Canone del desiderio – Richard Powers

SINTESI DEL LIBRO:
La notizia è arrivata oggi: quaro righe pigiate in un cartoncino per
schedario. Dopo mesi in cui mi ero preparata al peggio, alla fine mi tocca
leggerla per caso, annotare in frea la data finale. L’esperimento è finito, il
door Ressler è morto, le sue molecole divise in parti, senza lasciare
alcuna copia. Non riesco né a distruggere il messaggio né a traenermi dal
rileggerlo. La notizia è di qualche giorno fa. Ho avuto un preavviso di un
anno. Ma nelle mie cellule non è rimasto un tempo sufficiente per capirlo.
Il carillon meccanico, il suo corpo, si è crepato un’ultima volta sulla leva.
elle quaro note, quei quaro venti, quei quaro angoli di un mondo
perfeo in cui perdersi si sono perduti in un valore medio.
Un tempo, quando parlava, riuscivo quasi a seguire in lui la melodia
interiore dal giorno della creazione. Per alcuni mesi, ho suonato quel
motivo a orecchio. Ora più nulla. Rumore. Ho leo l’appunto tua la sera,
aspeando la frase che gli avrebbe dato un senso. Le uniche parole che mi
si offrono spontaneamente sono le sue: il door Ressler, che si fa strada tra
le intemperie dell’inverno, nella bufera che ci aveva bloccati in una
capanna scomparsa, illustrandoci tua la storia naturale con un’ironica
alzata di spalle: “Cosa potrebbe esserci di più semplice?”
Avevo il sentore che sarebbe successo. Per una seimana, un freddo
fuori stagione – pungente, ventoso, più adao alla fine che all’inizio
dell’estate. La noe scorsa il gelo ha raggiunto il picco. Ho dormito soo
un parfait di lana, il peso mi obbligava a stare soo. Cedendo alla paura
irrazionale
di
courants d’air suscitata da troppa leeratura
nell’adolescenza, ho sigillato l’appartamento. Non c’era nessuno nei
paraggi che potesse obieare. Eccitata dal gelo nourno, l’invisibile
indicatore dei gradi, mi sono addormentata solo poco alla volta. Ero
coricata sulle lenzuola fredde come il metallo, consapevole di ogni mio
poro, incapace di traenere i ricordi. alcosa stava per succedere.
Speranza precipitosa, tenace, come sempre, una funzione del maltempo.
Ho araversato quello stato ibrido senza sogni ritornando con la mente
a quel weekend iridescente nei boschi. Il mondo familiare riorganizzato,
avvolto in un sigillante argentato. Noi tre avanzavamo di nuovo a fatica
lungo la superficie glaciale: alberi sperali ricoperti di una patina vitrea.
Fossili di uccelli e scoiaoli contrassegnavano i cumuli. La neve cancellava
i sentieri, avvitava i fili dell’alta tensione in elaborate siepi di lino,
decorava la nostra baita con contrafforti e pigne gotiche. Percorrevo quel
luogo trasformato accanto ai miei due uomini, uno in un abito spigato,
l’altro in un giubboo da marinaio blu scuro. Il door Ressler camminava
tra Franklin e me, indicando meraviglie nel mondo alterato, i suoi
lineamenti spigolosi come l’incantevole pastore del presepe della mia
infanzia. Le spirali delle sue orecchie simili a quelle delle conchiglie, il
naso scarno, arrossato dal freddo intenso, mentre le sue ciglia si ornavano
dei fiocchi che imperlavano il manto dei suoi capelli.
Ci spingemmo ancor più addentro il paesaggio ricoperto di neve, nelle
ramificazioni bronchiali di un polmone accessibile. Franklin e io infilammo
le mani soo le giacche l’uno dell’altra, accampando la scusa di dover
mantenere il caldo. A leo, la mia pelle percepiva ancora il freddo
dell’anno prima delle dita di quel ragazzo contro le mie costole. Ressler
vedeva tuo: i rigonfiamenti della corteccia delle galle causate dagli
insei, l’entrata di una tana ricavata penetrando la polvere indurita.
