Ci proteggerà la neve – Ruta Sepetys

SINTESI DEL LIBRO:
Il senso di colpa è un cacciatore.
La mia coscienza mi scherniva, punzecchiandomi come un
bambino fastidioso.
“È tutta colpa tua”, sussurrava la voce.
Affrettai il passo e raggiunsi il nostro gruppetto. Se i
tedeschi ci avessero trovato, ci avrebbero allontanato dalla
strada tra i campi. Le strade erano riservate ai militari. Non
erano stati emanati ordini di evacuazione e chiunque
fuggisse dalla Prussia Orientale veniva bollato come
disertore. Ma cosa importava? Io avevo disertato quattro
anni prima, quando ero fuggita dalla Lituania.
La Lituania.
Me n’ero andata nel 1941. Cosa stava succedendo a casa?
Erano vere le cose terribili che si sussurravano in giro?
Ci avvicinammo a un cumulo di neve sul ciglio della strada.
Il bambino davanti a me lo indicò piagnucolando. Si era
unito a noi due giorni prima: era semplicemente uscito da
solo dal bosco e senza dire niente aveva cominciato a
seguirci.
«Ciao, piccolino. Quanti anni hai?» gli avevo chiesto.
«Sei», aveva risposto.
«Con chi stai viaggiando?»
Lui era rimasto zitto un attimo e aveva abbassato la testa.
«Con la mia Omi.»
Mi ero voltata verso il bosco per vedere se arrivava anche
la sua nonna. «Dov’è la tua Omi adesso?»
Il bambino smarrito mi aveva guardato sgranando gli occhi
pallidi. «Non si è svegliata.»
Così il piccolo aveva proseguito con noi, spesso vagando
poco più avanti o più indietro. E ora si era fermato a indicare
un lembo di lana scura sotto una meringa di neve.
Feci cenno al gruppo di procedere e, quando tutti ebbero
ripreso a camminare, corsi verso il cumulo di neve. Il vento
sollevò uno strato di fiocchi gelati, rivelando la faccia blu,
morta, di una donna probabilmente poco più che ventenne.
Aveva la bocca e gli occhi spalancati, con un’espressione
fissa di paura. Frugai nelle sue tasche ghiacciate, ma erano
già state ripulite. Nella fodera della giacca trovai i suoi
documenti. Me li infilai nel cappotto per consegnarli alla
Croce Rossa e trascinai il corpo lontano dal ciglio, in mezzo
al campo. Era morta, congelata e rigida, ma non sopportavo
il pensiero che i carri armati le passassero sopra.
Raggiunsi di corsa gli altri. Il bambino smarrito era fermo
in mezzo alla strada, la neve che gli cadeva tutto intorno.
«Non si è svegliata neanche lei?» mi chiese a bassa voce.
Scossi la testa e gli presi la mano infilata in una muffola.
Poi entrambi lo udimmo in lontananza.
Bang.
FLORIAN
Il destino è un cacciatore.
I motori ronzarono in stormo sopra la mia testa. Der
Schwarze Tod la chiamavano, «la Morte Nera». Mi nascosi
sotto gli alberi. Gli aerei non erano visibili, ma li avvertivo.
Vicini. Intrappolato dall’oscurità davanti e dietro di me,
valutai le alternative. Ci fu un’esplosione e la morte si
avvicinò strisciando, avvolgendomi in dita di fumo.
Mi misi a correre.
Mi cedevano le gambe, inerti, scollegate dalla mia mente
in subbuglio. Le incitavo a muoversi, ma la coscienza
prendeva al laccio le caviglie e tirava forte.
«Sei un giovane pieno di talento, Florian», aveva detto mia
madre.
«Sei prussiano. Fai le tue scelte, figliolo», aveva detto mio
padre.
Avrebbe approvato le mie decisioni, i segreti che ora mi
portavo in spalla? In mezzo a questa guerra fra Hitler e
Stalin, mia madre mi avrebbe considerato ancora pieno di
talento oppure un criminale?
I sovietici mi avrebbero ucciso. Ma come mi avrebbero
torturato prima? I nazisti mi avrebbero ucciso, ma solo se
avessero scoperto il mio piano. Per quanto sarebbe rimasto
segreto? Quelle domande mi spingevano avanti, a tutta
velocità attraverso il bosco freddo, evitando i rami. Con una
mano mi stringevo il fianco, nell’altra tenevo la pistola. Il
dolore si ripresentava a ogni respiro e a ogni passo, mentre
sangue caldo sgorgava dalla ferita infetta.
