A mosca cieca – Faye Kellerman

SINTESI DEL LIBRO:
Ah, la fantasia, essenza della vita.
Mentre si vestiva per andare al lavoro, si mise davanti allo
specchio e si trovò di fronte l'immagine di un bell'uomo alto circa un
metro e novantatré...
No. Troppo alto.
Aveva davanti un uomo sul metro e ottantacinque, di una
bellezza diabolica, snello, con una massa di capelli da surfista
schiariti dal sole e occhi di un azzurro soprannaturale, così intenso
che ogni volta che una donna si trovava a incrociarli era costretta a
distogliere lo sguardo per l'imbarazzo.
Be', la parte sugli occhi probabilmente era vera.
Così, invece?
Lo specchio gli rimandava l'immagine di un volto spigoloso
incorniciato da una folta cascata di capelli scuri e ricci, con un
sorriso timido che faceva venir meno le donne, fanciullesco e
affascinante eppure al tempo stesso così virile.
Sentì le labbra incurvarsi in un sorriso e si passò le dita tra le
ciocche ricciolute, che erano piuttosto sottili: non che si stessero
diradando, solo non avevano una fibra molto spessa. Stringendo il
nodo della cravatta se la sistemò intorno al colletto e ne tastò il
tessuto: era seta di prima qualità, pesante, dipinta a mano con una
gamma di colori che potevano accordarsi con quasi qualsiasi capo
d'abbigliamento avesse scelto a caso dal suo armadio. Mentre si
sistemava la camicia nei pantaloni, si passò le mani sugli addominali
scolpiti, ottenuti grazie ad allenamento, sollevamento pesi e un
regime alimentare rigidissimo. Come accadeva a quasi tutti i body
builder, i suoi muscoli avevano un gran bisogno di proteine, il che
non era un problema finché riusciva a evitare il grasso. Perciò ogni
volta che si guardava allo specchio apprezzava quello che vedeva.
E ancor di più apprezzava quello che immaginava di vedere.
Decker era sinceramente perplesso. «Non capisco come tu abbia
superato il voir dire.»
«Forse il giudice mi ha creduto quando ho detto di poter essere
oggettiva» rispose Rina.
Lui emise un grugnito mentre aggiungeva del dolcificante al
caffè. L'aveva sempre bevuto amaro, ma negli ultimi tempi aveva
sviluppato una certa preferenza per il gusto dolce, soprattutto dopo
un pasto a base di carne. Non che la cena fosse stata pesante:
bistecche di diaframma e insalata. Preferiva una cucina semplice,
quando erano solo loro due a mangiare. «Anche se il giudice ti ha
ammessa, l'avvocato d'ufficio avrebbe dovuto farti schiodare
l'attraente fondoschiena dalla giuria.»
«Forse il difensore pubblico ha creduto che potessi essere
obiettiva.»
«Sono diciotto anni che mi senti lamentare e lanciare anatemi per
il
triste stato in cui versa il sistema giudiziario. Come puoi essere
oggettiva?»
Rina sorrise dietro la tazza di caffè. «Dai per scontato che creda
a ogni parola che dici.»
«Grazie mille.»
«Essere la moglie di un tenente detective non mi ha privato di
ogni traccia di razionalità. So pensare con la mia testa e ragionare
come tutti gli altri.»
«A me sembra che tu abbia una gran voglia di partecipare.»
Decker prese un sorso di caffè, forte e dolce. «Meglio per te, mia
cara. È di questo che le nostre giurie hanno bisogno: persone
intelligenti che fanno il loro dovere di cittadini.» Le rivolse un sorriso
malizioso. «O magari il fatto è che all'avvocato d'ufficio piace averti
davanti agli occhi.»
«L'avvocato è una donna, ma perché no?»
Decker rise. Guardare Rina piaceva a chiunque. Con il passare
degli anni le era spuntato qualche segno d'espressione sul viso, ma
aveva ancora un aspetto magnifico: un incarnato d'alabastro con un
tocco di rosa sugli zigomi, capelli di seta neri e occhi color fiordaliso.
«Non è che non volessi tirarmene fuori» spiegò Rina. «È solo
che, superato un certo punto, se vuoi essere esclusa devi
cominciare a mentire. Dire cose del tipo: "No, non potrei mai essere
oggettiva", passando per una perfetta idiota.»
«Di che caso si tratta?»
«Sai che non posso parlarne.»
«Eddai!» Decker diede un morso a un biscotto zuccherato
preparato dalla figlia di sedici anni. Qualche briciola gli si fermò sui
baffi. «A chi dovrei andare a raccontarlo?»
«Magari a tutto il tuo reparto?» ribatté Rina. «Per caso devi
comparire in giudizio a Los Angeles, a breve?»
«Non che io sappia. Perché?»
«Pensavo che potremmo pranzare insieme.»
«Ma sì, facciamo una follia e sperperiamo i quindici dollari al
giorno che ti dà il tribunale.»
«Più la benzina, ma solo all'andata. In effetti fare il giurato non
porta alla ricchezza, questo è certo. Perfino vendere il sangue paga
di più. Ma faccio il mio dovere civico e dato che il tuo mestiere è
servire la legge, dovresti essermi grato.»
Decker le diede un bacio in fronte. «Sono molto fiero di te, stai
facendo la cosa giusta. E non ti chiederò più nulla sul caso. Dimmi
solo che non si tratta di omicidio, per favore.»
«Non posso risponderti sì o no, ma dato che hai visto il peggio
dell'umanità e hai una fantasia molto vivida, posso dirti di non
preoccuparti.»
