B. Il burattinaio – Torsten Pettersson

SINTESI DEL LIBRO:
Intravidi Sonja da lontano, nel corridoio del commissariato. Teneva
il cappotto sotto un braccio e agitava un foglietto.
«È sparita una bambina», urlò.
Cambiai direzione e scendemmo insieme con l’ascensore per
partire immediatamente. Sapevamo entrambi quanto fossero
fondamentali le prime ventiquattr’ore. Dopo questo lasso di tempo, la
speranza di ritrovare un bambino in vita diminuisce, sia che abbia
avuto un incidente, sia che si tratti di rapimento. Controllai l’ora,
erano le 9:34.
Lungo la strada lessi il contenuto del foglietto: “Petra Nilsson, nove
anni, Nikolajbacken 1/B. Non si trovava nella sua stanza al mattino,
quando i genitori sono andati a svegliarla. Non è a scuola”. In
passato, attendevamo dodici ore prima di dare inizio alle ricerche:
può capitare che un bambino salti la scuola, che se ne vada in giro
per la città o che salga sull’autobus sbagliato. Negli ultimi tempi,
tuttavia, il rischio di incappare in situazioni pericolose era talmente
aumentato che la nostra linea era ormai quella dell’intervento
immediato. L’anno precedente era scomparso un bambino che non
era più stato ritrovato. Non potevamo permettere che accadesse di
nuovo.
Passammo sotto il ponte ferroviario in direzione del quartiere
Nikolajbacken, Sonja sedeva in silenzio accanto a me con il cappotto
sbottonato e il foglietto ben stretto in mano. Non avevamo nulla da
dirci, dal momento che sapevamo ancora troppo poco della
faccenda, inoltre eravamo entrambi molto tesi. Ci sentivamo come
due chirurghi sul punto di affrontare un’operazione delicata, dall’esito
imprevedibile. Ogni azione che avremmo compiuto avrebbe
comportato conseguenze decisive, ogni nostra scelta, ogni nostro
errore.
Sonja prese a studiare la cartina della città e io mi preparai
mentalmente, pensando a ciò che sapevo sulla zona in cui ci
stavamo recando. Avevo riconosciuto l’indirizzo: corrispondeva a
una serie di palazzi alle spalle del capolinea degli autobus, su una
collina adiacente al bosco, separata dagli altri complessi abitativi.
Vecchi edifici prefabbricati costruiti senza criterio, nei quali
l’amministrazione comunale piazzava i casi umani che pagavano un
affitto basso. Un mondo chiuso, da cui arrivavano in continuazione
delle segnalazioni alla squadra antiviolenza o anche alla sezione
crimini sessuali, quando le cose prendevano davvero una brutta
piega. I colleghi che si occupavano dei furti si facevano delle grandi
risate non appena veniva nominato Nikolajbacken, tale era
l’abitudine di trovarci appartamenti pieni di refurtiva: materiale
elettronico e vestiti griffati. Io stesso ero già stato là, per via di uno
dei miei rari casi di omicidio irrisolti.
Svoltammo in un parcheggio per metà circondato dal palazzo più
grande a forma di L, che ospitava i portoni dell’1/A e dell’1/B. Nella
mia mente si materializzò l’immagine del versante opposto: un
piccolo parco giochi e un’area di parcheggio di fronte all’1/C, un
palazzo lungo e stretto, un grosso container che sembrava buttato là
per caso davanti a pini e abeti.
Quando uscimmo dalla macchina, il vento ci scompigliò i capelli, gli
alberi stormivano e brandelli di nuvole attraversavano un cielo
azzurro intenso. Scrutammo il corpo dell’edificio come se le pareti
grigio marroni e la trama uniforme delle finestre fossero indizi da
esaminare. E, in effetti, a una finestra stava affacciata una donna,
con una mano all’altezza della vita, in dubbio se salutarci o meno.
Entrammo nella scala B, dove qualcuno aveva lavato via i graffiti
senza grande convinzione. L’ascensore era pieno di immagini
oscene di parti anatomiche, corredate sia da scritte in svedese che
in finlandese.
L’appartamento in cui abitava Petra Nilsson si trovava al terzo di
cinque piani. La donna aveva già aperto la porta quando uscimmo
dall’ascensore.
Aveva circa trentacinque anni, un’intensa
abbronzatura da solarium e i capelli tinti di biondo, di media
lunghezza. Fummo investiti da un’asfissiante coltre di profumo.
«Sono Harald Lindmark, commissario della polizia di Forshälla, e lei
è Sonja Alder, vicecapo investigatore».
La donna fece un passo in avanti e ci tese una mano, fredda ma
dalla presa salda.
«Stina Nilsson. Grazie per essere venuti così in fretta».
Nell’ingresso c’era un uomo sulla quarantina con i capelli a
spazzola castano scuro, il volto arrossato e occhiaie profonde.
«Sono Tony. Salve».
La sua stretta era forte e ruvida, la voce rauca. Rimase in piedi
nell’ingresso mentre Stina ci introduceva nel salotto, dove ci
accomodammo su un divano angolare marrone chiaro. Decisi che
sarei rimasto soprattutto a osservare quei due, lasciando che fosse
Sonja a condurre la conversazione.
«Ecco, le cose sono andate così», esordì Stina con voce rotta,
«quando sono entrata in camera di Petra stamattina a svegliarla per
andare a scuola, lei non c’era. Ieri è andata a dormire intorno alle
nove, l’ora in cui deve mettersi a letto quando ha scuola il giorno
seguente, e oggi aveva una verifica di matematica, per lei era molto
importante. Ieri sera era tutto come al solito, ma stamattina non c’era
più. Non c’era più! Ho aspettato fino all’ora in cui entra a scuola, nel
caso ci fosse andata prima per qualche strana ragione ma, quando
ho telefonato, mi hanno detto che non era lì, così ho subito
contattato la polizia. Grazie per essere venuti tanto in fretta».
«Ha un cellulare?», domandò Sonja.
«Sì, ma è rimasto nella sua stanza. Siamo terribilmente
preoccupati. Cosa può essere successo?».
«È già accaduto che Petra facesse qualcosa di simile?»
«È una bambina gentile e diligente, non sarebbe proprio da lei.
L’insegnante con cui ho parlato sa tutto, e anche lei è preoccupata.
Petra non è una di quelle che salta la scuola».
Notai che Stina non aveva negato direttamente che simili situazioni
si fossero già verificate in passato. Mentre parlava, sentivo l’odore di
alcol della sera precedente uscire dalla sua bocca. Con fare
discreto, lasciai scorrere la punta delle dita lungo la superficie
marrone scuro del tavolino accanto al divano. Era leggermente
umida, dovevano averci appena passato uno straccio bagnato per
rimuovere il sudiciume accumulato nella notte. Inoltre gli occhi di
Stina apparivano pesanti, dietro il trucco. Era stanca per la
mancanza di sonno e stava cercando di smaltire la sbornia proprio
come Tony che, in piedi, appoggiato contro lo stipite della porta, si
tirò su non appena Stina alle mie spalle gli lanciò un’occhiata
allusiva.
«No, non è proprio da lei», confermò lui. «Non è mai sparita prima».
«Forse era nervosa per la verifica di matematica?», domandò
Sonja.
«Forse era un po’ nervosa ieri sera», ammise Stina, «ma la
matematica le piace e a scuola se la cava bene. Inoltre ha fatto i
compiti diligentemente per tutta la sera».
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