Il rumore dei motori si allontanò. Ero in fuga da giorni e
avevo l’impressione che la mia mente fosse debole come le
gambe. Il cacciatore predava chi era spossato ed esausto.
Dovevo riposarmi. Il dolore mi fece rallentare il passo fino a
camminare. Attraverso gli alberi fitti del bosco scorsi dei
rami che nascondevano un vecchio deposito sotterraneo per
le patate. Vi saltai dentro.
Bang.
EMILIA
La vergogna è una cacciatrice.
Mi sarei riposata un attimo. Ce l’avevo un attimo, no?
Scivolai sulla terra fredda e dura verso il fondo della
caverna. Il suolo tremò. I soldati erano vicini. Dovevo
muovermi ma mi sentivo stanchissima.
Era stata una buona idea mettere dei rami davanti
all’ingresso del deposito nel bosco, vero? Nessuno si sarebbe
spinto così lontano dalla strada. O no?
Mi tirai sulle orecchie il berretto di lana rosa e mi chiusi
per bene il cappotto sulla gola. Anche se ero infagottata in
strati di vestiti, i denti di gennaio mordevano pungenti. Le
dita avevano perso la sensibilità. Quando giravo la testa, mi
si spezzavano ciocche di capelli ghiacciate sul collo. Così
ripensai ad August.
Mi si chiusero gli occhi.
E poi si riaprirono.
Lì c’era un soldato russo.
Si chinò su di me con un fiammifero acceso, toccandomi la
spalla con la pistola.
Sobbalzai e strisciai disperatamente all’indietro.
«Fräulein.» Sorrise, contento che fossi viva. «Komme,
Fräulein. Quanti anni hai?»
«Quindici», sussurrai. «Ti prego, non sono tedesca. Nicht
Deutsche.»
Non mi ascoltò, non mi capì o non gli importava. Mi puntò
contro la pistola e mi tirò per una caviglia. «Ssh, zitta!» Mi
infilò la pistola sotto il mento.
Lo implorai. Incrociai le mani sulla pancia e lo supplicai.
Si avvicinò.
No. Non sarebbe successo. Girai la testa. «Sparami,
soldato. Ti prego.»
Bang.
ALFRED
La paura è una cacciatrice.
Ma noi guerrieri coraggiosi scacciamo via la paura con un
guizzo del polso. Noi ridiamo in faccia alla paura, la calciamo
dall’altra parte della strada come una pietra. Sì, Hannelore,
compongo queste lettere prima nella mente, dato che non
posso abbandonare i miei uomini tutte le volte che penso a
te, e sono tante.
Saresti orgogliosa del tuo compagno attento, il marinaio
Alfred Frick. Oggi ho salvato una giovane donna che stava
cadendo in mare. Non è stato niente di che, in effetti, ma lei
era così riconoscente che mi si è avvinghiata addosso.
«Grazie, marinaio.» Il suo sussurro caldo ha indugiato nel
mio orecchio. Era piuttosto carina e odorava di uova fresche,
ma ci sono state molte ragazze riconoscenti e carine. Oh,
non preoccuparti. Tu e il tuo maglione rosso siete al primo
posto nei miei pensieri. Con che affetto, e quanto spesso,
penso alla mia Hannelore e ai giorni del maglione rosso!
Sono sollevato che tu non sia qui a vedere quello che
succede. Il tuo cuore tenero non riuscirebbe a sopportare i
rischi che si corrono al porto di Gotenhafen. In questo
preciso istante sto facendo la guardia a esplosivi pericolosi.
Servo bene la Germania. Ho solo diciassette anni, eppure
sono più intrepido di tanti che hanno il doppio della mia età.
Si parla di una cerimonia d’onore, ma io sono troppo
occupato a combattere per il Führer per accettare medaglie.
Le medaglie al valore sono per i morti, gli ho detto. Noi
dobbiamo combattere fintanto che siamo vivi!
Sì, Hannelore, lo dimostrerò a tutta la Germania. C’è
davvero un eroe dentro di me.
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