Giornale di guerra e di prigionia – Carlo Emilio Gadda

SINTESI DEL LIBRO:
1. Edolo, 24 agosto 1915. Le note che prendo a redigere sono
stese addirittura in buona copia, come vien viene, con quei mezzi
lessigrafici e grammaticali e stilistici che mi avanzeranno dopo la
sveglia antelucana, le istruzioni, le marce, i pasti copiosi, il vino e il
caffè. Scrivo sul tavolino incomodo della mia stanza, all’albergo
Derna, verso le una e mezza pomeridiana. Le imposte chiuse e i
vetri aperti mi lasciano entrare l’aria fresca e quasi fredda della
montagna, i rumori dei trasporti e le voci della gente: mi impediscono
la veduta di un muro, che si trova a due o tre metri in faccia e in cui
non figurano che finestre chiuse, e delle rocce del Baitone.
2. Sto abbastanza bene di corpo, per quanto il troppo cibo preso
ieri alla mensa e l’uso che vi si fa di vino e caffè, a cui io non ho
l’abitudine, mi lascino un senso di odiosa sazietà e di intorpidimento
intellettuale: ho anche un po’ sonno. Quest’aria fresca mi ristora e un
po’ di raccoglimento mi fa piacere.
Spiritualmente sono seccato dalla mancanza di notizie della
famiglia, poiché da quando sono a Edolo, cioè dal 18 corr., non ho
ricevuto una riga; dal continuo seccarmi che il capitano fa (e con
ragione) perché mi provveda del cinturone di cuoio e del revolver;
dalla perdita dei miei guanti, che occorrono all’istruzione, e che
difficilmente potrò sostituire. Inoltre uno strano intorpidimento
dell’animo mi toglie di godere a pieno della vivissima emozione
fantastica e sentimentale che per solito la montagna mi destava, e
talora anzi mi lascia indifferente del tutto: però levando lo sguardo al
Baitone, alle sue rocce e alle sue nevi, questa monotona e stanca
situazione dello spirito si interrompe per poco. Anche le cattive
notizie della Guerra dei Russi mi mandano a traverso questi giorni
che potrebbero essere di esaltazione.
Il motivo egoistico sentimentale che momentaneamente mi
domina è un desiderio di raccoglimento e di durezza alpinistica, di
forze fresche, di compagnia coi miei pochi amici, di nebbia e di
bosco.
Tanto più quindi mi sono lontani questi carriaggi, questi muli, e la
mensa copiosa e chiassosa degli ufficiali. Penso raramente alla
guerra, non per indifferenza, ma per timore di soffrir troppo nella
preoccupazione e anche perché ne sono continuamente distratto
dalla vita giornaliera.
3. Alla mensa, che si tiene alla villa Nicolina, partecipa no gli
ufficiali del 5o Alpini che si trovano a Edolo. Si mangia assai e per
poco, si discorre, si ride: io dirò meno di dodici parole in tutto il
pranzo, pur partecipando del buon umore altrui. Parlerò poi più
dettagliatamente di questo. Ho l’ordinanza, che mi riordina la stanza,
mi pulisce le scarpe, mi fa tutti quei servigi che le chiedo: è un uomo
sulla quarantina, che fu già al fronte sul Tonale, un’ottima persona.
Ho ricevuto l’indennità di entrata in campagna, di lire 365,40 nette,
che in parte mi serviranno alla provvista di oggetti alpinistici e
militari, e che per il resto manderò alla famiglia.
Adesso riposerò un poco: desidererei vivamente di poter leggere
o studiare, ma non ho un libro: perciò mi sfogo a scrivere. Alle ore 4
sarò alla caserma, dal capitano. Proseguirò queste note stasera o
domani.
Dalle 4 alle 5#,b pomeridiane il capitano Bruno, comandante la
3a compagnia e istruttore dei sottotenenti di Milizia Territoriale, ci
istruì sul servizio di sicurezza in marcia e in stazione. Tutte queste
cose io conoscevo già per averle sentite ripetutamente illustrare e
per averle viste praticamente eseguire nel corso domenicale del
Battaglione Volontarii Milano, comandato dall’eroico colonnello
Negrotto, morto all’Isonzo: e durante i due mesi di servizio prestato
nei granatieri di Sardegna. Tuttavia porsi rispettosa attenzione; sia
perché realmente il ripetere cose già imparate non nuoce mai e non
è mai per me una umiliazione, come per i muli e gli asini; sia per
avvedutezza: poiché nulla irrita di più la suscettibilità di un maestro,
massime di un militare e di un superiore, che il dirgli: sapevo già.
