Complotto – Robert Ludlum

SINTESI DEL LIBRO:
La Ville lumière si era oscurata. Da quando, sei mesi prima, i
nazisti avevano invaso la Francia e ne avevano assunto il controllo,
la città più grande del mondo si era trasformata in un luogo sperduto
e desolato. I quais lungo la Senna erano deserti. L'Arc de Triomphe
e Place de l'Etoile – il cui splendore rischiarava un tempo il cielo
notturno di Parigi – erano ora luoghi tetri e abbandonati. Sopra la
Tour Eiffel, là dove garriva il tricolore francese, sventolava ora una
bandiera con la svastica. Parigi era silenziosa. Sulle strade quasi
non si vedevano più auto né taxi. La maggior parte dei grands hôtels
era stata occupata dai nazisti. Le allegre risate e le scorribande
serali della gente per le strade erano completamente scomparse. E
non c'erano più neppure gli uccelli, vittime delle esalazioni della
benzina bruciata durante i primi giorni dell'incursione tedesca. Di
sera la gente rimaneva perlopiù in casa, intimidita dagli occupanti,
dal coprifuoco, dalle nuove leggi, dai soldati in uniforme verde della
Wehrmacht che pattugliavano le strade brandendo baionette e
pistole. L'orgogliosa metropoli di un tempo era sprofondata nella
disperazione, nella fame, nel terrore. Persino l'aristocratica Avenue
Foch, la più ampia e grandiosa via di transito di Parigi, con la sua
schiera di belle facciate in pietra bianca, aveva un'aria gelida e
battuta dal vento.
Con un'unica eccezione. Un palazzo privato, o hôtel particulier,
era tutto illuminato. Dall'interno provenivano suoni lontani: la musica
di un'orchestra swing, il tintinnio della porcellana e del cristallo, voci
eccitate, risa sfrenate. Era un'isola fulgida e privilegiata,
particolarmente vistosa in quel contesto desolato. L'Hôtel de
Châtelet era la sontuosa residenza del conte Maurice Léon Philippe
du Châtelet e di sua moglie, l'ospitale e leggendaria Marie-Hélène. Il
conte du Châtelet, industriale di enorme ricchezza, era un ministro
del governo collaborazionista di Vichy, ma era noto soprattutto per i
suoi ricevimenti, che aiutavano a sostenere il morale di tout Paris
durante i cupi giorni dell'occupazione. L'invito a un ricevimento
all'Hotel de Châtelet era un onore quant'altri mai ambito e invidiato in
società, atteso per settimane. Soprattutto in quel periodo di carestia
e di razionamento del cibo, quando in città era praticamente
impossibile trovare caffè, burro o formaggio veri, e solo chi aveva
ottimi agganci era in grado di reperire carne e ortaggi freschi. Un
invito a un cocktail dagli Châtelet offriva la possibilità di mangiare a
sazietà. In quella bella casa ci si dimenticava di vivere in una città
brutalmente angariata.
Il ricevimento era già bene avviato quando giunse, con molto
ritardo, un ospite accompagnato da un servitore. L'ospite era un
giovane di notevole bellezza, sui ventotto anni, con folti capelli neri,
grandi occhi castani che sembravano luccicare di malizia, e il naso
aquilino. Era alto e robusto, con un fisico asciutto e atletico.
Consegnò il soprabito al maître d'hôtel con un cenno del capo,
quindi sorrise e disse: «Bonsoir, merci beaucoup.»
Si chiamava Daniel Eigen. Viveva a Parigi da circa un anno,
allontanandosene solo di tanto in tanto, ed era un frequentatore
regolare di quei circoli privilegiati, dove era noto come ricco
argentino ed eccellente partito.
«Ah, Daniel, amore mio», intonò enfatica Marie-Hélène du
Châtelet, la padrona di casa, quando Eigen fece il suo ingresso nella
sala da ballo affollata. L'orchestra stava suonando una nuova
canzone, che lui riconobbe: How High the Moon.
Madame du Châtelet, al centro della sala, l'aveva visto e si era
diretta verso di lui con l'esuberanza che normalmente riservava agli
ospiti molto ricchi o molto potenti: il duca e la duchessa di Windsor,
ad esempio, o il governatore militare tedesco di Parigi. La padrona di
casa, una bella donna sulla cinquantina, che indossava un vestito di
Balenciaga dalla profonda scollatura scelto perché metteva in risalto
il suo ampio seno, era chiaramente infatuata del giovane ospite.
Daniel Eigen la baciò su entrambe le guance, e lei lo strinse a sé per
un attimo, sussurrandogli in francese con aria confidenziale: «Mio
caro, sono così felice che tu sia riuscito a venire. Avevo tanta paura
che non ti facessi vivo.»
«Per perdermi, così, un ricevimento all'Hotel de Châtelet?» fece
Eigen. «Crede forse che mi abbia dato di volta il cervello?»
