Free fall – Monica Lombardi

SINTESI DEL LIBRO:
«Eri splendida, sulla scalinata della villa di Velázquez. Non sembravi
neanche vera.»
La voce di Buck, la voce mattutina bassa, quasi roca, di un uomo
soddisfatto che non ha alcuna fretta di alzarsi, l’accarezzava come velluto.
«Ora mi stai prendendo in giro.»
Le dita di lui si mossero leggere su e giù lungo il fianco.
«No, dico sul serio. Ho perso la testa per te in quel momento.»
Alex si spostò perché Buck vedesse l’espressione corrucciata, ma non
riuscì a trattenere un sorriso. Piegò la gamba sulla sua, godendosi il
contatto tra la pelle morbida e quella di lui, più ruvida. Potevano restare
tutto il giorno a letto così, no?
«L’hai nascosto piuttosto bene» replicò, sfiorandogli con i polpastrelli i
pettorali, poi risalendo fino alla spalla e al collo. «Per due giorni mi hai
trattato come se David l’avessi fatto sparire io.»
David G. Langdon, che il team chiamava semplicemente GD, da Great
David. Prima di lui, Alex Xavier non era neanche esistita. Era cresciuta
insieme a lui, GD era stato il suo mentore e il suo primo amante. L’unico,
prima di Buck. Quando era sparito, Alex aveva trovato nel team un’ancora
di salvezza. Loro invece l’avevano guardata con sospetto; Buck, il team
leader, più degli altri. In pochi giorni la vita di Alexandra era stata
sconvolta. La vita di tutti loro.
Buck si voltò sulla schiena e lei lo seguì. Il suo corpo non aveva nessuna
intenzione di staccarsi da quello solido e caldo di lui.
«Non riuscivo a togliermi l’immagine di quella donna bellissima dalla
mente» continuò Benjamin Buckler, che tutti chiamavano sempre e solo
Buck, tranne chi lo chiamava ancora capitano Buckler, come ai tempi
dello Special Air Service, la più temibile forza speciale britannica. L’aveva
detto con espressione seria, gli occhi rivolti al soffitto, ma la mano era
scesa ad accarezzarle una natica e Alex chiuse gli occhi, distratta dalla
carezza. «Poi all’improvviso ti ritrovo lì, a casa di GD. La sua donna. Un
brusco risveglio. Forse ti ho trattato in modo un po’ duro, ma era l’unica
cosa che potessi fare.»
Alex si sollevò di più, per poterlo baciare. Un bacio lento e sensuale, un
modo per chiudere col passato, riappropriarsi del presente che
apparteneva solo a loro. Questo cercò di dirgli con le labbra. Ma non era
abbastanza, doveva provare a spiegarglielo con le parole.
«Ti spiavo, quando venivi alla villa.»
Buck voltò la testa, cercando il suo sguardo, chiaramente sorpreso. Per un
attimo Alex nascose il viso contro la sua spalla, poi tornò a fissarlo.
«Ero lì la prima volta che hai incontrato David, quando avete deciso di
formare il team, cinque anni fa. Da allora ti ho sempre guardato. Ascoltavo
la tua voce. All’inizio…»
Buck aveva ripreso a muovere le mani sulla sua schiena, e più in basso.
Stavano solo parlando eppure in qualche modo Alex era eccitata come
quando avevano fatto l’amore, durante la notte. Confessargli finalmente da
quanto tempo pensava a lui era come spogliarsi un’altra volta, sentendo il
calore dei suoi occhi blu sulla pelle.
«All’inizio ero solo curiosa. Poi ho cominciato ad aspettare le tue visite, a
pensare in continuazione alle tue visite.» Alex sentì la sua erezione
risvegliarsi, contro la coscia. Davvero gli faceva quell’effetto, solo con le
parole? Prese a percorrergli il profilo della bocca con il pollice. Dio, quelle
labbra. «Sei entrato nei miei pensieri anche quando non eri ancora nella
mia vita, quando neanche sapevi della mia esistenza.» Non sopportando
più la tensione che la stava dilaniando, dolce, insopportabile tortura, Alex
tentò un sorriso. «È stato allora che ho capito di essere nei guai.»
Per un istante che le sembrò infinito, Buck rimase immobile. Poi si voltò
trascinandola con sé e lei si trovò schiacciata sotto di lui, il campo visivo
dominato dal suo viso. Voleva quella bocca, ne sentiva già il sapore.
«Ero tuo anche quando non sapevo di esserlo» sussurrò lui, sistemandosi
meglio tra le sue gambe. Se Alex aveva pensato di essere eccitata prima,
ora l’attesa divenne insopportabile. Che cosa stava aspettando? «Per questo
ti ho riconosciuta, su quella scalinata.» Si chinò a sfiorarle le labbra,
promettendole senza ancora dare, quando lei voleva tutto. «Non lo sapevo
e non c’ero, ma ora lo so, e ci sono.»
E finalmente le diede tutto quello che le aveva promesso fino a quel
momento. E molto di più.
Londra
La svegliò il cinguettio di mille uccelli riuniti in una rumorosa
congregazione sul nocciolo fuori dalla finestra. Da dove cavolo erano
arrivati, tutti quanti in massa? Non potevano scegliere un altro albero, per
la loro riunione mattutina?