Uscito dalla caserma, negli uffici della quale si tiene l’istruzione,
andai dall’avv. Nova, bresciano, mio collega, per restituirgli il
cappello gentilmente prestatomi mentre giravo per procurarmene
uno (poiché venni a Edolo col solo berretto) e per acquistare una
cucinetta alpinistica di alluminio. Il furbo bresciano, badando a dirmi
ch’egli è avvocato e non commissario, ch’ei non ha bisogno di nulla
e solo agisce per esuberanza di buon cuore, mi vendette la sua
cucinetta usata, ma in ottimo stato, per L. 5: aveva voglia di
disfarsene, avendone acquistato una nuova e trovò me disposto
all’acquisto. Mi sorbii poi una lunga sfuriata sull’ingiustizia umana e
l’egoismo e la freddezza dei colleghi, e la severità balorda dei
superiori, che mi disse una volta di più, se mai ve ne fosse stato
bisogno, essere l’avvocato una di quelle persone intolleranti, per
quanto buone di cuore, di cui abbonda la nostra razza. un uomo
piccolo, secco, robusto, dall’occhio vivo e mobile, dalla faccia
vivacissima e quasi diavolesca, dal naso aquilino: dev’essere furbo e
buono, rabbioso e attivo. Mi favorì anche l’indirizzo di un corriere che
va a Brescia e a cui commetterò l’acquisto dei finimenti di cuoio. Alla
mensa mangiai parecchio, ma senza appetito: si bevve del cattivo
Champagne gentilmente offerto dal neo-sottotenente conte Gaetani,
di Napoli, come prezzo del brindisi: gli altri novizii, me compreso,
avevano pagato invece una tassa di L. 20 per il “beveraggio.” - Girai
un po’ questa sera attraverso il paese, annoiato di dover
continuamente salutare soldati: comperai una penna per il cappello
per L. 1,60: e me ne venni all’albergo, a completare il mio diario. Ora
me ne vo a riposare, dacché domani dovrò svegliarmi, come il solito,
alle cinque. Sono tranquillo, ma mi sento lo stomaco pieno come un
otre, ingiustamente.
4. Edolo, 25 agosto 1915. Questa notte fui disturbato da dolori
viscerali. Il mattino mi sentivo fiacco e assonnato, ma partecipai
egualmente alla istruzione, la quale consistette in una marcia fino a
Sonico ed oltre, su strada, e in una completa manovra di
combattimento di tutta la compagnia in un bosco di castani, su
terreno morenico, meraviglioso. Al ritorno mal di testa e stanchezza.
Nulla di nuovo poi: solo dopo colazione persistente irrequietezza
e sonnolenza, vinte entrambe. All’istruzione delle 16 regolamenti
disciplinari. Ricevetti alfine notizie da casa e sono più tranquillo.
Incaricai un corriere di provvedermi a Brescia i finimenti di cuoio.
Domani sono ufficiale di compagnia, vale a dire devo levarmi alle
quattro per essere in quartiere alle quattro e mezza. Vi sarà per la
nostra compagnia la marcia al collo dell’Aprica. Sono un po’ fiacco,
fui tormentato da irrequietezza e sono scontento di me. Sensazione
di caldo e inappetenza: nullità intellettuale. Qualche raffreddamento
nel contegno de’ miei colleghi verso di me, senza alcuna causa per
parte mia. Cattive notizie dal fronte Russo mi fanno passar male
quei pochi momenti che penso alla guerra e mi lasciano una
sensazione, sotto coscienza, di inquietudine. Adesso farò la barba e
dopo mensa dovrò andare in compagnia a fare l’appello serale o
almeno a sorvegliarlo: domattina dovrò curare la distribuzione dei
viveri.
Il servizio dell’ufficiale di compagnia va dalle 17 alle 17 del giorno
successivo.
5. In complesso la vita spirituale rimane un po’ sommersa sia da
ragioni di servizio propriamente dette, come la fatica, le occupazioni,
ecc. sia da altre ragioni meno giuste, ma che pur si sommano a
queste: la mensa lunga, chiassosa, e talora noiosuccia; il cibo un po’
abbondante; l’andare e venire per tutte queste spesucce che non
finiscono mai; un po’ di caldo e di malessere, oggi; qualche bisticcio
fra i colleghi, qualche amarezza, qualche durezza che lascia male.
