Entroterra – Téa Obreht

SINTESI DEL LIBRO:
Toby tornò di corsa, a mani vuote, per dirle che aveva trovato
altre impronte, stavolta giù al torrente.
«E va bene» disse Nora. «Fammele vedere.»
Tirò le redini e seguì il figlio più piccolo nella gola. Il sentiero si
snodava stre o fra alti dirupi e sbucava fra le embricature nere di un
antico greto per poi serpeggiare per un quarto di miglio fra i pioppi
e giù fino alla riva. Poco restava ormai del ruscello tranne il fango
luccicante di se embre e le scie delle pochissime salamandre che
erano riuscite a sfuggire a Toby.
Lui indicò il punto in cui gli era caduto il secchio. «Là c’è
l’impronte.»
«Ci sono le» disse Nora.
La confortava vedere ricrescergli i capelli. Dopo tre figli e
diciasse e anni a far da madre, la rasatura si era confermata l’unico
sistema efficace contro i pidocchi, ma dai risultati decisamente
punitivi: Toby sembrava il disertore di una milizia di mocciosi di
strada, condannato a portare il marchio di quell’infamia. E se
stavolta le esperienze precedenti lo avessero tradito, lasciandolo
calvo per sempre? Già così era uno spe acolo misero: troppo magro
per i suoi se e anni, tenero e dorato e impastoiato dai dubbi. Con la
stessa indole selvatica del padre.
Quella faccenda delle impronte gli era a ecchita dentro,
soppiantando ogni altra preoccupazione, e gli era valsa lo scherno
dei fratelli, Rob e Dolan, che non soffrivano più le storie infantili di
fantasmi ora che insistevano a dirsi uomini. L’unica soluzione che
avevano la generosità di considerare – «Tu dicci quando e noi la
g
q
staniamo, Tobe!» – era affa o contraria alle sue inclinazioni, dato che
Toby non aveva gran desiderio di vedere la bestia; soltanto di essere
creduto circa la sua esistenza. La se imana precedente i ragazzi lo
avevano portato alla proprietà abbandonata dei Flores, luogo della
prima manifestazione delle impronte, per guarirlo da tu e quelle
sciocchezze. (Con quali mezzi, Nora non sapeva immaginarlo, ma
era riuscita a tra enersi dal ricordargli il suo occhio malandato.
Erano i suoi ragazzi. Figli di Emme . A parte gli sfoghi recenti,
erano sani e vigili, a enti con gli altri in generale e con Toby in
particolare.) Eppure aveva aspe ato sull’uscio finché non erano
riapparsi nel bollore rosso del crepuscolo, due cavalli che si
trascinavano dietro ombre lunghissime. Dolan che ciondolava
ritmico, e Rob poche iarde più avanti, con una faccia così affamata a
sedici anni che Nora si era chiesta come facesse a tenere Toby dri o
in sella davanti a sé con un braccio solo.
«Insomma?» aveva gridato. «L’avete spaventata a boccacce, quella
cosa là fuori?»
Rob aveva messo giù Toby. «Là fuori non c’era un bel niente a
parte qualche pernice e un vecchio guscio vuoto di tartaruga. E
siamo tu i d’accordo che nessuno di loro proverà mai più a
perseguitare Toby.»
A questi era spuntato un sorrise o all’angolo della bocca. La
faccenda pareva sistemata. Seguirono però ma ine su ma ine in cui
Toby si presentava a colazione con gli occhi rossi per l’insonnia. Il
mento che gli scivolava giù dalla mano. Uova sfuggite chiazzavano
l’aia al suo passaggio. Di no e – mentre Emme era in cucina, chino
sulle sue bozze del «Sentinel», e Rob e Dolan di sopra, morti dal
sonno – Nora accostava l’orecchio alla porta di Toby e ascoltava il
raspare irrequieto del suo corpo so o le coperte.
Com’era prevedibile, Emme a ribuiva le difficoltà del figlio a
quella che ormai chiamavano «la disavventura dell’anno scorso».
Tu o quel che non andava in Toby si poteva far risalire a questo: una
caduta da cavallo a marzo, indistinguibile so o ogni aspe o dalle
decine di altre che gli erano capitate nel corso degli anni, così banale
che Nora non si era neppure presa la briga di correre da lui, sul
momento. «Dubito che avrebbe potuto giovare» le aveva assicurato
p
g
in seguito il do or Almenara, dopo aver definito un miracolo che
Toby non fosse rimasto cieco del tu o. Da allora aspe avano sempre
un ritorno della vista all’occhio sinistro, e un po’ di tregua dagli altri
malanni causati dall’incidente: mal di testa che gli davano i conati;
lampi che gli balenavano nel campo visivo; incapacità di distinguere
i sogni dalla veglia.
Era arrivato a temere il buio e le sagome che gli ruggivano contro
dall’abisso ele rico del sonno turbato. Come se non bastasse,
scambiava per pietà la tenerezza di Nora, cosa che lei trovava
ingiusta; nelle occasioni frequenti in cui Toby urtava una parete o
mancava il manico di una tazza, la voglia di prendergli la testolina e
stringerla fra le mani era più forte di lei. Fosse stato troppo piccolo
per ribellarsi, o grande abbastanza da capire, Toby avrebbe potuto
stringere i denti e sopportare quelle a enzioni. Invece aveva proprio
l’età giusta per trovarle intollerabili.
Fortunatamente, però, in quel momento non si chiedeva perché lei
stesse accovacciata al suo fianco in riva al torrente, ascoltandolo con
grande interesse.
«Guarda» disse. «Vedi?»
Lei guardò. Segni familiari deturpavano la riva: un intrico di
tracce di moffe a e porcospino, i solchi lisci e obliqui di un serpente
di traverso al greto.
