Compiti a casa – Kaje Harper

SINTESI DEL LIBRO:
Il detective Jared MacLean tirò un calcio alla caviglia del suo partner
cercando di non perdere l’equilibrio sul marciapiede ghiacciato. «Gesù, Oliver.
Devi proprio mangiarlo adesso?»
Il collega più anziano lo ignorò e morse il sandwich al bacon super-unto
che aveva scelto per colazione. «Che c’è? Ho fame, il cibo si raffredda ed è
roba che abbiamo già visto. Tira fuori le palle.»
Seguì un attimo di imbarazzo. Oliver spostò il peso lievemente,
allontanandosi da lui, e Mac decise che non era soltanto la sua immaginazione.
Da quando aveva fatto coming-out, tre mesi prima, Mac aveva sudato sette
camicie per non cambiare di una virgola il rapporto con il socio. Tuttavia, ogni
volta che usciva l’argomento sesso, per quanto innocentemente, aveva sempre
l’impressione che Oliver lo tenesse d’occhio in attesa di una possibile reazione
strana. Come se sapere che Mac fosse gay lo avesse reso all’improvviso una
persona diversa dall’uomo con cui aveva lavorato negli ultimi tre anni. Le cose
stavano lentamente migliorando, ma quella sensazione di stranezza non era
scomparsa del tutto. Mac si era reso conto di quanto si fossero sentiti sempre a
proprio agio, lui e Oliver, solo nel momento in cui avevano smesso di esserlo.
Poteva solo ignorare il cambiamento e lasciare a Oliver il suo tempo.
Altro tempo. Mac si appoggiò con il gomito al parapetto del ponte e guardò il
Mississippi. Il vento freddo rendeva la vista lievemente sfocata e si coprì
meglio la testa con il cappuccio. L’orologio segnava appena le cinque del
mattino ed era ancora buio pesto. I giorni più corti dell’anno si stavano
avvicinando. Le persone con un po’ di buon senso stavano ancora dormendo,
ma le luci della città non si oscuravano mai del tutto, nemmeno a quell’ora. I
colori scintillavano sul ghiaccio lungo i bordi del fiume. Più vicino, sotto i suoi
piedi, l’acqua scura scorreva e vorticava attorno ai piloni nelle ondate
provocate dal vento, più rumorose che visibili. Prima o poi, il fiume si sarebbe
ghiacciato, ma nonostante la morsa amara di quella notte novembrina, ci
sarebbero voluti più tempo e temperature più gelide per riuscire a sottomettere
quelle ampie acque.
Mac lanciò un’occhiata al corpo senza vita sul marciapiede. L’uomo era
un cumulo immobile, le braccia ripiegate all’ingiù, la faccia sepolta sotto una
massa di capelli arruffati. C’era una piccola pozza di sangue, ora trasformata in
ghiaccio rosso, che si espandeva sotto la testa del cadavere. La squadra Omicidi
del Dipartimento di polizia di Minneapolis era stata chiamata sulla scena del
crimine, nel caso in cui il decesso fosse stato dovuto a qualcosa di diverso da
una semplice scivolata letale. Dopo una sola occhiata, Oliver aveva deciso di
precludere l’accesso alla zona e di attendere l’arrivo del coroner.
Il collega gli si accostò, ancora mangiucchiando quel dannato sandwich.
«Che ne pensi? L’hanno ucciso qui o solo scaricato?»
«Una strana scelta per disfarsi di un cadavere.»
«Forse avevano intenzione di scaricare il tizio nel fiume ma non hanno
fatto i conti con l’altezza della balaustra.»
«O qualcosa li ha spaventati prima di riuscire a buttarlo in acqua. Ma
rimane un luogo un po’ troppo pubblico anche solo per provarci.»
«Forse è davvero scivolato e basta.» Il tono di Oliver però era dubbioso.
Mac nutriva dei sospetti che il suo partner sembrava condividere. Gli abiti
malridotti, i capelli sporchi e la magrezza di quel corpo così poveramente
vestito suggerivano che la vittima fosse uno di quei disgraziati che cercavano di
arrivare alla fine dell’inverno del Minnesota vivendo sulla strada. Quando
iniziava a fare così freddo, alcuni di loro non riuscivano a sopravvivere. Troppo
spaventati, troppo pazzi, troppo fatti di alcol o droga per trovare un riparo,
finivano per morire di freddo in quelle temperature proibitive. Ma quell’uomo
non aveva motivo di trovarsi sul camminamento pedonale che attraversava il
fiume con un tempo del genere. Piuttosto avrebbe dovuto rimanere
rannicchiato su se stesso in un qualche riparo di fortuna, sopra un condotto di
scarico o ben nascosto dentro una scatola. Non a spasso su una stradina
spazzata da un vento gelido. Inoltre, la posa immobile non suggeriva una
caduta naturale. Forse era stato inseguito fino a lì, attirato in quel punto.
Scaricato. In ogni caso, qualcosa non tornava. Lo stato dei vestiti suggeriva che
era stato rapinato, sebbene non dovesse possedere un granché. Forse si era
trattato solo di un opportunista che si era imbattuto per caso nel cadavere, ma
ciò avrebbe significato che un’altra persona se ne era andata in giro come se
niente fosse su quel ponte ghiacciato nella notte gelida. Poco probabile.
