Hard landing – Monica Lombardi

SINTESI DEL LIBRO:
Il pub si era riempito e ora bisognava alzare la voce per sentirsi attorno al
tavolo. Erano in otto, tutti studenti dell’ultimo anno, tutti lì per festeggiare
gli esami finali. Accanto a lui, sulla panca, Sylvia e David, di fronte, Edith,
James T. e James C., ai due capotavola Henry e Will.
Stavano bevendo birra e mangiando ali di pollo fritte e patatine, una cena
come tante che avrebbe potuto far passare per comuni un gruppo di persone
che comuni non erano. Perché loro erano la crème del Trinity, che era la
crème di Cambridge. Tutti, a quel tavolo, venivano da famiglie cariche di
soldi. Tutti tranne lui. Lui, Derek Wilson, aveva un amico che aveva una
famiglia carica di soldi. I Langdon avevano un unico figlio e avevano
sempre considerato lui, figlio di una ragazza madre, uno “di casa”, così lo
avevano sponsorizzato per la parte che la borsa di studio non copriva. In
altre parole erano stati i Langdon a mantenerlo agli studi.
«Langdon, che cosa farai della tua vita ora? Andrai ad affiancare papà
nella direzione dell’azienda?»
James T. aveva parlato con un tono a metà tra il petulante e l’indifferente,
anche se la domanda non era né l’una né l’altra cosa. Persino all’interno di
quell’élite David Gordon Langdon si distingueva: la Langdon Industries era
“roba grossa” anche per la loro compagnia, che contava un nobile e il figlio
di un membro del Parlamento.
«Certo che ci andrà» rispose Henry, il cui padre era uno dei barrister più
celebri di Londra. «Laurea al Trinity–dirigenza della Langdon Industries:
un’autostrada!»
David piegò le labbra in quel sorriso che, Derek lo sapeva perché più di
una glielo aveva confessato, faceva venire le gambe molli alle ragazze.
Fronte alta, capelli corvini, naso aquilino, David Langdon non aveva una
bellezza perfetta ma trasudava fascino e carisma come se fosse una
supernova. Persino durante l’adolescenza non era mai stato goffo o ridicolo,
come se davvero stesse percorrendo la vita camminando su un tappeto
rosso.
La supernova alzò il boccale, ma prima di portarselo alle labbra concesse
ai due compagni una risposta.
«Potrei morire di noia, se pensassi alla mia vita come a un’autostrada.
Odio le scelte obbligate e scontate.»
Già. Perché, non contento dei soldi e del futuro assicurato, lo stronzo si
divertiva anche a fare l’alternativo, l’anticonformista. David era suo amico
da anni, ma questo non impediva a Derek di pensare a lui come a uno
stronzo.
Distolse lo sguardo per tornare a prestare attenzione a ciò che aveva nel
piatto, e facendolo colse un lieve tremore nella mano della ragazza seduta in
mezzo a loro. La guardò e il cuore gli mancò un battito, come succedeva
sempre. Sylvia Mason aveva una bellezza elegante e delicata che non
toglieva il fiato la prima volta che la vedevi; no, si insinuava nella tua
mente e nelle tue viscere giorno dopo giorno, finché non potevi più non
vederla, che ti fosse di fronte oppure no.
«Che cosa c’è? Sei pallida.»
«Niente, sto bene» rispose subito lei.
Una risposta proforma, pensò Derek. Una bugia.
«Lui ti tratta bene?» insistette.
Lui. Quale altro lui c’era, tra loro? Insieme a loro, perché erano o non
erano, a dispetto di tutto, un terzetto indivisibile?
«Certo che sì.»
«Io sono suo amico, ma sono anche amico tuo, ricordatelo.»
Visto che non mi permetterai mai di essere altro, perché hai occhi solo
per lui.
Sylvia annuì, degnandolo persino della pallida imitazione di un sorriso,
poi tornò a guardare l’uomo di cui, da almeno due anni, era innamorata.
Anche David affermava di essere innamorato di lei e, dopo inizi altalenanti,
nell’ultimo anno avevano fatto coppia fissa.
