Festa mobile – Ernest Hemingway

SINTESI DEL LIBRO:
Poi veniva la brutta stagione. Alla fine dell'autunno, in un solo
giorno, cambiava il tempo. Di notte dovevamo chiudere le finestre
perché non entrasse la pioggia e il vento freddo strappava le foglie
dagli alberi di Place de la Contrescarpe. Le foglie giacevano fradicie
nella pioggia e il vento spingeva la pioggia contro il grosso autobus
verde al capolinea e il Café des Amateurs era gremito e le vetrine
appannate dal caldo e dal fumo dell'interno. Era un caffè triste, mal
gestito, dove si radunavano gli ubriaconi del quartiere, e io gli giravo
al largo perché non potevo soffrire l'odore dei corpi sudici e il tanfo
acido dell'ubriachezza. Gli uomini e le donne che frequentavano il
Café des Amateurs erano ubriachi sempre, o per tutto il tempo che
se lo potevano permettere; per lo più di vino, che compravano a litri
o mezzi litri. C'era la pubblicità di molti aperitivi dagli strani nomi, ma
pochi clienti se li potevano permettere se non come base per
costruirci le loro sbornie di vino. Le donne che si ubriacavano erano
chiamate poivrottes, che voleva dire sbronzone.
Il Café des Amateurs era il pozzo nero di rue Mouffetard, quella
magnifica strada di mercato, stretta e affollata, che portava in Place
de la Contrescarpe. Le latrine dei vecchi casamenti, una per
pianerottolo, di fianco alle scale, con i due rialzi scanalati di cemento
a forma di scarpa su ciascun lato dell'apertura affinché il locatane
non scivolasse, si scaricavano entro pozzi neri che di notte venivano
vuotati pompandone il contenuto in autobotti trainate da cavalli.
D'estate, con tutte le finestre aperte, sentivamo il rumore delle
pompe e il puzzo era molto forte. Le autobotti erano verniciate di
marrone e zafferano e sotto la luna, quando erano in azione nella
rue Cardinal Lemoine, i loro cilindri a ruote, tirati dai cavalli,
sembravano quadri di Braque. Ma nessuno vuotava il Café des
Amateurs, e il suo avviso ingiallito con le pene e le multe previste
dalla legge contro la pubblica ubriachezza era ignorato e tempestato
di cacche di mosca come i suoi clienti erano fedeli e puzzolenti.
Tutta la tristezza della città giungeva all'improvviso con le prime
fredde piogge invernali, mentre camminavi sparivano gli ultimi piani
delle alte case bianche e non restavano che l'umida oscurità della
strada e le porte chiuse delle bottegucce - gli erbivendoli, le
cartolerie e le edicole, la levatrice (seconda categoria) - e l'albergo
dov'era morto Verlaine dove all'ultimo piano avevo una stanza dove
lavoravo.
Fino all'ultimo piano c'erano sei o otto rampe di scale e faceva
molto freddo e sapevo quanto mi sarebbe toccato pagare, per una
fascinetta, per i tre mazzetti di schegge di pino lunghe un dito e
legate col fil di ferro da gettare sulla fascina appena avesse preso
fuoco, per il fascio di ciocchi semi-stagionati di legna da ardere che
avrei dovuto comperare se volevo un fuoco capace di riscaldare la
stanza. Allora passavo sull'altro marciapiede per guardare il tetto
sotto la pioggia e vedere se funzionava qualche camino, e come
soffiava il fumo. Non c'era fumo e io pensavo a come sarebbe stato
freddo il camino e al fatto che forse non avrebbe tirato e alla stanza
che probabilmente si sarebbe riempita di fumo, e alla legna sciupata,
e ai soldi buttati via, e riprendevo a camminare sotto la pioggia.
Passavo davanti al Lycée Henri IV e all'antica chiesa di St-Etienne
du-Mont e a Place du Panthéon spazzata dal vento, e per ripararmi
tagliavo a destra e finalmente uscivo sul lato sottovento del
Boulevard St-Michel e continuavo a camminare lungo il viale,
scendendo oltre Cluny e il Boulevard St-Germain, finché arrivavo a
un buon caffè di mia conoscenza in Place St-Michel.
Era un caffè simpatico, caldo e pulito e accogliente, e io
appendevo il mio vecchio impermeabile all'attaccapanni, per farlo
asciugare, e posavo il cappello di feltro, logoro e stinto, sulla
rastrelliera sopra il sedile e ordinavo un café au lait. Il cameriere lo
portava e io toglievo dalla tasca della giacca un taccuino e una
matita e mi mettevo a scrivere. Stavo scrivendo di quand'ero su nel
Michigan, e poiché era una fredda giornata di vento sferzante, era lo
stesso tipo di giornata anche nel racconto. Avevo già visto arrivare la
fine dell'autunno con gli occhi dell'infanzia, dell'adolescenza e della
giovinezza, e di queste cose avviene che uno si trovi a poterne
scrivere meglio in un posto, piuttosto che in un altro. Era quel che si
dice trapiantarsi, pensavo, e poteva essere ne cessano alle persone
come ad altri generi di cose che crescono. Ma nel racconto i ragazzi
bevevano e questo mi fece venir sete e ordinai un rum St. James.