Tengo però sempre contegno correttissimo, ossequioso ed evito,
come sempre, ogni discussione. Il vero motivo per cui io evito
sempre ogni discussione è anzitutto la sterilità e la sciocchezza dei
motivi che le accendono: ieri due miei colleghi, l’avv. Nova e certo
Marchini genovese, pittore, antimilitarista a sua detta in tempi
normali, ma fautore della presente guerra contro il militarismo (che
persona spiccia, costui!) ebbero il coraggio e la buona voglia di
litigare mezz’ora sulla necessità o no del portare la cucinetta a spirito
in montagna: e si illividirono reciprocamente e finirono nel
campanilismo: Brescia contro Genova. Oggi lo stesso genovese e
un altro, certo Trinchero, litigarono per mezza colazione sostenendo
l’uno che il Governo non ha colpa nella mancanza di manuali per la
nostra istruzione, e l’altro che ci ha colpa. Si litigò poi da altri
sull’estensione che deve esser data all’articolo del regolamento
vietante di usare dialetti, in servizio: quest’ultima discussione era già
più ragionevole. Insomma la miseria, l’inutilità, il grigio squallore, la
bestialità degli argomenti, invogliano un povero diavolo a diventar
imbecille perché la ragione non gli serve a nulla.
Io poi sono pigro, svogliato di parlare, difficile a contrarre
simpatie e amicizie: onde la lingua mi rimane ostinatamente
appiccicata al palato. Litigare per sciocchezze e con sterilità di
risultati è un gran contento per gli italiani in genere. Per me che
vorrei vedere e che sento il bisogno di avere sempre, ovunque,
affabilità, cortesia, assenza di egotismo nelle discussioni e anche un
zinzino di fantasia e di ragionevolezza tutto questo bociare a
vanvera è una noia, e talora una rabbia. Ma si tratta di cose da nulla.
6. Edolo, 27 agosto 1915.
Ieri mi alzai verso le 4 del mattino, come ufficiale di servizio, e fui
in caserma alle 4#,b; presi il nome degli ammalati. Ero piuttosto
assonnato e la marcia sullo stradone polveroso dell’Aprica mi fu
dura. Mangiai, a mezza strada circa, del pane e due uova, e bevvi
un bicchier di vino. Arrivai all’Aprica accaldato, come tutti, mi
rinfrescai con gli altri nel bagno dell’H”tel Aprica, e scesi in sala. La
colazione fu allegra, abbondante, e servita da due cameriere che
furono il pretesto di mille allegrie. Il vino di Valtellina e due bicchieri
fini di squisito Sassella coronarono la mensa. Ma in fondo, per
quanto la colazione consistesse di spaghetti, una costoletta, frutta,
mi sentivo pieno, appesantito, stanco. Riprendemmo tosto la via del
ritorno, sullo stradone polveroso, sotto il sole. Poi si prese la strada
mulattiera che sta sulla destra del Fiumicello e che è deliziosa. Ma il
mal di ventre che mi colse, mi impedì ogni godimento del paesaggio:
dovetti fermarmi e i dolori mi costrinsero ad appartarmi in una forra
boschiva, e scoscesa, sulla riva del fiume, mentre gli altri
proseguivano. Successe un mezzo disastro, che mi costrinse a
spogliarmi: non avevo carta, avevo dimenticato i fazzoletti la mattina.
La scena fu barbara; il fiume mi servì un po'per pulirmi poi le mani.
Raggiunsi stanco e avvilito Edolo, mandai dall’Albergo un biglietto di
scusa al capitano e mi gettai a letto.
Fu una pessima giornata e avrò un cattivo ricordo di questa
prima visita al collo dell’Aprica, che divide la Rezia dalla Camunia.
Da Parma, ove prestai servizio nel 1o granatieri, recai questo
strascico di disturbi gastro-intestinali che gli eventuali disagii e il non
perfetto equilibrio del mio sistema nervoso rendono più facili e gravi.
Inoltre la gola, specialmente il desiderio di frutta, e la poca volontà di
essere temperante nel cibo, mi procacciano tuttociò: cercherò di
essere più sobrio, per quanto, come ripeto, pur mangiando forte, non
posso dire di aver menomamente ecceduto: ho ecceduto rispetto
alle mie attuali condizioni. La sera ebbi una gradita lettera del mio
amico Semenza, allegra come spesso, ma piena del sentimento che
ci anima per il nostro paese, e che sottintendiamo o affermiamo a
sprazzi nelle nostre pazze scritture. Se un giorno queste lettere
dovessero conoscersi, potrebbero sembrar miserabili rispetto al
tempo in cui furono scritte: ma in esse si esprimono solo quei
sentimenti che la lontananza vieta di altrimenti manifestare, solo
quelle sciocchezze che allegrano talora la nostra antica
conversazione; non è tutta la nostra vita, tutto il nostro animo che vi
si contiene: la parte migliore dei nostri sentimenti vi è quasi
estranea, come se adombrasse di venir tratta ad accompagnare
cose meno alte. Oggi scrissi a molti conoscenti, perché essendomi
stamane purgato, rimasi a riposo: scrissi ancora scuse al capitano.
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