Whitney, amore mio – Seconda parte – Judith McNaught

SINTESI DEL LIBRO:
Whitney era ancora convinta di essere sul punto di morire, quando la loro
carrozza ripartì dalla residenza londinese di Emily. «Sapete» sussurrò affranta
«lo champagne non mi è mai piaciuto.»
Con una sonora risata, Clayton le mise un braccio intorno alle spalle e vi
premette contro la testa pulsante di lei. «Sono sorpreso di sentirtelo dire»
scherzò.
Sospirando, Whitney chiuse gli occhi e si addormentò. Dormì quasi fino
all’arrivo a casa, aggrappandosi ogni tanto al braccio di Clayton, quando la
carrozza sobbalzava in modo particolare.
Si risvegliò sentendosi di nuovo in forma. «Non sono stata di grande
compagnia» si scusò, rivolgendo un sorriso carico di rimorso a Clayton. «Se
volete venire per cena…»
«Devo tornare a Londra stasera, ho…»
«Stasera?» ripeté lei, raddrizzandosi sul sedile. «Per quanto tempo starete
via?»
«Una settimana.»
Whitney provò un brivido di eccitazione e distolse rapidamente lo
sguardo. Se Clayton fosse rimasto a Londra, lei e Paul sarebbero potuti
fuggire in Scozia senza temere che lui scoprisse il loro piano in tempo per
inseguirli. Il suo ritorno a Londra era una fortuna superiore a ogni speranza.
Era un dono! Una benedizione!
Era una catastrofe.
Il sollievo che Whitney aveva provato in un primo momento si trasformò
in panico, e la testa iniziò a pulsarle con rinnovato vigore. Santo cielo,
Clayton sarebbe tornato a Londra. Come usavano fare i gentiluomini, anche
lui avrebbe passato le serate nei suoi club preferiti, cenando o giocando
d’azzardo con amici e conoscenti. In quei circoli, avrebbe incontrato
qualcuno che aveva partecipato al ballo dei Rutherford e sentito le voci sul
loro fidanzamento. Nell’atmosfera di cameratismo che regnava in quei club,
gli amici avrebbero senza dubbio fatto pressione su di lui per avere una
conferma o una smentita del pettegolezzo. E Whitney riusciva quasi a
immaginare Clayton che sorrideva e confermava che era tutto vero. La sua
fuga con Paul l’avrebbe messo in ridicolo pubblicamente.
Turbata, Whitney strizzò gli occhi. Aveva paura della vendetta di Clayton,
che sarebbe stata ancora più terribile se si fosse sentito umiliato davanti a
tutti, ma temeva ancora di più l’idea di essere lei la causa di tale disonore.
Non poteva sopportare il pensiero che quell’uomo orgoglioso fosse oggetto di
derisione e compatimento, non avendo fatto nulla per meritarlo. La sera
prima lei aveva visto con i suoi occhi quanto fosse rispettato e ammirato in
società.
Whitney unì i palmi sudati in grembo. Forse poteva evitare uno scandalo
pubblico. Paul sarebbe tornato quel giorno. Se fossero fuggiti nella notte, lei
avrebbe potuto informare Clayton quasi subito, e prima avesse saputo della
loro fuga, meno persone sarebbero venute a conoscenza della sua proposta di
matrimonio.
Naturalmente, si sarebbe assicurata che il messaggio non giungesse a
destinazione troppo presto, in modo che lui non potesse seguirli. Il tempismo,
rifletté con un nodo sempre più grosso che le serrava la gola, sarebbe stato
essenziale. Anche se Paul fosse stato stanco per il viaggio, sarebbero dovuti
partire entro poche ore dal suo ritorno. Dopo aver scoperto la fuga, Clayton
avrebbe smesso di parlare del loro fidanzamento. Con uno dei suoi sorrisi
sarcastici avrebbe potuto farlo passare per un mero pettegolezzo e presentarsi
alla prima occasione mondana accompagnato da una di quelle donne
affascinanti che impazzivano per lui. E la storia sarebbe finita così! Tutti
avrebbero creduto che la notizia del fidanzamento con Whitney Stone non
fosse altro che uno scherzo, un ridicolo pettegolezzo.
Paul. Il suo cuore sussultò al pensiero di quando gli avrebbe detto della
fuga. Lui di certo non sarebbe stato contento; si sarebbe preoccupato per lei e
per la sua reputazione. Era stato così felice la sera della festa di suo padre,
mentre le parlava dei progetti che aveva per loro, dei miglioramenti che
avrebbe apportato alla casa e ai terreni per compiacerla.
La mano di Clayton le prese il mento facendola trasalire. «Quando tornerà
Sevarin» disse lui con un tono che non ammetteva alcuna obiezione «voglio
che lo informi immediatamente del fatto che non lo sposerai. Non tollererò
oltre che la gente creda che la mia futura moglie sia fidanzata con un altro.
Dai a Sevarin la motivazione che preferisci per rifiutare la sua proposta di
matrimonio, ma diglielo subito. È chiaro?»
«Sì» sussurrò Whitney.