Da dietro la schiena estrasse una piccola scatola avvolta in carta
dorata.
«Per lei, madame. L'ultima goccia rimasta in Francia.»
La signora afferrò raggiante il pacchetto, strappò avidamente la
carta ed estrasse una boccetta di cristallo quadrata che conteneva
un profumo Guerlain. Rimase senza fiato per la sorpresa.
«Ma... ma "Vol de Nuit" è introvabile.»
«In effetti, è così», ammise Eigen con un sorriso. «Non lo si trova
da nessuna parte.»
«Daniel! Sei troppo carino, così pieno di pensieri gentili. Come
facevi a sapere che è il mio preferito?»
Lui si strinse modestamente nelle spalle. «Ho la mia rete di
informatori privati.»
Madame du Châtelet corrugò la fronte, agitando l'indice a mo' di
rimprovero.
«Con tutto quel che hai già fatto per procurarci il Dom Pérignon!
Sei davvero troppo generoso. Comunque, sono felicissima di vederti:
di questi tempi, caro mio, i giovanotti belli come te sono rari come
denti di gallina. Dovrai perdonare alcune mie ospiti se perderanno la
testa per te. Quelle che non l'hanno già persa, voglio dire.» Abbassò
di nuovo la voce. «Yvonne Printemps è qui con Pierre Fresnay, ma
sembra essere di nuovo a caccia, quindi sta' in guardia.» Si riferiva
alla famosa diva della commedia musicale. «E Coco Chanel è
venuta con il suo nuovo amante, quel tedesco con cui vive al Ritz.
Sta facendo un'altra delle sue tirate contro gli ebrei: questa storia sta
diventando veramente tediosa.»
Eigen prese un flûte di champagne dal vassoio d'argento portogli
da un servitore. Si guardò intorno nell'immensa sala da ballo dal
pavimento di parquet degno di un sontuoso château, le pareti
rivestite di pannelli bianchi e dorati, decorati a intervalli regolari con
arazzi Gobelin, i suggestivi dipinti dello stesso artista che avrebbe
decorato in seguito le volte di Versailles. Ma non erano tanto le
decorazioni a interessarlo, bensì gli ospiti. Osservando la folla che lo
circondava, riconobbe molte persone. Erano le solite celebrità: la
cantante Edith Piaf, che guadagnava ventimila franchi a serata,
Maurice Chevalier e divi del cinema di ogni genere, ora al servizio
della compagnia cinematografica Continental, di proprietà tedesca e
diretta da Goebbels, che produceva solo film approvati dai nazisti. Il
solito gruppo di scrittori, pittori e musicisti che non si lasciavano
sfuggire una sola di quelle rare occasioni di mangiare e bere a
sazietà. E i soliti banchieri e industriali francesi e tedeschi, che
facevano affari con i nazisti e il loro regime fantoccio di Vichy. Infine,
c'erano gli ufficiali nazisti, che in quel periodo occupavano una
posizione di grande rilievo in società. Indossavano tutti l'uniforme;
molti ostentavano monocoli e portavano baffetti alla Hitler. Il
governatore militare tedesco, il generale Otto von Stülpnagel.
L'ambasciatore tedesco in Francia Otto Abetz e la sua giovane
moglie francese. Il Kommandant von Gross-Paris, l'anziano generale
Ernst von Schaumburg che, con i suoi capelli tagliati corti e le sue
maniere prussiane, era conosciuto come «la Roccia bronzea.»
Eigen li conosceva tutti. Li incontrava regolarmente in salotti
come quello, ma ciò che contava di più era che aveva fatto favori
alla maggioranza di loro. I padroni nazisti della Francia non solo
tolleravano il cosiddetto mercato nero, bensì ne avevano bisogno
come tutti gli altri. Come avrebbero fatto, altrimenti, a trovare crema
emolliente o cipria per le loro mogli e le loro amanti? Dove avrebbero
trovato una bottiglia di Armagnac decente? Persino i nuovi padroni
tedeschi della Francia pativano le privazioni della guerra. Un
operatore del mercato nero come Daniel Eigen era dunque sempre
molto richiesto.
Si sentì una mano sulla manica. Subito riconobbe le dita
tempestate di diamanti di una sua ex amante, Agnès Vieillard.
Benché scosso da uno spasmo di terrore, si girò con il volto
illuminato da un sorriso. Non la vedeva da mesi. Agnès era una
donna minuta e attraente dai capelli rosso fuoco, sposata con un
uomo d'affari di spicco, Didier, mercante di armi e proprietario di
cavalli da corsa. Daniel aveva conosciuto Agnès, donna adorabile,
benché dotata di istinti sessuali smodati, all'ippodromo di Long
champ, dove lei aveva un palco privato. In quel periodo suo marito si
trovava a Vichy, a fare da consulente al governo fantoccio. Si era
presentata all'argentino bello e ricco come una “vedova di guerra.
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