Tuttavia, Oliver aveva ragione: Mac non aveva mai visto niente del
genere. Erano stati i piedi nudi e ghiacciati infilati in scarpe da ginnastica
inadeguate ad attirare la sua attenzione. Qualcosa in quelle caviglie magre e
pallide gli aveva ricordato l’uomo che aveva lasciato a casa, nel suo letto. E
associare Tony alla morte non aveva mai un bell’effetto sul suo stomaco.
Oliver terminò il suo pasto da fast food e accartocciò l’involucro con
attenzione nella tasca in modo che la carta o il grasso non contaminassero la
potenziale scena del crimine. «È più probabile che sia stato ucciso qui. Se
volevano scaricarlo, perché non si sono fermati in un punto migliore per
riprovarci? Perché lasciare qui il cadavere, dove tutti potevano vederlo?»
Mac scrollò le spalle. Ormai aveva smesso di chiedersi perché la gente
facesse tutte quelle cose stupide. Magari sarebbe saltato fuori un motivo logico
o inquietante che spiegasse perché il cadavere fosse finito in quel punto. Se
non si trattava della scena del crimine, forse la persona che lo aveva scaricato si
era spaventata o ci aveva rinunciato, poteva aver detto “Al diavolo” e deciso di
andare a bere qualcosa. Di recente, si era imbattuto in troppi casi in cui il
quoziente intellettivo del colpevole era inferiore alla misura delle sue scarpe.
«Vado a sedermi in macchina, lontano da questo vento del cazzo,» gli
disse Oliver.
«Io aspetto qui. Il coroner dovrebbe arrivare da un minuto all’altro.»
«Avvisami se dice che è omicidio. Mi fanno male le ginocchia dal freddo.»
Mac annuì. Era un po’ stupido starsene lì in piedi, a congelarsi le palle
quando anche la sua auto era parcheggiata accanto al marciapiede. Tra le luci
intermittenti di tre autopattuglie, la sua carretta arrugginita appariva proprio
quel catorcio che era, ma se non altro gli avrebbe offerto riparo dal vento.
Tuttavia, la punta di masochismo che c’era in lui lo fece rimanere inchiodato lì,
ingobbito nel suo parka, a far compagnia a un morto fino all’arrivo
dell’ambulanza.
Il coroner che quella gelida mattina aveva avuto il piacere di essere stata
scelta fu Gretchen Peterson. Uscì dal suo furgoncino accanto al marciapiede e
oltrepassò le barriere in cemento che proteggevano il camminamento pedonale
dal traffico. Era una donna bionda di mezza età, bassa, vestita con pantaloni
sartoriali e cappotto su misura, nonostante l’ora e la sua professione. Gli stivali
col tacco furono la sua rovina quando varcò il marciapiede ghiacciato e per
poco non scivolò. La contorsione che fece per rimettersi in equilibrio sembrò
dolorosa e Mac prese nota mentalmente dell’originale alternativa alle parolacce
che seguì. Gretchen si fermò, scambiò un cenno di saluto con Oliver, che stava
osservando dal tepore della sua auto, poi si avvicinò a Mac con cura esagerata.
«Questo stupido marciapiede è una cavolissima pista di pattinaggio,»
borbottò.
«Temo che il nostro uomo non fosse molto bravo con i pattini.» E indicò
il cadavere.
«Povero bastardo.» Gretchen si sfilò le calde muffole e infilò un paio di
guanti in lattice. Si accovacciò con molta attenzione e toccò il collo del morto,
quindi fece scivolare una mano sotto l’ascella. «Mmm.»
«Cosa c’è?»
«È successo da poco. Congelamento superficiale, non profondo.» Mise le
dita sotto la testa del cadavere con uno sguardo concentrato sul viso, poi si
bloccò. «Merdina.»
«Cosa?»
La donna sospirò. «Spero che voialtri abbiate indossato i vostri
mutandoni di lana, perché questo tizio presenta una contusione sul cranio che
non combacia per niente con il cemento piatto e lurido su cui è sdraiato.»
«Merda.» Non era una sorpresa, ma aveva sperato come sempre di
sbagliarsi.
«È quello che ho detto io. Più o meno.» Gretchen si raddrizzò. «Beh, non
ho problemi a certificare che è davvero morto. Ora vado a sedermi nel mio bel
furgoncino al calduccio fino a quando avrete finito di scattare le vostre foto.
Avvisatemi quando sarà tutto mio.»
«Ora della morte? Riesci a darmi un’indicazione?»
La donna si strinse nelle spalle. «Ti saprò dire appena gli prenderò la
temperatura interna e farò i calcoli con quella esterna. Prima ipotesi? È morto
da non meno di un’ora e da non più di sei.»
«È successo qui?»
«Credi che abbia la sfera magica? Richiedimelo dopo l’autopsia.» Esitò,
quindi guardò in basso. «Non posso nemmeno dirti se sia stato il colpo a
ucciderlo o questo accidenti di freddo gelido. Ma posso dirti che è stata una
bella botta.»
Mac annuì e seguì quella donna piccola e robusta verso il suo furgoncino.
Oliver uscì dall’auto appena gli furono vicini. «Allora?»
«Qualcuno lo ha fatto fuori,» disse Mac al suo partner. «Credo che
rimarremo qui per un po’.»
Lo sguardo di Oliver si affilò e mise mano al cellulare, armeggiando
impazientemente con le dita avvolte nei guanti. «Chiamo i ragazzi della
scientifica e li faccio venire qui. Tu fai delimitare il perimetro dagli agenti e poi
vai a parlare con la donna che ha trovato il cadavere.»
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