Clayton le rivolse un lungo sguardo penetrante. «Voglio la tua parola.»
«Io…» Whitney deglutì, profondamente toccata dal fatto che lui la
ritenesse così degna d’onore. Si costrinse ad alzare lo sguardo su di lui,
sentendosi terribilmente vile nel tradire la sua fiducia. «Vi do la mia parola.»
L’espressione di Clayton si addolcì. «So quanto sarà dura per te, piccola.
Ti prometto che un giorno mi farò perdonare per questo.» Le lacrime le
bruciavano negli occhi e le si serrò la gola quando lui le accarezzò con
delicatezza la guancia. «Puoi perdonarmi?» le chiese piano.
Perdonarlo? Whitney era così scossa che per un secondo considerò
seriamente di buttarsi tra le sue braccia singhiozzando di dolore. Invece annuì
e lo guardò, cercando di memorizzare i suoi bei lineamenti come erano in
quel momento, perché se mai l’avesse rivisto, sapeva che la sua espressione
sarebbe stata di puro odio.
Stavano imboccando il viale di casa, e Whitney si infilò i guanti.
«Perché tornate a Londra così in fretta?» chiese mentre il momento di
dirgli addio si avvicinava sempre di più.
«Perché ci sono delle decisioni che devo prendere. Si tratta semplicemente
di stabilire quale sia l’investimento migliore per una grossa somma di
denaro» la rassicurò, e con un sorriso aggiunse: «Contrariamente ai
pettegolezzi che hai sentito su di me alla festa di tuo padre, non conduco una
vita del tutto dissoluta. Ho sette proprietà, centinaia di fittavoli e diversi
investimenti finanziari che stanno soffrendo della mia scarsa attenzione, che è
quasi esclusivamente dedicata a te, cucciolo mio».
La carrozza si fermò davanti a casa di lei e un valletto aprì il portone.
Whitney stava per smontare, quando la voce calma di Clayton la bloccò.
«Gli affari non richiedono la mia presenza in città tanto a lungo, ma ho
pensato che avresti avuto bisogno di un po’ di tempo da sola, dopo aver
parlato con Sevarin. A meno che tu non mi mandi un messaggio a Londra,
resterò là fino a domenica.»
Mentre le diceva come raggiungerlo, Whitney percepì la speranza nascosta
nella sua voce che lei effettivamente lo richiamasse prima della fine della
settimana. Gli mise una mano tremante sulla manica, desiderando implorare il
suo perdono e la sua comprensione. «Clayton, io…» Vide il piacere che gli
dava quel contatto e le si spezzò la voce. «Fate buon viaggio» riuscì a dire,
poi si staccò e scese dalla carrozza.
Non appena raggiunse la sua camera, Whitney mandò un biglietto a casa
di Paul chiedendo che gli fosse subito consegnato, a qualsiasi ora tornasse.
Nel messaggio lo pregava di informarla del suo arrivo e di andare
immediatamente al vecchio cottage del guardacaccia, dove l’avrebbe
raggiunto. Lì, almeno, avrebbe avuto un po’ di intimità per spiegargli i suoi
piani. Spiegargli i suoi piani! Come sarebbe riuscita a trovare le parole? si
chiese sconsolata.
A sera inoltrata non aveva ancora avuto notizie di Paul.
Per ben due volte, mentre si cambiava per andare a dormire, Whitney fu
sul punto di andare a domandare l’aiuto della zia per la fuga. Ma poi il suo
buon senso la ammoniva che zia Anne non avrebbe mai appoggiato un piano
simile. Zia Anne avrebbe pensato soltanto ai danni alla reputazione di
Whitney. Non avrebbe mai capito che lei non poteva nella maniera più
assoluta scegliere la soluzione più codarda e abbandonare Paul in quel
momento. Nemmeno se l’avesse voluto, cosa che non era vera, si disse
Whitney senza molta convinzione. Paul l’amava. Contava su di lei.
Dal momento che non poteva fidarsi di Clarissa, Whitney preparò da sola
un bagaglio con i suoi effetti personali e lo nascose, dopodiché si stese a letto
e rimase a fissare il soffitto. Di tutti i compiti spiacevoli che l’attendevano,
quello che temeva di più era scrivere il messaggio da far recapitare a Clayton
a Londra.
Continuava a riformularlo mentalmente. La assillò fino a quando non
decise di farla finita e si tirò su dal letto. “Io e Paul siamo fuggiti” scrisse.
“Spero che un giorno troverete nel vostro cuore la capacità, se non di
perdonarmi, almeno di capirmi.”
Perdonare? Capire? Clayton non l’avrebbe mai fatto. Si sedette alla
scrivania e fissò il biglietto, immaginando la reazione di Clayton. Sulle prime
avrebbe sorriso, pensando che lei gli avesse scritto per chiedergli di tornare
prima del previsto, poi il suo sorriso sarebbe svanito…
Scossa da un brivido, come se la furia di quegli occhi di ghiaccio l’avesse
già colpita, Whitney tornò a letto e si accoccolò sotto le coperte. Non era
certa di avere il coraggio di fuggire, e nemmeno di volerlo fare.
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