Sicuramente vedeva il modo in cui Franklin e io riuscivamo a scaldarci, e
con ogni probabilità lo considerava il più comprensibile dei misteri
dell’inverno. ando indicava col dito, l’arcata di rami gelati diventava la
costolatura di una volta. Ogni suo cenno abitava il paesaggio, scoprendo
lanterne cinesi da piae distese. Si accasciava sulle ginocchia nella neve,
scuoteva la testa per l’incomprensione, e proprio come il mondo di
cristallo, sembrava scheggiarsi. Doveva aver scoperto di nuovo, con
sguardo feroce, la scala evolutiva, perché il suo volto si girava e lui
volgeva lo sguardo verso di noi, pieno di aesa.
Soo strati di coperte, ho rallentato il sogno, gli ho impedito di parlare,
ho prolungato quel momento vulnerabile che sarebbe andato in pezzi alla
minima formula. La sua gola si irrigidì; le sue labbra si mossero
silenziosamente come un leore di sostegno. Diventò l’organo a pompa
che avevamo suonato a sei mani, in procinto di produrre l’unica frase
sufficiente per inneggiare a questa massa di deagli grezzi. Le tracce delle
creature, tui gli elaborati trilli e mordenti dell’inverno parevano una sola
colonna sonora, uno strumento vibrante il cui unico proposito era scandire
la sequenza melodica delle sue stesse istruzioni – quaro frasi, quaro
stagioni, ogni gene la teoria della sua stessa esposizione. Lui stava per
canticchiare, in poche note, il nastro codificato di tuo ciò che ci stava
succedendo e di tuo ciò che non sarebbe successo. Ma le sue labbra
soili, puerili, blu, sciupate nella mezza età – non riuscirono a liberare la
prima tonalità.
Come prima, Franklin lo sfidò. “Sei tu il biologo. Raccontaci cosa sta
accadendo.” Ogni particolare del viso di Ressler si ingrandì: le grinze del
collo piegato simili a strade interstatali, i lobi logorati dal gelo, il punto sul
mento scongelato dal respiro. Le sue viscere, con il processo che persino
allora diventava più complesso, conoscevano già il tumore. esta volta, il
door Ressler non rispose. Se ne era andato, sgusciato via da soo il peso
del bianco.
E poi stamani, quasi in aesa che commeessi un errore, l’estate ha
scelto il suo momento per scoppiare. Il sistema di bassa pressione che si
era soffermato sulla cià è passato, portando finalmente il tempo
atmosferico in sintonia con il calendario. Infagoata soo strati di coperte
nella camera satura di aria viziata, mi sono svegliata fradicia di sudore nei
vestiti di flanella. Mi sono detersa passandomi la spugna sul corpo, mi
sono lavata i capelli, ho preparato una banale colazione e mi sono lavata i
denti senza convinzione. Mi sono seduta nell’angolino dove solitamente
mangio, al primo, intenso caldo estivo, cercando di richiamare alla mente
quel paesaggio nevoso. Una volta sveglia, ho lasciato che l’uomo
rivolgesse la domanda che prima avevo anticipato: cosa potrebbe esserci di
più semplice? Nonostante tuo, lui è rimasto un genetista, con un debole
per il modello funzionale, la sequenza generativa. Ma la sua semplice
spiegazione di quaro frasi era tanto irrecuperabile dal mio tavolo da
pranzo quanto quel fine seimana nel New Hampshire, l’intero anno
cancellato.
Un frammento, indoo dall’endorfina, del tuo banale: è più facile
contare le noi popolate di sogni che quelle in cui non sogno. Eppure,
questo qui ha illuminato la mia maina. Ho sentito l’impulso irrefrenabile
di telefonare, tranne che non avevo alcun numero. Sono arrivata a un
passo dal buar giù il telegramma compilato dalla primavera scorsa, ma
non sapevo dove spedirlo. Tornare indietro nel tempo, quella suggestione
che si è faa breccia durante la noe non era che una pura e semplice
assurdità. Sono rimasta seduta al tavolo da pranzo finché quel momento
non è passato. E poi mi sono direa agli archivi.
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