Grottesco – Patrick McGrath

SINTESI DEL LIBRO:
Ho avuto molto tempo libero, negli ultimi mesi, per riflettere sul mio primo
incontro con Fledge e sul perché egli abbia sviluppato nei miei confronti
un'antipatia così immediata e intensa. Maggiordomo, a mio parere, si nasce,
non si diventa; le doti di un bravo maggiordomo - deferenza, capacità, un
certo servilismo dignitoso - sono qualità caratteriali che si manife-stano nelle
culture in cui da secoli esiste, sostanzialmente indisturbata, una gerarchla
sociale stabile. È raro, ad esempio, trovare un bravo maggiordomo in Francia,
e un bravo maggiordomo americano è una contraddizione in termini. Fledge
non è un maggiordomo nato: non è deferente per natura, né gli è naturale
servire. Nel suo intimo, anzi, credo che nutra un furibondo risentimento per il
fatto di dover svolgere questo lavoro. Non che la sua condotta lasci trapelare
qualcosa; eppure, quel qualcosa c'è, eccome. Con il tempo mi è apparso
chiaro non solo che egli si sentiva umiliato dalle sue mansioni, ma che verso
di me covava un antagonismo feroce proprio perché ne ero io lo strumento.
D'altro canto, io non mi sono mai dimostrato particolarmente cordiale: se
quest'uomo entra in casa mia da maggiordomo, ho pensato, da maggiordomo
lo tratterò. Come potevo indovinare fino a che punto lo avrebbe spinto
l'ambizione?
Ho ricostruito tutto ciò da quando mi trovo costretto su una sedia a rotelle.
Allora avevo unicamente la sensazione che quell'uomo emanasse qualcosa e
ricordo di aver pensato che, quand'anche fosse stato un po' indocile, un po'
bolscevico, se rendeva felice Harriet potevo senz'altro sopportare u-n'ombra
di pacato rancore, fintanto che, naturalmente, fosse rimasto paca
to. Dopotutto, mi dicevo, che rapporti ho con lui? La maggior parte del tempo
la passavo nel fienile insieme alle mie ossa e, quando ero in casa, ricorrevo a
lui soltanto perché mi mettesse sotto il naso un piatto con qualcosa da
mangiare e un bicchiere con qualcosa da bere. Che resti pure bolscevico, mi
dicevo (senza peraltro il minimo altruismo), se fa felice Harriet. Da esperto di
ironie della vita quale sono, non posso non riconoscere adesso quanto gustosa
sia quella che ho appena rievocata.
Dall'inizio della paralisi ho perso molto peso e i miei completi di tweed
cadono flosci e informi su questo mio fisico ormai scheletrico. Anche la mia
faccia è cambiata, come ho potuto accertare da quelle visioni fugaci che
riesco a afferrare quando per avventura mi si fa passare davanti a uno
specchio. Sono ingobbito e cadaverico; le mie mani poggiano inerti sui
braccioli della carrozzella come due artigli e i miei occhi guardano spenti nel
vuoto dalle orbite di un volto ossuto, scavato, la mascella del quale riposa
ormai perennemente su una clavicola. Nel periodo di cui parlo, tuttavia,
avevo la testa ben eretta e dai miei occhi grigi come l'acciaio balena-vano
scintille di un'intelligenza acuta, non meno acuta, aggiungerei, delle frecciate
che scoccavano incessanti dalle mie labbra sottili e beffarde. Avevo (ho
tuttora) un naso affilato e aquilino, un naso patrizio, mi son sempre detto, e al
di sopra di una fronte ampia e superba i miei folti capelli ne-ri sprizzavano da
entrambi i lati con riccioluta, imbrillantinata e irriduci-bilmente ispida
energia.
Questo, dunque, il mio aspetto esteriore quando quel fatale mattino
dell'autunno scorso feci il mio ingresso in salotto con passo gagliardo e vidi
Sidney Giblet appoggiato alla mensola del camino con un bicchiere del mio
sherry in mano, mentre Harriet e Cleo, munite di sherry anch'esse, se ne
stavano accasciate in poltrona e dal grammofono salivano le note di una
canzonetta. «Oh, caro, sei arrivato» esordì Harriet. «Ti va uno sherry? Sidney
ci stava raccontando del povero Rupert Brooke, buonanima...».
Dentro di me sbuffai. Il povero Rupert Brooke, buonanima: Sidney non si
smentiva mai. In fondo alla stanza, accanto all'armadietto dei liquori, notai il
nuovo maggiordomo; anche allora ricordo di aver provato una fitta di disagio.
