Coriolano – William Shakespeare

SINTESI DEL LIBRO:
PRIMO CITTADINO - (Agli altri)
Prima d’andare avanti, m’ascoltate!
TUTTI - Parla, parla.
PRIMO CITT. - Decisi allora: morti,
piuttosto che affamati!
TUTTI - Decisi sì!- Decisi!
PRIMO CITT. - Primo: ciascuno sa che Caio Marcio
è il principale nemico del popolo.
TUTTI – È Caio Marcio! Lo sappiamo tutti.
PRIMO CITT. - Uccidiamolo, allora,
e avremo il grano al prezzo nostro! Chiaro?
TUTTI - Chiaro. Basta parole. Andiamo ai fatti!
SECONDO CITT. - Una parola, buoni cittadini.
PRIMO CITT. - “Buoni” dillo ai patrizi!
Noi per loro non siamo che gentaccia!
Il sovrappiù che avanza a lorsignori
già ci procurerebbe alcun sollievo;
quello che avanza dalla loro tavola,
dico, che fosse appena digeribile;
potremmo almeno farci l’illusione
che ci aiutino per umanità;
ma pensano che già costiamo troppo(4).
La macilenza che ci affligge tutti,
a specchio della nostra povertà,
è per loro un inventario ad uomo
per esibire la loro abbondanza.
La nostra sofferenza è il lor guadagno.
Vendichiamoci con le nostre picche
prima che diventiamo dei rastrelli,(5)
ché se parlo così,
sanno gli dèi ch’è per fame di pane,
e non punto per sete di vendetta!
SECONDO CITT. - E vorresti che noi si procedesse
prima di tutti contro Caio Marcio?
PRIMO CITT. - Contro di lui per primo;
è un vero cane, quello, per il popolo.
SECONDO CITT. - Hai ben considerato, tuttavia,
quali servigi egli ha reso alla patria?
PRIMO CITT. - Certamente, e sarei anche contento
di dargliene pubblicamente merito;
ma di ciò lui si paga da se stesso
con la sua boria.
SECONDO CITT. - Via, non dirne male.
PRIMO CITT. - Io ti dico che tutto che di buono
ha fatto è stato per un solo fine;
anche se a certe tenere animucce
può piacere di dire che l’ha fatto
pel suo paese, in verità l’ha fatto
per piacere a sua madre, ed anche, in parte,
per soddisfare la propria ambizione,
ché ce n’ha tanta per quanto ha coraggio.
SECONDO CITT. - Tu gli addebiti a colpa
qualcosa contro cui lui non può niente,
perché fa parte della sua natura.
Non puoi dire però che sia corrotto.
PRIMO CITT. - Questo no, ma di accuse su di lui
ne posso partorire a volontà(6).
Di difetti ce n’ha di sopravanzo,
da stancare ad enumerarli tutti!
(Clamori all’interno)
Ma che son queste grida?…
L’altra parte della città è in rivolta,
e noi ce ne restiamo qui a cianciare?
Al Campidoglio, tutti!
TUTTI - Andiamo!
Andiamo!
PRIMO CITT. - Un momento! Chi è che viene qui?
Entra MENENIO AGRIPPA
SECONDO CITT. - Il buon Menenio Agrippa, un galantuomo,
uno che sempre volle bene al popolo.
PRIMO CITT. - Una persona onesta.
Fossero tutti gli altri come lui!
MENENIO - Ehi, cittadini, che intendete fare,
dove volete andare,
così armati di mazze e di randelli?
PRIMO CITT. - Il motivo lo sa bene il Senato.
È da due settimane
che sanno quello che vogliamo fare.
Ora glielo mostriamo con i fatti.
Loro dicono che noi postulanti
abbiamo il fiato forte: ora sapranno
che abbiamo forti pure mani e braccia(7).
MENENIO - Evvia, signori, buoni amici miei,
onesti miei concittadini, diamine!,
volete rovinarvi?
PRIMO CITT. - Rovinati
già siamo, amico; più non è possibile.
MENENIO - Ed io vi dico invece, brava gente,
che i patrizi si curano di voi
col più caritatevole riguardo.
Quanto a quel che vi manca,
ciò che soffrite in questa carestia,
alzare contro lo Stato romano
le vostre mazze, è come alzarle in aria
con l’intenzione di colpire il cielo:
esso seguiterà per la sua strada,
spezzando mille, diecimila ostacoli
più forti che non possa mai sembrare
quello di questa vostra opposizione.
Quanto alla carestia, sono gli dèi
che l’han voluta, non punto i patrizi,
e davanti agli dèi sono i ginocchi,
non le braccia, che possono soccorrervi.
Ahimè, che voi vi fate trascinare
dalla disgrazia dove altri malanni
v’aspettano, a calunniar così
e maledir come nemici gli uomini
che reggono il timone dello Stato
e di voi son pensosi, come padri.
PRIMO CITT. - Di noi pensosi, quelli? Figuriamoci!
Mai se ne son curati fino ad oggi.
Ecco, ci lasciano morir di fame,
e i magazzini son pieni di grano;
sfornano editti per punir l’usura
e favoriscon solo gli strozzini;
abrogano ogni giorno sane leggi
promulgate a suo tempo contro i ricchi
ed ogni giorno sfornano decreti
sempre più duri per impastoiare
ed affamare la povera gente.
Se non saran le guerre,
saranno loro a sterminarci tutti.
Ecco qual è l’amore che ci portano.
MENENIO - Dovete ammettere che a dir così
siete mostruosamente in malafede,
o si dovrà accusarvi di follia.
Vi voglio raccontare una storiella
su misura(8). L’avrete già sentita,
ma poiché ben s’adatta al mio proposito,
m’avventuro a ridurla un po’ più trita.
PRIMO CITT. - Beh, sentiamola un po’. Ma non pensare
di far sparire con un raccontino
il nostro obbrobrio. Dilla, se ti piace.
MENENIO - Successe un tempo che tutte le membra
del corpo si levarono in rivolta
contro lo stomaco, così accusandolo:
restarsene esso solo, in mezzo al corpo,
a ingozzarsi di cibo tutto il tempo
come un gorgo, infingardo ed inattivo,
senza divider mai con l’altre parti
il lavoro comune, mentre quelle
eran continuamente ad esso intente,
ad udire, a pensare, a impartir ordini,
a camminare, a percepir coi sensi,
sì che aiutandosi l’una con l’altra,
provvedevano insieme agli appetiti
e ai bisogni comuni a tutto il corpo.
Lo stomaco rispose…
PRIMO CITT. - Beh, sentiamo,
quale fu la risposta dello stomaco?
MENENIO - Stavo appunto per dirtelo. Lo stomaco,
mostrando loro un certo sorrisetto
che non gli venne affatto dai polmoni(9)
ma proprio qui, così…(10) perché, vedete,
se posso farlo parlare, lo stomaco,
posso ben farlo egualmente sorridere,
provocatoriamente replicò
alle parti che s’eran ribellate
invidiose ch’ei solo ricevesse,
esattamente come adesso voi
che criticate i nostri senatori
perché non sono quali siete voi.
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