Il coraggio e la paura – Vito Mancuso

SINTESI DEL LIBRO:
La paura stringe e alla vita viene a mancare il respiro, tutti
conosciamo la sensazione. Potenziali portatori del virus, siamo
diventati una minaccia gli uni per gli altri e tutti oggi abbiamo paura
di tutti. Ma se la paura stringe, questo significa che, se si scioglie e
se ne va, la vita torna ad allargarsi e il respiro si dilata e si fa più
profondo; noi diciamo che possiamo quindi «tirare un bel sospiro di
sollievo». Ne abbiamo tutti bisogno, e io vorrei che queste pagine
facessero tirare un respiro di sollievo. Sollievo, direi anche
consolazione, quel nobile veritiero sentimento che si prova leggendo
l’Apologia di Socrate di Platone, i Pensieri di Marco Aurelio, la
Consolazione della filosofia di Boezio, i Saggi di Montaigne, l’Etica di
Spinoza; che si prova ascoltando la musica di Bach, di Händel, di
Beethoven e ammirando l’arte del nostro Rinascimento, in
particolare di Leonardo e di Raffaello; che scaturisce ponendosi
dimentichi di sé al cospetto della forza del mare, del silenzio della
montagna, del mistero del cielo; quel sollievo e quella consolazione
che al sommo livello provengono dal dimorare nel bene e nella
giustizia e che la vita autentica sa dispensare a tutti coloro che la
coltivano.
Sollievo ha la medesima radice di sollevare: occorre sollevarsi un
po’ dalla ristretta prigione di questo quotidiano oppressivo, occorre
salire, anzi risalire, e così prendere le distanze da quella cosa nera
che la sequenza di giorni terribili ha depositato dentro di noi e che
ora ci portiamo dentro, non sappiamo bene dove ma dentro. Quella
cosa nera annerisce, è nera e fa vedere nero, l’orizzonte e il respiro
si scuriscono ed esce aria nera dalle bocche. Se però si individua la
cosa nera attorcigliata dentro, se si riesce ad afferrarne la coda, e
con fatica ma senza mollare la si tira su dalle viscere in cui si è
insediata e si arriva a sputarla dalla bocca, allora anche la vista
torna a schiarirsi e si vede più nitidamente davanti e dentro di sé, e
ci si può sollevare, si trova sollievo e si respira più profondamente,
forse anche adesso.
Vivere richiede fatica, nessuno se lo dimentica, e se anche uno se
lo dimenticasse ci penserebbe la vita, soprattutto di questi tempi, a
ricordarglielo. Però si può almeno imparare a sorridere, e a respirare
più profondamente. Lo si può fare facendo tesoro della saggezza
esistenziale e spirituale distillata lungo i secoli da chi ci ha preceduto
in questa vita, per me rappresentata in particolare dalla sapienza
classica, depositata così intimamente nella nostra lingua, e da una
rinnovata sapienza cristiana, aperta alla filosofia moderna e alle altre
tradizioni spirituali. Questa saggezza amica ci può aiutare a
individuare, comprendere e trasformare la cosa nera dentro di noi.
Per farlo ci vuole un po’ di coraggio, un coraggio gentile e
intelligente. Ecco: il coraggio e la paura. Il coraggio alle prese con la
paura.
2. Prima tesi: la paura non è sempre negativa
e il coraggio non è sempre positivo
Esiste un diffuso pregiudizio riguardo alla paura e al coraggio che
occorre riconoscere e superare, ovvero che la paura, la cosa nera,
sia sempre qualcosa di negativo, e il coraggio, la cosa rossa,
sempre qualcosa di positivo. La realtà invece è diversa.
La paura è un dio, e dicendo dio non intendo una divinità che sta
lassù nel cielo e vive nei secoli dei secoli; intendo piuttosto una forza
che sta quaggiù in terra, precisamente dentro di noi, e che però è più
forte di noi e che ci stringe, secondo il senso antropologico e
culturale del divino su cui mi soffermerò più avanti. La paura ci
afferra, il respiro viene mozzato, e se essa permane si genera
angoscia che può persino produrre terrore, il livello più alto della
scala della paura, come in seguito argomenterò.
Non sempre però la paura è negativa; anzi, saputa interpretare e
controllare, essa può risultare positiva, qualche volta molto positiva,
ci può salvare la vita. Senza paura si ha temerarietà, ovvero
ignoranza che produce sconsideratezza, in quanto si ignorano le
preziose informazioni trasmesse dalla paura con tutte le
conseguenze che ne derivano, talora mortali; e chi ne vuole
conferma chieda alle montagne, ai mari, alle strade. La paura è un
messaggio della vita: se fossimo nell’antica Grecia diremmo che è
un’inviata del dio messaggero, Hermes, che gli antichi romani
chiamavano Mercurio, e come tale essa è ermeneutica e mercuriale.