Ma vedete, Dome era diventato così vecchio e impedito che spesso era
toccato a noi prenderci cura di lui! «Se non erro,» dissi con distacco
«lo ha assalito una zanzara ed è morto per le ferite».
«Papi, ti prego!» esclamò Cleo. «Non essere orrido».
«Ma è vero» intervenne Sidney, che evidentemente quel giorno era d'umore
strisciante, nonché ansioso di evitare scontri. «Non è riuscito a com
battere una sola volta ed è morto a letto per un'infezione».
«Per un'infezione» ripeté Cleo tristemente. «E pensare che teneva tanto alla
pulizia!».
Accolsi la spassosa ironia con un ghigno lupesco e Sidney mi lanciò uno
sguardo sconcertato. A parte la risata stridula e l'adesione al vegetariani-smo,
la cosa che più mi irritava in lui era, direi, la pipa. Sidney fumava una pipetta
con un bocchino sottile di palissandro rossiccio, che non riusciva a contenere
altro che un pizzico o due di tabacco delicatamente aromatizzato: non invento
nulla, Sidney fumava sul serio tabacco aromatizzato! In effetti, ora che ci
penso, può darsi che proprio quella sua delicatezza, quella sua esilità,
avessero attirato Cleo. Avete mai fatto caso a quanto spesso capita che una
femmina vivace sia attratta da uno smidollato? E un fenomeno che si osserva
sovente in natura, specie fra gli insetti. Erano settimane ormai che Sidney
svolazzava per le stanze di Crook come una farfalla esotica e rara, lasciando
una scia di fumi delicati sullo sfondo dell'austera boiserie e rivelandosi nel
complesso un autentico flagello. Io sarei stato felice di buttarlo fuori, ma
certo non potevo, perché a quanto pareva Cleo nutriva dell'affetto per
quell'essere. «Parlaci ancora dell'infezione di Rupert» lo esortai e in
quell'istante il nuovo maggiordomo mi comparve accanto con un vassoio
d'argento sul quale era posato un bicchierino infinitesimale di sherry. «Lei»
dissi allora, rivolto al maggiordomo «deve essere Fledge».
«Oh, caro, perdonami!» esclamò Harriet alzandosi. «Ma che sciocca!
Certo che è Fledge e... Fledge, le presento Sir Hugo».
Lui chinò il capo in segno di saluto.
«Bene, Fledge,» gli dissi «ora le insegnerò qualcosa sullo sherry. Lo sherry
non si beve da un ditale. Quindi, sia cortese, me ne porti un bicchiere».
Fledge chinò di nuovo il capo e tornò all'armadietto dei liquori. Harriet,
convinta evidentemente che l'uomo meritasse un'iniziazione felice alla vita di
Crook, lo raggiunse e gli bisbigliò qualcosa, senz'altro per istruirlo sulle
preferenze del padrone in materia di alcolici.
«Oh, ne so ben poco» rispose Sidney con un sospiro. «Credo sia stata colpa
dei medici, una diagnosi errata o qualcosa del genere. Alla fine, mi è
sembrato di capire, ha sofferto molto».
Con espressione radiosa guardai Cleo, che in maniera affatto teatrale
rabbrividì, già trasportata dalla sua fantasia di fanciulla al capezzale dell'e-roe
nel barbaro Egeo. In quel momento, Fledge ricomparve con un vero bicchiere
di sherry e io, prima di insistere perché il grammofono venisse
messo a tacere, proposi un brindisi alle zanzare di tutto il mondo.
Sidney si dimostrò riluttante, durante il pranzo, ad approfondire l'argomento
dell'infezione di Rupert Brooke, con ogni probabilità per riguardo a Cleo.
Personalmente non apprezzo questo tipo di premure; ritengo sia sempre e
comunque uno sbaglio assecondare la schifiltosità delle donne.
Malattie, infezioni, cancrene, sozzure, feci e vermi fanno tutti parte della
ricca trama della vita e chiunque abbia una visione propriamente scientifica
delle cose dovrebbe accogliere questi fenomeni come aspetti della natura
altrettanto meravigliosi quanto un'aquila reale, una quercia, una grande valle
tettonica e così via. In particolare, ritengo che la famiglia di uno studioso non
dovrebbe permettersi di discriminare tra i vari frutti della natura e, per
imprimere bene il concetto, al momento del caffè ero uso all'epoca mandare a
prendere Herbert.
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