Aveva un sapore straordinario in quella fredda giornata e continuai a
scrivere, sentendomi benissimo e sentendo il buon rum della
Martinica che mi scaldava il corpo e lo spirito.
Entrò una ragazza e si sedette a un tavolo vicino alla vetrina. Era
molto graziosa, con un viso fresco come una moneta appena. uscita
dalla zecca, se coniassero le monete in una carne liscia con la pelle
rinfrescata dalla pioggia, e aveva i capelli neri come l'ala di un corvo
che tagliavano la guancia con una netta diagonale.
La guardai e mi sentii tutto turbato e eccitato. Avrei voluto poterla
mettere nel racconto, o in qualsiasi altro posto, ma lei si era
sistemata in modo da poter sorvegliare la strada e l'ingresso e capii
che aspettava qualcuno. Perciò continuai a scrivere.
Il
racconto si scriveva da sé e io facevo fatica a non restare
indietro. Ordinai un altro rum St. James e guardavo la ragazza ogni
volta che alzavo gli occhi, o quando facevo la punta alla matita con
un temperamatite dal quale i trucioli cadevano arricciandosi nel
piattino sotto il mio bicchiere.
Ti ho visto, bellezza, e ormai tu mi appartieni, chiunque tu stia
aspettando e anche se non ti rivedrò mai più, pensavo. Tu mi
appartieni e tutta Parigi mi appartiene e io appartengo a questo
taccuino e a questa matita.
Poi mi rimisi a scrivere e mi addentrai nella storia e mi ci smarrii.
Ora la stavo scrivendo io e non si stava più scrivendo da sé e non
alzavo gli occhi né sapevo che ora fosse né pensavo dove mi
trovavo e non ordinavo più rum St. James. Senza saperlo, ero
stanco di rum St. James. Poi il racconto fu finito e io ero molto
stanco. Lessi l'ultimo paragrafo e alzai gli occhi per cercarla, ma la
ragazza se n'era andata. Spero che sia andata con un brav'uomo,
pensai. Ma mi sentivo triste.
Chiusi il racconto nel taccuino e lo riposi nella tasca interna e
ordinai al cameriere una dozzina di portugaises e mezza caraffa di
quel vino bianco secco che loro avevano. Dopo aver scritto un
racconto ero sempre vuoto e triste e felice insieme, come se avessi
fatto l'amore, ed ero sicuro che questo fosse un ottimo racconto,
anche se non avrei saputo in che misura fino a quando non lo avessi
riletto il giorno dopo.
Mentre mangiavo le ostriche col loro forte sapore di mare e il loro
leggero sapore metallico che il vino ghiacciato cancellava lasciando
solo il sapore di mare e il tessuto succulento, e mentre bevevo da
ogni valva il liquido freddo e lo annaffiavo col frizzante sapore del
vino, perdevo quel senso di vuoto e cominciavo ad essere felice e a
fare progetti.
Ora che era venuta la brutta stagione, potevamo lasciare Parigi
per trascorrere qualche tempo in un posto dove questa pioggia
sarebbe stata neve che cadeva tra gli abeti e copriva la strada e gli
alti versanti delle montagne e a un'altezza dove l'avremmo sentita
scricchiolare, la sera, tornando a casa a piedi. Sotto Les Avants
c'era una pensione in uno chalet dove si mangiava benissimo e
potevamo stare insieme e avere i nostri libri e la notte saremmo stati
al caldo a letto insieme con le finestre aperte e le stelle splendenti.
Ecco dove si poteva andare. Viaggiare in treno in terza classe non
era caro. La pensione costava poco più di quello che spendevamo a
Parigi.
Avrei lasciato la stanza d'albergo dove andavo a scrivere e c'era
solo l'affitto dell'alloggio, al 74 di rue Cardinal Lemoine, che era
nominale. Avevo scritto degli articoli per Toronto e gli assegni
dovevano arrivare. Quelli potevo scriverli dovunque e in qualsiasi
momento e i soldi per il viaggio li avevamo.
Forse lontano da Parigi avrei potuto scrivere su Parigi come a
Parigi potevo scrivere sul Michigan. Non sapevo che per questo era
ancora troppo presto perché non conoscevo Parigi abbastanza
bene. Ma poi andò a finire proprio così. Comunque se mia moglie
era d'accordo saremmo partiti, e finii le ostri che e il vino e pagai il
conto del caffè e presi la via più breve su per la Montagne-Ste
Geneviève sotto la pioggia, che ormai era solo il tempo del posto e
non qualcosa che cambiava la tua vita, fino all'appartamento in vetta
alla collina.
«Credo che sarebbe magnifico, Tatie» disse mia moglie. Aveva
un viso dai lineamenti delicati e i suoi occhi e il suo sorriso
s'illuminavano alle decisioni come se fossero state ricchi doni. «E
quando partiremmo?»
«Quando vuoi.»
«Oh, per me va bene anche subito. Non lo sapevi?»
«Forse sarà bello e sereno quando" torneremo. Può essere
molto bello quando è freddo e sereno.»
«Sono certa che sarà bello» disse lei. «Sei stato bravo a pensare
di partire.»
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