Il corpo è una chimera – Wendy Delorme

SINTESI DEL LIBRO:
Il Signor R. è il miglior cliente di Maya. Non il più regolare, ma quello
che paga meglio. Le sedute con lui non richiedono preparazione o
accessori, solo uno scambio di mail per fissare data e ora.
Maya allora prende l’aereo, di cui lui ha pagato il biglietto, perché
lo raggiunga a Parigi, nel solito hotel. Neanche lui abita lì, ma non gli
ha mai chiesto dove. Non sa che lavoro faccia, se è sposato, se ha
figli. Ai clienti non fa mai domande che non riguardino le loro
sessioni. Eppure, molti si confidano con lei, le affidano la loro
intimità.
Il Signor R. parla poco. La prima volta, si sono incontrati dietro la
Gare de Lyon, in un hotel dove Maya dà appuntamento ai nuovi
clienti.
Arriva sempre con una mezz’ora di anticipo. Ha il tempo per
controllare il trucco, entrare nel ruolo. Il Signor R. sembrava così
nervoso che l’ha fatto sedere su una sedia e gli ha offerto un
bicchiere d’acqua. Con un tono tranquillo, gli ha chiesto come
desiderasse procedere.
Lui ha indicato la valigia che aveva portato dicendo con voce
esitante: “Ho alcuni abiti che potrebbero andarle bene...”.
Era una valigia di quelle che non fanno più, senza ruote né
maniglia scorrevole, in cuoio beige, con gli angoli rinforzati, l’interno
foderato. Il contenuto era insolito. Maya si aspettava il solito
armamentario di guêpière in latex, corsetti in cuoio o vinile. Ama la
dolcezza del cuoio e soprattutto il suo odore. Non il latex, che non fa
traspirare a meno di non mettersi il talco, ma odia la consistenza del
talco e il suo profumo da bimba. Il vinile è semplicemente brutto. Ma
i clienti alle prime armi sono attratti dalla lucentezza e dallo spessore
della materia.
La valigia non conteneva niente di tutto questo.
Davanti all’aria perplessa di Maya, il Signor R. ha fatto un gesto
nervoso con la mano. Maya allora si è allontanata dalla valigia
chiedendogli se non volesse lui stesso scegliere l’abbigliamento che
avrebbe dovuto indossare.
Con gli occhi bassi, le ha chiesto se potesse nuovamente
prendersi le misure dei fianchi e del petto, con il metro a nastro che
aveva portato. Maya ha scosso la testa assicurando che il suo peso
non era cambiato dal loro ultimo scambio di mail. La condizione delle
misure sembrava molto importante, era ciò per cui il Signor R. aveva
deciso di rivolgersi a lei. Aveva anche chiesto il numero esatto del
piede.
Maya ha stretto il metro e ripreso tutte le misure lentamente, come
fosse una cerimonia, nel caso tutto questo facesse parte del rituale
di questo nuovo cliente.
Quando gli ha detto a voce alta il risultato delle misure,
perfettamente identiche a quelle che gli aveva dato per mail, il
Signor R. ha risposto con uno sguardo rassicurato e un sorriso quasi
felice. Si è diretto allora alla valigia, da cui ha tirato fuori con cautela
una banale scatola di scarpe.
La scatola conteneva un paio di scarpette bianche con i tacchi, in
cuoio levigato, dalle punte arrotondate. Le ha allungate a Maya,
incerto: “Vorrebbe provarle?”.
Lei si è seduta sul bordo del letto per calzare le scarpette sulle
calze che portava sotto la gonna dritta con lo spacco, scelta per quel
giorno. Anche questa era una scelta che l’aveva resa perplessa,
poiché il Signor R. aveva dichiarato per mail: “Porterò io la tenuta
che deve indossare”.
Non lo voleva aspettare in accappatoio o camicia da notte, nei
quali si sarebbe sentita vulnerabile davanti a uno sconosciuto. Aveva
dunque scelto questa gonna e un corsetto di seta stretto in vita,
leggermente trasparente, con il colletto ricamato. Tutto interamente
nero, colore preferito dai clienti feticisti. Tutto, di lui, faceva pensare
che lo fosse. La sua timidezza, prima di tutto. La sua maniera di non
arrivare mai al punto quando si messaggiavano sotto pseudonimo su
un sito di escort. Le domande sulle sue misure. E poi quelle su ciò
che lei preferiva indossare come materiale.
