Il compagno don Camillo – Giovannino Guareschi

SINTESI DEL LIBRO:
L'atomica
scoppiò
verso
il
mezzogiorno del lunedì, quando
arrivarono i giornali.
Uno del paese aveva fatto il colpo al
totocalcio vincendo dieci milioni. I
giornali precisavano che si trattava
di certo Pepito Sbezzeguti: ma in
paese non vi era nessun Pepito e
nessun Sbezzeguti.
Il gestore della ricevitoria, assediato
dal popolo in agitazione, allargò le
braccia:
Sabato c'era mercato e ho venduto
un sacco di schedine a dei forestieri.
Sarà uno di quelli. Comunque
salterà fuori.
Invece non saltò fuori niente di
niente, e la gente continuò a
tormentarsi perché‚ sentiva che quel
Pepito Sbezzeguti era un nome che
suonava falso. Passi lo Sbezzeguti:
ci poteva essere uno Sbezzeguti tra i
forestieri venuti al mercato. Ma un
Pepito, no.
Quando uno si chiama Pepito non
può partecipare a un mercato di
paese dove si trattano granaglie,
fieno, bestiame e formaggio grana.
Per me quello È un nome finto disse
nel corso di una lunga discussione
l'oste del Molinetto. E se uno
adopera un nome finto questo
significa che non È un forestiero ma
uno del paese che non vuol farsi
conoscere.
Si trattava di un'argomentazione
piuttosto approssimativa: ma fu
accolta come la più rigorosamente
logica e la gente, disinteressatasi dei
forestieri, accentrò la sua attenzione
sugli indigeni.
E le ricerche vennero condotte con
ferocia, come se si trattasse di
trovare non il vincitore d'una lotteria
ma un delinquente.
Senza ferocia, ma con indubbio
interesse, si occupò della faccenda
anche don Camillo. E, poiché‚ gli
pareva che il Cristo non vedesse con
eccessiva benevolenza questa sua
attività di segugio, don Camillo si
giustificò:
Gesù, non è per insana curiosità che
io faccio questo, ma come un
dovere. Perché‚ merita di essere
additato al disprezzo del prossimo
chiunque, ricevuto un grande
beneficio dalla Divina Provvidenza,
lo tenga nascosto.
Don Camillo, rispose il Cristo dato e
non concesso che la Divina
Provvidenza si occupi di totocalcio,
ho l'idea che la Divina Provvidenza
non abbia bisogno di pubblicità.
Inoltre è il fatto in se‚ che conta: e il
fatto è noto in tutti i particolari
essenziali: C'è qualcuno che ha vinto
al gioco una grossa somma.
Perché‚ ti affanni nel voler sapere
chi sia quest'uomo fortunato?
Interessati piuttosto della gente non
favorita dalla fortuna, don Camillo.
Ma don Camillo aveva ormai il
chiodino piantato in mezzo al
cervello e il mistero del Pepito lo
affascinava sempre di più.
Finalmente un lampo illuminò le
tenebre.
A don Camillo venne voglia di
mettersi a suonare il campanone
quando scoperse la chiave di quel
nome: seppe resistere alla tentazione
di aggrapparsi alla corda della
"Geltrude", però non seppe resistere
all'altra tentazione. Quella di buttarsi
addosso il tabarro e di andare a fare
un giretto in paese.
E, arrivato dopo pochi istanti
davanti all'officina di Peppone, non
seppe
neppur
resistere
alla
tentazione di fermarsi e di mettere
dentro la testa per dare un salutino al
sindaco: Buongiorno, compagno
Pepito!
Peppone smise di smartellare e gli
piantò addosso due occhi spiritati:
Cosa vorreste dire, reverendo?
Niente: Pepito, in fondo, non È che
un diminutivo di Peppone.
E poi si dà pure il caso curioso che,
anagrammando Pepito Sbezzeguti,
salta fuori qualcosa che somiglia
stranissimamente
a
Bottazzi.
Giuseppe
Peppone riprese a smartellare
tranquillamente.
Andatelo a raccontare al direttore
della Domenica Quiz disse. Qui non
si fanno degli indovinelli; qui si
lavora.
Don Camillo scosse il capo:
Mi dispiace sinceramente che tu non
sia il Pepito che ha vinto i dieci
milioni.
Dispiace anche a me borbottò
Peppone. Se non altro, adesso potrei
offrirvene due o tre per convincervi
a tornare a casa vostra.
Non ti preoccupare, Peppone, io i
piaceri li faccio gratis rispose don
Camillo andandosene.
Dopo due ore tutto il paese sapeva
alla perfezione che cosa fosse un
anagramma e non c'era casa dove il
povero Pepito Sbezzeguti non
venisse spietatamente vivisezionato
per vedere se davvero avesse nella
pancia il compagno Giuseppe
Bottazzi.
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