Ballando nel buio – Roberto Costantini

SINTESI DEL LIBRO:
In un mondo che, non ci
vuole più...
«Tu non canti?»
Ragazzi coi pantaloni a
zampa d’elefante e gli stivaletti
a punta, ragazze in gonne maxi
coi bottoni o in mini e stivali,
una coltre di fumo densa come
la nebbia di quella sera
invernale.
Cantavano tutti in coro, nel
buio illuminato dalle luci
psichedeliche. Il braccio destro
teso verso l’alto come sul disco
di Lucio Battisti. Tutti convinti
che quella canzone e le braccia
tese sulla copertina del suo lp
ammiccassero al nostro lato
della barricata.
Era una delle tante idiozie di
quegli anni, in realtà venuta
fuori per colpa dei critici
musicali. Erano loro, con la
puzza sotto il naso della sinistra
da salotto, a criticare Battisti
perché le sue canzoni non erano
impegnate come quelle lagne di
De Gregori e Guccini. E chi non
la pensava come loro era un
qualunquista o un fascista.
La maggior parte dei ragazzi
che stavano lì a cantare Battisti
col braccio teso si ribellavano al
pensiero unico e dominante,
all’obbligo di essere antifascista
e di sinistra, qualunque cosa
volesse dire. Erano lì per
divertirsi e non avrebbero mai
fatto niente di più che qualche
manifestazione e tante
chiacchiere per cambiare
l’Italia.
Ero un estraneo lì dentro.
Ormai mi sentivo così un po’
dappertutto. Lo ero diventato
per la Libia, dove ero cresciuto
e da cui ero stato costretto a
fuggire qualche anno prima,
dopo la salita al potere di
Gheddafi. E lo ero anche in
Italia, un paese vile assetato di
benzina a basso prezzo, dove
alcuni governanti, imprenditori
e pseudointellettuali erano
capaci di far credere a sessanta
milioni di idioti che il Rais fosse
solo un visionario un po’
strambo ma inoffensivo. E
sentirmi uno straniero ovunque
non faceva che aumentare la
mia rabbia e la mia confusione.
La ragazza che mi aveva
chiesto perché non cantassi
teneva i capelli corvini sciolti
sulla camicia a stampe bianche
e nere con le maniche svasate,
le lunghe gambe in mostra sotto
gli shorts neri e gli stivali
bianchi al ginocchio. Fumava
una Muratti e mi guardava con
due occhi neri e tranquilli.
«Sono stonato. E tu perché
non canti?»
«Perché è una scemenza.
Battisti e Mogol non l’hanno
mica scritta per noi. Ma tanto a
Ringo non importa. Vuoi una
sigaretta?»
«Odio il fumo. Devo solo
scambiare due parole con
Ringo, cinque minuti e me ne
vado.»
«Allora intanto che lui finisce
di parlare mi accompagni al
bar?»
La seguii attraverso la folla
che cantava.
Al bancone lei usò il biglietto
d’ingresso con la consumazione
gratuita per un Martini Bianco
e io ordinai un bicchiere di
acqua minerale.
«Non sarai uno di quei
bacchettoni che non fumano e
non bevono?»
«Sono cresciuto in un paese
musulmano. Su alcune cose la
penso come loro.»
«Cioè che le femmine sono
esseri inferiori e te ne puoi
sposare quante ne vuoi?»
«Non si può essere astemi
senza essere bacchettoni?»
«Sì. Ma tu un po’
bacchettone lo sei.»
«E tu che ne sai? È la prima
volta che ci vediamo!»
«Ogni tanto mi metto gli
shorts proprio per vedere se
trovo qualcuno che non mi
guarda subito le gambe. Tu non
lo hai fatto.»
Non stava scherzando, era
seria, come una scienziata che
descrive le reazioni dei topolini
ai suoi esperimenti. Scrollai le
spalle.
«Va bene. Forse sono
davvero un bacchettone.»
Le sue labbra morbide e
rosse si strinsero in una smorfia
irresistibile.
«Guarda che scherzavo.
Forse preferisci guardare gli
occhi o la bocca.»
Era proprio quello che stavo
facendo da un po’.
«Scusami, è che hai un
modo...»
«Non ti scusare. Mi piace chi
mi guarda il viso prima del
resto.»
Indicai Giulio Giuli, detto
Ringo, che dal palco arringava
la platea.
«Sei la sua ragazza?»
«Non sono di nessuno.»
«Ma sei qui con lui, e Ringo
è un amico.»
Lei arricciò le labbra. Erano
davvero bellissime, e quella
smorfia riusciva a esprimere
emozioni diverse. Ora mostrava
un misto di sorpresa e
approvazione.
«Lo vedi? Sei un po’
bacchettone.»
«Sono leale.»
Mi resi subito conto di
quanto potesse suonare stupida
quella frase in quel contesto.
Ma Isabella non scoppiò a
ridere, annuì lentamente, come
se stesse pensando a qualcosa.
«Leale alle tue idee o alle
persone a cui tieni?»
Era una domanda troppo
sciocca o troppo profonda.
Sicuramente scomoda.
«Ci conosciamo un po’ poco
per questo, non credi?»
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