Si sarebbe dunque aspettata del cuoio, del latex, della seta, pure
del velluto, tutto, tranne che quell’innocente abito estivo, di cotone
blu chiaro, che il Signor R. aveva estratto dalla valigia dopo le
scarpette e teso con un gesto delicato.
Maya ha accarezzato il tessuto e il cliente le ha detto in un
sussurro: “È percalle. Un tessuto molto fitto” – “È morbido”, ha
mormorato Maya presa alla sprovvista. Si è presa il tempo per
apprezzare ogni dettaglio, senza sapere come reagire all’attesa
silenziosa del Signor R.
Il collo rotondo bordato da uno sbieco bianco, la cintura di nastro
anch’essa bianca, così come i bottoni in madreperla che ornavano le
maniche e l’abbottonatura sulla schiena.
Il Signor R. l’ha lasciata vestirsi da sola.
Lei gli ha chiesto se preferiva che si vestisse in sua presenza o in
bagno. Visto che ha farfugliato un “come vuole”, si è spogliata
davanti a lui, pensando di rompere il ghiaccio. Ma vederla mezza
nuda lo ha pietrificato ancora di più e ha abbassato gli occhi mentre
lei si sfilava la gonna e il corsetto.
Lui è rimasto completamente vestito, sistemando il cappotto sullo
schienale della sedia alla quale sembrava incollato da sempre, con
le guance arrossate.
Era un uomo un po’ grosso, con le spalle basse e stempiato. Un
viso quasi banale, la pelle pallida, rasata da poco. Sembrava sulla
cinquantina. Indossava un completo grigio di buon taglio e scarpe da
passeggio nere, come un uomo serio che lavora annoiato in un
ufficio. In questo non era diverso dagli altri clienti. Ma lui emanava
un’aria dolce, disorientata.
Aveva esitato ad affrontare il vero oggetto del suo interesse nelle
prime tre mail, senza avere il coraggio di parlare di tariffe, cercando
di intrattenere una di quelle conversazioni in cui si parla di tutto e di
niente (le piaceva Berlino? E andare a Parigi?) Non aveva niente dei
modi intrusivi dei clienti invadenti.
Al momento di chiudere l’abbottonatura posteriore, Maya si è
presentata al Signor R. chiedendogli come se stesse parlando a una
commessa: “Mi può aiutare?”.
“Certo, questi vestiti sono impossibili da abbottonare da soli, mi
dispiace.” È arrossito.
Maya ha inclinato la testa verso di lui e sorriso per rassicurarlo,
ma lui si è scusato di nuovo di avere le mani fredde quando l’ha vista
rabbrividire al tocco delle sue dita.
Una volta abbottonata, Maya si è rialzata, essendo, sui tacchi,
nettamente più alta di lui. Abbassando gli occhi, lui le ha domandato
se avrebbe accettato di togliersi le calze: “Capisce, il nylon nero non
va con le scarpe bianche... avrei dovuto dirle di portare delle calze di
seta color carne”.
Dopo aver appoggiato le calze sul letto e infilato nuovamente le
scarpe, Maya si è guardata nel grande specchio dell’armadio, quasi
per abitudine, come quando si prepara per uscire di casa. Il vestito le
stringeva leggermente il busto, ma era piacevole, si sentiva tenuta. E
poteva respirare con tranquillità perché la misura era regolabile da
un laccetto inamidato.
Si è sistemata i capelli di riflesso, raccogliendoli in uno chignon.
Istintivamente ha pensato che la scollatura del vestito sarebbe stata
meglio valorizzata dalle spalle nude e i capelli raccolti.
Girandosi per cercare la borsa dove teneva le forcine ha visto il
Signor R., seduto sulla sedia con le spalle ricurve, i pugni serrati,
che piangeva in silenzio.
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