Nicole Kelly aveva dormito poco e male. Si era appisolata più volte,
accompagnata fino alla soglia del sonno da impalpabili inquietudini che,
trasformate in sogni angoscianti, avevano finito con lo svegliarla in
continuazione. Ricordi misti a pensieri misti a riflessioni, in un
guazzabuglio confuso reso più tetro dalle ombre della notte.
Ora era stanca, ma fiduciosa che la luce del giorno le avrebbe fatto
vedere tutto in modo meno cupo.
Schiudendo le palpebre e aspettando che gli occhi facessero pace con
l’abbagliante chiarore, pensò che aveva bisogno di una lunga doccia per
togliersi di dosso il sonno residuo e l’effetto della giornata precedente.
Delle giornate. Dopo la scomparsa di GD che li aveva gettati nel panico, gli
uomini del team avevano rischiato di saltare per aria insieme al furgone di
Digger, e per finire erano stati tutti vittime di un’imboscata. Ora
Velázquez, l’industriale spagnolo sul quale stavano indagando, era morto
e GD, il loro datore di lavoro, aveva rischiato di fare la stessa fine.
La sua mente tornò alla sera precedente, quando si erano salutati
all’ingresso dell’ospedale dove GD era ricoverato. Quando si era
allontanata per raggiungere l’auto di Michelle Dupré, Buck e Alex erano
in attesa dell’auto della Langdon Industries che li avrebbe portati a casa di
Buck e Jet era schizzato via in moto.
Jet.
Richiuse gli occhi, concedendosi un’immersione nei ricordi. Ricordi che
brillavano di un calore e una luce propria. Dopo anni in cui non si erano
nemmeno sfiorati, in due giorni si erano baciati due volte. Anche quei baci
erano apparsi nei suoi sogni. Come se anch’essi fossero stati irreali.
Ancora distesa tra le lenzuola stropicciate, Nicole si girò su un fianco e
sollevò la mano a sfiorarsi le labbra. No, erano stati decisamente reali.
Poteva ancora sentire il suo sapore, non l’avrebbe mai dimenticato. Anche
se…
Che cosa sarebbe successo ora? Forse era proprio quello, il nucleo della
sua inquietudine. Non voleva, non poteva dare troppa importanza a due
momenti che erano stati impulsivi, imprevisti… indimenticabili. Forse Jet
non gliel’avrebbe data. Era inquieta anche perché l’imboscata aveva
lasciato troppi fili in sospeso, troppe domande senza risposta.
GD era ancora all’ospedale. Cercando di rimuovere le ultime tracce della
nebbia che le avvolgeva il cervello, Nicole allungò una mano verso il
comodino. Era rientrata tardi e non l’aveva chiamato, l’avrebbe fatto subito
per aggiornarlo.
A dire il vero, di novità non ce n’erano molte. Nicole era tornata a Londra
con Michelle Dupré, da lei aveva saputo che Inés Velázquez recitava la
parte della vedova affranta e giurava di non sapere nulla del lavoro del
marito. Jude Wells, l’agente dell’MI6 responsabile dell’indagine su
Velázquez, non l’aveva spremuta abbastanza, ma la situazione in parte lo
giustificava. Non si torchiava una vedova probabilmente ignara di tutto,
quando il corpo del marito si trovava ancora all’obitorio. Inoltre, Inés
Velázquez era una bella donna, appartenente alla categoria “gatta
ammaliatrice”, il che probabilmente aveva avuto il suo peso.
Ma era davvero ignara di tutto? Qualcosa nella giovane vedova non
convinceva Nicole. C’era quell’immagine che ogni tanto le attraversava la
mente, talmente rapida che non riusciva ad afferrarla. Un ricordo, o
meglio il riflesso di un ricordo, che saliva in superficie per poi sprofondare
di nuovo nei recessi della memoria. Aveva cercato di riacchiapparlo anche
nel corso della notte ma niente, era come se non fosse mai esistito. Forse,
alla fine, era stata solo la stanchezza.
Selezionò il numero di GD sul display e inoltrò la chiamata. David G.
Langdon era ricoverato all’ospedale di Ilford, a nord di Londra, perché una
pallottola gli aveva trapassato la gamba a meno di un centimetro
dall’arteria femorale. Ciò nonostante rispose al secondo squillo.
Stava meglio, questo la sollevò. Era deluso per la mancanza di novità e
già stufo di essere bloccato in un letto d’ospedale, e questo non la stupì.
Nicole si offrì di chiamare di nuovo Jude Wells verso l’ora di pranzo e
concordarono di risentirsi nel pomeriggio.
«Uscirò presto» concluse il suo datore di lavoro e sembrava convinto.
Lo salutò e chiuse la comunicazione. Lo sguardo fisso sul cellulare che
aveva in mano, Nicole valutò se alzarsi per quella doccia che avrebbe
dovuto schiarirle le idee o chiamare Buck per riferire anche a lui. Guardò
la radiosveglia: le otto e mezzo. No, meglio lasciare a Buck e Alex ancora
qualche momento di tranquillità. Lasciò il cellulare sul letto e si alzò per
andare in bagno.
Aveva fatto due passi quando tornò indietro, afferrò di nuovo
l’apparecchio e inoltrò la chiamata che aveva in mente di fare fin dal
momento in cui aveva aperto gli occhi.
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