Ritorno alla censura – Vitaliano Brancati

SINTESI DEL LIBRO:
E' sorprendente come ancora oggi, a quarantacinque anni dalla sua
pubblicazione, Ritorno alla censura conservi intatta la carica polemica,
la potenza ustoria del suo linguaggio e si riveli profondamente attuale.
Ciò non vuol dire che il pamphlet non esibisca i suoi anni, essendo
stato scritto nel '52 in risposta alla proibizione della commedia La
governante, tuttavia la lucida analisi che lo scrittore vi conduce
dell'Italia del dopoguerra ci fornisce una lente prospettica per
guardare e giudicare meglio quella odierna.
L'esercizio fino ai nostri giorni di forme di censura sia esplicite che
sotterranee e la particolare reattività di queste riguardo ai temi
religiosi (come episodi recenti hanno ancora una volta ribadito)
sembrano riproporre ai nostri occhi il clima che lo scrittore siciliano
aveva lapidariamente denunciato ai suoi contemporanei.
Così se, all'indomani della guerra, i vari governi che si
susseguirono si affrettarono a proclamare formalmente il ritorno alle
libertà democratiche e quindi di stampa, nella pratica concreta
continuarono a esercitare la censura. La stessa Assemblea Costituente
che, nell'elaborare l'art. 21 della Carta costituzionale, muoveva
inizialmente dall'esigenza di assicurare la libertà di pensiero e di
espressione, nella formulazione di alcuni commi andava poi
prospettando limiti ad essa.
In un libro pubblicato nel 1982, sulla Censura in Italia oggi,
Maurizio Cesari ricostruisce con abbondante documentazione (dopo
essersi occupato in un precedente lavoro della censura fascista) le
tappe dell'incredibile protrarsi nell'Italia repubblicana di tale pratica
antidemocratica e illiberale fino a quella attuale, sottile e sfuggente,
dell'autocensura connessa con la manipolazione delle notizie e la
concentrazione dei mezzi di comunicazione nelle mani di pochi
potentati economici.
Brancati ovviamente non ebbe modo di conoscere queste forme di
condizionamento e di limitazione della libertà eppure egli avvistò ed
acutamente additò i primi rozzi meccanismi che portavano
all'autocensura:
... Adesso non bocciano, ma riconsegnano la sceneggiatura al
produttore con una smorfia di dubbio. La smorfia basta al produttore
perché egli rinunzi al suo soggetto. In questo primo periodo di consigli
e di smorfie, la censura compie la sua strage più larga fra le opere
teatrali e cinematografiche.
Egli si rese conto con grande tempestività dei pericoli cui andava
incontro la nascente repubblica e lanciò l'allarme contro il predominio
ideologico-religioso che in essa aveva il clero cattolico.
Lo scrittore, come ho detto prima, non conobbe la subdola censura
odierna, ma aveva senza dubbio conosciuto e patito la censura fascista
ed è da questa sofferta memoria che egli muove per riconoscere le
reincarnazioni di vecchi fantasmi. Reso sensibilissimo dall'esperienza
diretta della dittatura, egli non esita a mettere in guardia sulle
preoccupanti manifestazioni di intolleranza che si andavano
affermando in Italia, vanificando in tal modo i sacrifici di una guerra
combattuta contro il fascismo in nome della libertà.
Il suo investimento totale nella democrazia porta lo scrittore a non
sopportare il minimo attentato alla libertà; non a caso, in una pagina
del Diario romano, ne aveva esaltato i termini paradossali la poca
praticità:
Le democrazie hanno un lato poco pratico e quasi folle che è il
sogno maggiore del loro pendere verso la spiritualità piuttosto che
verso la forza, le democrazie liberali nascondono una profonda
preferenza per i pensieri piuttosto che per i provvedimenti. E con ciò?
saranno giudicate deboli e incapaci.
Senza questa preferenza, non c'è vera democrazia, non v'è civiltà.
Le democrazie per lo scrittore infatti "rasentano sempre il
suicidio", proprio perché la loro essenza consiste nella libera
discussione che è la premessa dell'arte e dell'invenzione:
L'amore esclusivo per i provvedimenti utili porta allo spirito di
caserma; l'amore per la discussione porta alla polemica, all'arte, alla
scienza, all'invenzione. Senza dubbio, un discutere eccessivo, mentre
gli altri agiscono, ha con sé pericoli di morte; e le democrazie
rasentano sempre il suicidio. Ma quanta nobiltà in questo perpetuo
stato di pericolo, e in fine quanta vitalità!
Perciò il "ritorno alla censura" gli appare, sopra ogni altra cosa, il
segnale eclatante di un diffuso clima di restaurazione.
Nel pamphlet del '52 egli sferra un attacco senza precedenti contro
il profilarsi di una nuova tirannide, cioè contro il connubio tra i politici
democristiani e la casta dei preti.
A fare le spese di tale situazione è, secondo lo scrittore,
naturalmente, la cultura che è inscindibile dalla libertà, anzi si
identifica con essa:
La cultura è libertà, e chiunque abbia per compito di far vivere la
cultura non può, per alcuna ragione, rinunziare alla libertà:
Brancati dà inizio alla sua polemica appassionata liberando da
alcuni equivoci proprio il concetto di libertà:
Né ci lasciamo ingannare da alcuni giuochi moderni di parole:
Libertà dal bisogno, Libertà dalla paura, Libertà dalla guerra ecc. Qui
la parola libertà è adoperata con la falsa eleganza delle epoche
volutamente confuse. Non avere un male non significa libertà,
significa soltanto non avere quel male.
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