«Grazie.» Decker guardò l'orologio. Erano le nove di sera
passate. «Hannah non aveva detto che sarebbe stata a casa a
quest'ora?»
«Sì, ma conosci tua figlia. Per lei il tempo è un concetto astratto.
Vuoi che la chiami?»
«Pensi che risponderà al cellulare?»
«Forse no, soprattutto se sta guidando... aspetta. Questa è lei.»
Un attimo dopo la ragazza entrò come un fulmine dalla porta
d'ingresso con in spalla uno zaino che doveva pesare una tonnellata
e in mano due sacchetti di carta pieni di viveri. Decker le prese lo
zaino e Rina si occupò del cibo.
«Come mai tutta questa roba?» chiese Rina.
«Ho invitato qualche amica per lo Shabbat. A parte i dolci che
preparo al forno, in casa non abbiamo mai niente di buono. Vuoi che
metta via la spesa?»
«Ci penso io» disse Rina. «Tu stai un po' con tuo padre. Era
preoccupato per te.»
Hannah guardò l'orologio. «Sono solo le nove e dieci.»
«So di essere iperprotettivo, ma non mi interessa. Non cambierò
mai. E se non abbiamo schifezze in casa è per evitare di mangiarle.»
«Lo so, Abba. E dato che sei tu a pagare le bollette, rispetto i tuoi
desideri. Però ho solo sedici anni e questa è forse una delle poche
occasioni della mia vita in cui potrò mangiare cibo spazzatura senza
ingrassare troppo. Guardando te e Cindy so che non resterò magra
per sempre.»
«Che ha Cindy che non va?»
«È una ragazzona come me e tiene sotto stretto controllo il peso.
Non sono ancora arrivata a quel punto, ma non manca molto al
momento in cui il metabolismo mi si ritorcerà contro.»
Decker si diede un colpetto sulla pancia. «E io cos'ho che non
va?»
«Non c'è niente che non vada in te, Abba. Sei in formissima
per...» Hannah si interruppe. Le parole per la tua età restarono
inespresse. Gli diede un bacio su una guancia. «Spero di trovare un
marito bello come te.»
Decker non poté fare a meno di sorridere. «Grazie, ma sono
sicuro che tuo marito sarà molto più affascinante.»
«Impossibile. Non esiste nessuno bello come te, e a parte
qualche atleta, quasi nessuno ha la tua statura. A volte per una
ragazza alta la vita è dura. Siamo costrette a non portare i tacchi per
non svettare su tutta la classe.»
«Non sei poi così alta.»
«Lo dici solo perché tu vedi tutti bassi. Ho già superato Cindy, e
lei è un metro e settantacinque.»
«Se la superi non è di molto. E poi ci sono tanti ragazzi sopra il
metro e settantacinque.»
«Non tra i ragazzi ebrei.»
«Io sono un ragazzo ebreo.»
«Non tra i ragazzi ebrei che frequentano ancora il liceo.»
A Decker quell'idea non dispiaceva. Significava che sua figlia
doveva aspettare l'università per trovare un fidanzato. Hannah notò il
suo sorrisetto. «Non sei molto partecipe del mio dramma.»
«Mi spiace di averti dato in eredità il gene del gigantismo.»
«Non c'è problema» disse Hannah. «Comporta dei vantaggi,
nonostante gli svantaggi siano molti di più. Se sei alta e magra e ti
vesti in modo carino, la gente pensa che vuoi fare la modella e che
non hai un briciolo di sale in zucca.»
«Sono sicuro che le tue amiche sapranno consolarti.»
«Ma ne sto parlando con te, non con le mie amiche.» Guardò il
tavolo della sala da pranzo. «Ti sono piaciuti i biscotti?»
«Anche troppo. È proprio per questo che non voglio cibo
spazzatura in casa.»
«Abba, goditi i biscotti» rispose lei. «La vita è corta, anche se tu
non lo sei.»
Cominciò come un leggero tintinnio di sottofondo nei suoi sogni,
finché Rina non si rese conto che era il telefono. Era Marge Dunn.
«Devo parlare con il capo» disse con voce piatta.
Rina guardò suo marito. Non si era mosso da quando si era
addormentato, quattro ore prima. La sveglia sul comodino segnava
quasi le tre del mattino. Dato che era un tenente, Peter non riceveva
molte chiamate nel cuore della notte. La West Valley non brulicava di
criminalità e la sua squadra scelta di investigatori della Omicidi di
solito gestiva tutte le emergenze nelle prime ore del mattino. Gli
assassinii erano rari, ma quando capitavano spesso erano
terrificanti. Eppure, come in quel caso, non comportavano la
necessità di svegliare il tenente alle tre del mattino.
Una storia sensazionale era tutto un altro paio di maniche.
Rina si passò la mano sulla pelle d'oca che le era venuta sulle
braccia, poi con delicatezza scosse suo marito per svegliarlo. «È
Marge.»
Decker balzò a sedere sul letto e prese il ricevitore. Aveva la
voce impastata dal sonno. «Che succede?»
«Omicidio plurimo.»
«Santo Dio...»
«All'ultimo conteggio c'erano quattro persone assassinate e un
tentato omicidio. Stanno portando il sopravvissuto, un figlio della
coppia uccisa, al St Joe; gli hanno sparato, ma forse se la caverà.»
Decker si alzò e afferrò la camicia, cominciando ad abbottonarla
mentre parlava. «Chi sono le vittime?»
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