piena fiducia, il piacere della passeggiata.
Ben presto trovai l'andatura giusta - un'andatura
meravigliosamente agile, che mi faceva guadagnare terreno in fretta.
Ero partito prima dell'alba, e alle sette e mezzo avevo raggiunto, credo,
i seicento metri di altezza. Già le nebbie del mattino cominciavano a
diradarsi. Ora salivo per un oscuro bosco di conifere, procedendo più
lentamente, sia per le radici contorte che affioravano sul sentiero, sia
perché ero incantato dal mondo di vegetazione minuta che allignava
nel bosco, e ad ogni passo mi fermavo per osservare una nuova felce,
un muschio, un lichene. Anche così, poco dopo le nove avevo superato
la zona dei boschi e raggiunto il grande cono che costituiva la
montagna vera e propria, dominando il fiordo con i suoi
milleottocento metri circa di altezza. Con mia grande sorpresa, a
questo punto trovai una staccionata con un cancello, che portava un
avvertimento ancora più sorprendente:
ATTENTI AL TORO!
Per coloro che non fossero in grado di leggere la scritta in
norvegese, c'era anche un disegno, piuttosto buffo, di un omino
incornato da un toro.
Mi arrestai, scrutai il disegno e mi grattai la testa. Un "toro"?
"Quassù"? Che ci starebbe a fare, qui, un toro? Non avevo visto
neanche greggi al pascolo, né fattorie, più in basso. Forse era un
cartello inchiodato lì per scherzo dagli abitanti del posto, o da un
escursionista precedente dotato di un discutibile senso dell'umorismo.
O forse c'era davvero un toro, che passava l'estate nella vastità dei
pascoli montani trovando di che sopravvivere tra ciuffi d'erba e rada
vegetazione. Comunque, basta con le supposizioni! Su, fino in cima!
Ora il terreno era cambiato di nuovo. Si era fatto molto sassoso, con
enormi massi di pietra qua e là; ma c'era anche un sottile strato di
vegetazione, fradicio in certi punti perché durante la notte era piovuto,
ma con erba in quantità e anche qualche magro cespuglio - foraggio
sufficiente per un animale che avesse tutta la montagna come pascolo.
Il sentiero era diventato molto più ripido ed era abbastanza ben
segnato, anche se, mi parve, non molto battuto. Non mi trovavo
esattamente in una zona densamente popolata del mondo. Non avevo
visto turisti all'infuori di me, e i valligiani, pensai, erano troppo
occupati nei lavori dei campi, nella pesca e in altre attività, per fare
escursioni sulle alture locali. Tanto meglio. Avevo la montagna tutta
per me! Avanti, più su! Per quanto la cima non fosse visibile, dovevo
già aver superato, calcolai, i mille metri; se il tratto di sentiero che mi
rimaneva da fare era soltanto ripido, ma non insidioso, avrei potuto
raggiungere la vetta per mezzogiorno, secondo i miei piani. E così
proseguii, mantenendo un passo spedito nonostante la pendenza,
benedicendo la mia energia e la mia resistenza alla fatica, e in
particolar modo il vigore delle mie gambe, allenate da anni di faticosi
esercizi e di duri sollevamenti in palestra. Robusti quadricipiti, corpo
vigoroso, fiato lungo, buona resistenza - ero grato alla natura di avermi
così ben dotato. Se mi sforzavo di compiere prodezze fisiche, di fare
lunghe nuotate e lunghe arrampicate, questo era un modo di dire
grazie alla natura e di usare pienamente l'energia che mi aveva
elargito. Verso le undici, quando il diradarsi delle nebbie lo permise,
ebbi la prima fugace visione della cima del monte: non sembrava tanto
lontana, per mezzogiorno "dovevo" farcela. Ancora una foschia sottile
aderiva qua e là, talvolta avvolgendo i massi, rendendo difficile il
distinguerli. Ogni tanto succedeva che un masso, intravisto attraverso
la nebbia, assumesse quasi la forma di un enorme animale
accovacciato, e riuscivo a riconoscerlo soltanto quando lo avevo
raggiunto. Ci furono momenti di incertezza, nei quali mi arrestavo
titubante, cercando di discernere le ambigue forme velate dinanzi a
me... Ma, quando accadde, non fu per niente "ambiguo"!
Non fu in uno di quei momenti che mi apparve la realtà vera; e non
fu per nulla ambigua o illusoria. Anzi, ero appena emerso dalla nebbia;
stavo aggirando un masso grande come una casa, lungo il sentiero che
piegava intorno ad esso impedendomi di vedere oltre, e fu questa
impossibilità di vedere oltre che rese possibile l'"incontro". Mancò
pochissimo che mettessi i piedi su quello che mi si parò di fronte: un
enorme animale, sdraiato sul sentiero a ostruirlo totalmente, la cui
presenza era rimasta celata dal masso tondeggiante. Aveva
un'immensa testa cornuta, un magnifico corpo bianco e una mite
larghissima faccia bianco-latte. Al mio apparire rimase immobile
tranquillo; ma volse verso di me quella sua grande faccia bianca. E in
quel momento "cambiò", davanti ai miei occhi, trasformandosi da
maestoso in assolutamente orribile. La faccia bianca, già enorme,
sembrava dilatarsi sempre più, e i grandi occhi bulbosi mandavano
lampi malvagi. La faccia crebbe e crebbe, sempre più smisurata, finché
credetti che avrebbe oscurato l'intero universo. Il toro divenne
mostruoso - mostruoso oltre ogni dire, mostruoso per vigore,
malvagità e astuzia. Sembrava portare i caratteri dell'inferno impressi
in ogni fattezza.

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