Lo stesso vale per il coraggio, la cosa rossa. Esso non è il
contrario della paura, perché il contrario del coraggio è la viltà, la
codardia, la vigliaccheria. Il coraggio anzi presuppone la paura, nel
senso che si può essere coraggiosi solo sapendo cos’è la paura e
superandola mediante l’azione del cuore detta per l’appunto
coraggio. Che il coraggio sia associato al cuore lo indica la parola,
formata dal termine latino cor, cordis, «cuore», e dal suffisso -aggio
che la nostra lingua utilizza per indicare l’azione svolta dal sostantivo
a cui lo applica (come per esempio accade in spia-spionaggio,
canoa-canottaggio e tanti altri casi). Il coraggio è l’azione del cuore
che vince la freddezza della mente toccata dall’emozione negativa
della paura. La mente cosciente fa il suo mestiere e infonde paura; il
cuore, in quanto mente cosciente e in più consapevole, fa il suo
mestiere e trasforma la paura in coraggio. Il coraggio è legato al
cuore perché quando si esercita si percepisce un calore speciale nel
petto, in quella zona centrale del nostro essere dove le correnti
fredde dei ragionamenti razionali e le correnti calde delle passioni
viscerali trovano la giusta miscela e formano il calore vitale, quella
forza primigenia e preziosissima che Spinoza chiamava conatus
essendi, «desiderio di esistere», e Bergson élan vital, «slancio
vitale», e che noi possiamo chiamare anche voglia di vivere,
ottimismo, fiducia, speranza, sorriso, respiro profondo.
Il
coraggio esprime forza, e la logica dell’essere è la forza
aggregante costruttrice di relazioni, per cui parlare del coraggio
significa toccare il centro della vita e della sua dinamica. Se il mondo
esiste è perché anche la natura ha avuto e ha, a suo modo,
coraggio; se non l’avesse, essa sarebbe solo natura naturata, cioè
statica, ferma, in un certo senso natura morta, mentre la natura,
grazie alla sua forza interiore, è anche e soprattutto natura viva,
natura naturante, cioè dinamica, evolutiva, progressiva, tant’è che
dalle polveri primordiali, che oggi chiamiamo quark, sono potuti
sorgere la luce della mente e il calore del cuore. È grazie al coraggio
che pervade l’essere. Facciamo parte di un grande romanzo epico
che si va scrivendo ancora oggi, dentro e fuori di noi, e il suo
inchiostro si chiama coraggio: il coraggio in quanto forza dell’essere.
Esercitato dentro di noi, il coraggio è una virtù; come vedremo, una
virtù cardinale.
Ora però facciamo attenzione alle parole perché esse, soprattutto
quando sono antiche, racchiudono un messaggio prezioso. Lo
riconosceva anche Wittgenstein: «Quanto più una parola è vecchia,
tanto più va a fondo».
1Non vorrei annoiare con il latino e con il
greco, ma per favore seguitemi.
Coraggio in latino si dice virtus, sostantivo che significa però
anche virtù, come ad affermare che la virtù per eccellenza è il
coraggio, così per lo meno pensavano gli antichi romani che
anzitutto sulla guerra di conquista avevano costruito la loro civiltà. In
greco coraggio si dice andréia, virtù si dice areté. Ora analizziamo
ognuno dei tre termini: 1) virtus è strettamente legato a vir, che in
latino significa «uomo» nel senso di «maschio» e di «guerriero»;
22)
andréia deriva da anér, andrós, che in greco ha esattamente il
medesimo significato di vir: «uomo maschio guerriero»; 3) areté ha
una significativa assonanza con Ares, il dio della guerra, per cui
anche per gli antichi greci la virtù per eccellenza, almeno nella fase
originaria della loro civiltà, è quella guerresca, come emerge in modo
evidente negli eroi omerici. Ecco per esempio le parole di Achille a
Ettore prima del duello finale: «Ettore, tu, maledetto, non parlarmi di
accordi! Come non esistono patti affidabili tra i leoni e gli uomini, né
possono lupi ed agnelli avere cuore concorde, ma sempre gli uni
degli altri vogliono il male, così non possiamo tu ed io essere amici,
né ci saranno patti tra noi, prima che uno dei due caduto sazi di
sangue Ares, il guerriero armato di scudo».
3
Il coraggio quindi, ritenuto originariamente virtù per eccellenza, ha
una strettissima connessione con la forza esercitata nel
combattimento, con la guerra. Sia i greci sia i romani (i nostri avi, le
nostre radici, cioè noi) concepivano la virtù in primo luogo come
capacità di risolvere i problemi combattendo, come capacità di
affrontare e sconfiggere il nemico con le armi, altra parola, armi, che
ha a che fare con la radice -ar, quella di Ares e di areté. Il coraggio
appare così la virtù guerresca per eccellenza, è strettamente
imparentato con l’imposizione, con la forza esercitata in modo
violento. Ne consegue che una persona sempre e solo coraggiosa,
una persona che non ha paura di niente, è una persona
tendenzialmente pericolosa, soggetta a trasformarsi in un bullo, con
quell’aria predatoria e lo sguardo tipico della persona che «non deve
chiedere mai», come diceva una pubblicità di quand’ero ragazzo.
Oppure, per fare una citazione più dotta, di Simone Weil che si rifà a
Platone: «Il coraggio è la virtù più visibile nella caverna perché
dipende dalla forza».
4
È sbagliato pensare che il coraggio sia sempre solo positivo, così
come è sbagliato pensare che la paura sia sempre solo negativa.
Non c’è niente al mondo che sia sempre positivo o sempre negativo.
L’acqua è la fonte della vita ma può diventare alluvione, il fuoco ci
scalda ma si trasforma in incendio, l’aria ci tiene in vita ma come
uragano semina morte, la terra ci nutre e la chiamiamo madre però a
volte trema e si fa terremoto. Quanto detto dei quattro elementi della
fisica antica vale per ogni altra realtà. Impossibile pensare a
giustizia, verità, bellezza, divinità, senza vederne il lato ambiguo.
Tutto nella vita è soggetto alla contraddizione.
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