Ma neanche il formarsi della coppia era riuscito a spezzare il loro terzetto
indivisibile. E questo, pensò Derek, gli aveva permesso di rimanere sano.
***
La maggior parte dei suoi compagni di università veniva da Londra,
qualcuno da Leicester, Norwich o altri centri sparpagliati in tutta
l’Inghilterra. Sylvia invece a Cambridge era di casa. La sua famiglia viveva
da due generazioni in una tenuta poco fuori città, dove poteva restare
accanto ai boschi e agli amati cavalli. Tutti i Mason amavano cavalcare, in
primavera suo padre organizzava addirittura una caccia alla volpe. Le
tradizioni, in Inghilterra, erano la fune a cui ci si aggrappava per non
lasciarsi troppo scuotere dagli smottamenti del mondo reale. Ovviamente,
se Sylvia avesse osato dire una cosa del genere a suo padre, o a suo zio,
l’avrebbero presa per pazza.
Pazza, a volte pensava di esserlo davvero. Pazza a essersi innamorata del
ragazzo più bello e più ricco del loro anno, pazza perché, anche quando lui
le aveva detto di amarla, Sylvia non era riuscita a credere alle sue parole,
ma non era cambiato nulla.
E ora…
Una ventata la investì quando svoltò l’angolo delle scuderie. D’istinto
incurvò le spalle, abbassando il viso. Dall’interno le arrivarono i nitriti degli
animali.
Si fermò appena oltre la soglia, per lasciare che la vista si abituasse alla
penombra, in quel pomeriggio talmente assolato che la luce quasi faceva
male agli occhi, e per godersi gli odori della scuderia. Fieno e cavallo, e sì,
anche un sottofondo acre di escrementi, quel poco che l’attenta pulizia non
riusciva a evitare. Conosceva quegli odori da sempre e ogni volta
l’accoglievano come un ritorno a casa.
«Signorina Mason, non l’aspettavo.»
Alfred, il loro stalliere, ne scorse la sagoma accanto al secondo box.
«Mi è venuta voglia di montare Lady Kay» rispose, facendo un paio di
passi versi di lui.
Il ciuffo di fieno che l’uomo stava alzando con il forcone si bloccò a
mezz’aria. Non ne vedeva ancora bene i lineamenti, ma Sylvia lo conosceva
troppo bene per non sapere che cosa stava per arrivare.
«Non mi sembra una buona idea, signorina.»
Alfred aveva iniziato a lavorare per suo padre quando lei aveva dieci anni,
e già allora la chiamava “signorina”.
«Per il vento.»
«Già» convenne lui, gettando il fieno oltre lo sportello del box.
Ora lo vedeva bene. Lo aveva superato in altezza già da diversi anni, più o
meno quando i baffi e i capelli di lui avevano cominciato a spruzzarsi di
grigio.
«Non è la prima volta che monto Lady Kay quando c’è un po’ di vento.»
Alfred la guardò. Sapevano entrambi che si trattava di una bugia.
«Vada nel bosco, almeno, dove lo sentirà molto meno che all’aperto.»
Sylvia gli sorrise, accorgendosi solo in quel momento della tensione che
aveva avuto addosso al pensiero di dover intraprendere un braccio di ferro
con lui. Aveva bisogno di sfogare l’inquietudine che la dominava da giorni,
il senso di catastrofe incombente che si era impadronito di lei la sera prima.
Aveva bisogno di sentire il corpo possente e allo stesso tempo elegante di
Lady Kay sotto di sé, il suo calore, la sua fiducia. Di controllarla e sentirla
rispondere ai suoi comandi come non riusciva più a fare con la sua vita, che
si era imbizzarrita e minacciava di disarcionarla.
Alfred strigliò la cavalla per lei, poi la aiutò a sellarla.
Mentre lui allacciava il sottopancia, Sylvia le accarezzò il muso.
«Hai voglia di fare un giro nel bosco, Lady Kay? Vero che ne hai voglia
anche tu?»
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