«Lì» disse Toby, «e lì. Vedi come affonda di più sul davanti?»
Indicava un avvallamento grosso circa quanto un pia ino. Il dito
che trascinava nel fango riusciva solo a farlo sembrare un cuoricino
da libro illustrato.
«Ce ne sono altre?»
Lui le mostrò dove gli pareva di vedere altri graffi che si
perdevano nel fi o delle artemisie, e sul sentiero di caccia orlato di
erbe avvizzite dal caldo.
«Dev’essere andato su da quella parte» fece Toby. «E ha smosso
quei sassi.»
«Ti va di dirmi cosa pensi che sia?»
«Di sicuro non è piccolo.» Per dimostrarlo, la a irò verso la
macchia di bagolari poco più su. Tu i i rami periferici erano stati
saccheggiati. Le poche bacche rimaste, un planetario avvizzito di
globi arancioni, erano tu e ammassate al centro, verso il tronco.
«Vedi?»
«Nessuna creatura vivente si lascia dietro le bacche di bagolaro
durante la siccità, Tobe.» Si stizzì. «Tranne Josie, a quanto pare. Non
le avevo forse de o di venire a raccogliere il resto, prima che ci
pensassero gli uccelli?»
Si sporse a cogliere un fru o e lo offrì a Toby, ma lui si limitò a
spremerlo fino a farne scoppiare la pellicina, e la polpa sabbiosa gli
colò fra le dita. Poi si asciugò la mano sulla gamba dei pantaloni.
Aveva il broncio.
«Che c’è?»
«Pensi che racconto fro ole» disse lui. «Non ti sei neanche
guardata a orno.»
«Non sto guardando?»
«Sì, ma mica pensi davvero di trovare qualcosa.»
Lei si tirò su i calzoni e si spinse nella macchia, fingendo di
cercare qualche segno. I ragazzi ancora chiamavano quel versante
«la pista delle antilopi», benché le sudde e antilopi fossero sparite
da un pezzo, essendosi accorte abbastanza in fre a del misero
capanno che Emme aveva costruito in fondo alla gola, ai tempi in
cui erano appena arrivati lì. Adesso il pendio era una distesa rovente
di erba morta, una serie di tornanti che si inerpicavano su su fino alla
parete rossa del burrone. L’unico cuore a ba ere nei paraggi poteva
appartenere a un corridore della strada che di tanto in tanto
zampe ava da un cespuglio all’altro. Eccone uno, infa i. Scappò via
appena l’ombra di Nora lo sfiorò.
Lei si fermò tra gli alberelli giovani, stordita, continuando a
f
ingere. Si era presa tanto di quel sole. Per quasi tu a la dannata
ma ina le era riuscito di non pensare alla sete. Era accaduto
qualcosa di miracoloso mentre dormiva, che gliel’aveva resa un dato
di fa o, come il respirare. Si sentiva lenta e accaldata, e adesso era
contenta che Toby le avesse fa o rinviare il giro in ci à. Poteva
considerare le cose con meno furia. Che Emme fosse in ritardo di
tre giorni con il carico di acqua da Cumberland non era tanto
insolito. Non avrebbe tardato oltre quella sera, e fino ad allora
q
potevano farsi bastare quella che rimaneva nel barile dell’acqua
piovana. Né era insolito trovare vuoti i le i di Rob e Dolan. Erano
riusciti a prepararsi al buio e ad avviarsi verso la stamperia, come
spesso facevano, senza svegliarla. Una volta placate le paure di Toby
sarebbe subito andata in ci à a portargli il pranzo; prendendo la
strada lunga, con calma e senza fre a. Forse, a pensarci bene, poteva
persino arrischiarsi a passare da Desma per ritirare le bistecche di
cervo. Magari fare un salto da Harlan, casomai la giornata dello
sceriffo andasse a rilento.
«Quassù non c’è niente, Tobe.»
«Non sei andata avanti neppure dieci iarde.»
«Toby.» Lui si rifiutava di guardarla. «Quando posso tornare
indietro, di grazia? Quando mi avrà morsicata un serpente? Che
farai a quel punto, da solo, e coi tuoi fratelli che sono in ci à?»
Chissà come, era passata a cercare di strappargli un sorriso. «Ti
carichi in spalla la mamma e ti rifai tu o il greto con lei sul
groppone?»
La voce di lui era sfa a di tristezza. «Va bene, mamma. Torna
indietro, per favore.»
Lei andò avanti. Aveva gli orli dei calzoni punteggiati di semi
spinosi. Salì la pista che si restringeva fino alla prima curva, dove la
vegetazione si schiacciava sul sentiero. Una cavalle a enorme e
bruna volteggiò di stelo in stelo, fino a diventare un fruscio lontano.
A circa venti iarde sopra di lei, fra i cespugli erano sparse zolle di
muschio. Rosse e scurite dal sole come la ragazza morta che lei ed
Emme avevano trascinato fuori da una caverna giù nel fondovalle,
durante la loro prima estate lì. Secca e scrocchiante come un mucchio
di fascine. Nei punti in cui i muscoli si erano prosciugati, la pelle era
incartapecorita e ammaccata. Sul cranio aveva una zolla di muschio
arancione, proprio come questo. Nessun segno di come avesse fa o a
f
inire lì, ma Emme era dell’idea che vi si fosse infilata per sfuggire
al caldo, e non ne fosse mai più uscita. Con quel ghigno stampato in
faccia da cent’anni, oppure mille, non avrebbero saputo dirlo.
«Non c’è niente, Tobe.»
Giù in basso, suo figlio era tornato a fissare torvo la riva. «A te
non sembra, ecco… diviso in due, mamma?»
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