Viva Caporetto ! La rivola dei santi maledetti -Curzio Malaparte

SINTESI DEL LIBRO:
Non tutti potranno leggere questo libro.
Bisogna aver disceso tutti gli scalini dell'umanità per mordere alla radice
stessa della vita, aver «mangiato la terra e averla trovata deliziosamente
dolce» come i primi uomini delle leggende indiane, aver sofferto, sperato,
maledetto, bisogna essere stati uomini, semplicemente umani, per poter
leggere questo libro senza pregiudizio e sentirvi il sapore della vita.
Non è un libro di guerra, questo. È il libro di un uomo che fin dai primi
giorni è entrato, come volontario, nel cerchio della guerra, a capo chino,
bestemmiando (non Dio), e che ne è uscito, all'ultimo giorno, benedicendo
Dio, a capo chino, come un francescano; di un uomo che ha lasciato la trincea
assetato d'amore e di pace, ma avvelenato fin nelle radici d'odio e di
disperazione.
È il libro di un uomo, di un uomo qualunque, che è andato in trincea, fante
tra fanti, come altri va in chiesa o all'officina o al podere per la confessione o
per la bisogna cotidiana.
È il libro di un uomo normale, di un uomo «in carne ed ossa» che tutto ha
accettato come un sacrificio, come un dovere istintivo, che ha sfogliato la sua
complessa mentalità, fino a ridurla al più semplice boccio, per poter
comprendere gli umili e i primitivi con i quali frangeva il pane e divideva la
paglia.
Non tutti potranno leggere questo libro, perché non tutti avranno disperato.- Si è sempre parlato di Caporetto con preoccupazioni di parte. Si è parlato
di responsabilità militari e politiche, di errori, di cause e di effetti, di
Cavaciocchi e di Badoglio come di Cadorna, di Padre Semeria come
dell'Avanti!; si è inventata la storiella del disfattismo, di ufficiali venduti, di
imprevidenze calcolate e di compromessi; si sono tirati in ballo alti comandi e
umili fanti, il destino, la pioggia, lo schieramento delle artiglierie, la
mancanza di ordini e, sopratutto, la mancanza di contrordini. Si è venuta
creando, intorno all'episodio fondamentale di Caporetto, tutta una ridda di
leggende astruse che ne hanno diminuita o esagerata l'importanza, or
facendone un disgraziato ma non nuovo episodio di guerra, or un disastro
irreparabile che ha gettato la vergogna sul popolo italiano e distrutti i risultati
morali e materiali di due anni di battaglie e di sacrifici.
Dopo l'armistizio, l'uso che è stato fatto di questo episodio fondamentale
dell'evoluzione della nostra razza, ha disgustato e irritato tutti quanti hanno
«fatto» Caporetto: ora esso ha servito da paravento alle rinunce di Nitti
nell'Adriatico e al compromesso Tittoni-Venizelos pel Dodecaneso, ora da
scuro alla diligenza ministeriale, ora da piattaforma elettorale e da
spauracchio per i nazionalisti e i socialisti, a uno stesso tempo, ora da
scacciamosche per gli onorevoli delle due Camere, annoiati e irritati dall'afa
estiva.
L'uso immondo che dirigenti e partiti hanno fatto della gloria di Caporetto,
è stato agevolato dal difetto massimo del popolo italiano: la mancanza di
franchezza civile e di senso della responsabilità.
Tutti quelli che hanno «fatto» Caporetto, se ne sono, a un dato momento,
infischiati o vergognati; non dico dimenticati, che non sarebbe esatto.
La preoccupazione di non apparire vigliacchi o traditori della patria, ha
spinto molti di noi a rinnegare il più bel gesto, il gesto più coraggioso della
nostra esistenza di poltroni.
Chi ha avuto il coraggio di abbandonare le trincee, nel mese di Ottobre del
1917, lo dica schiettamente e a voce alta: nessuno potrà dubitare della sua
franchezza e della sua lealtà di buon italiano.
Caporetto non è semplicemente un episodio militare: è una fase
dell'evoluzione dell'umanità.
Il cammino che la famiglia umana percorre da secoli, attraverso nuove
forme di civiltà, verso uno stato che può sembrare irraggiungibile, è segnato
da pietre miliari che indicano la misura di questo sforzo di ascensione.
Quando la mentalità di un popolo subisce una trasformazione, i
contemporanei si trovano di fronte ad un fatto diversamente apprezzabile che
ha in sé i germi di altre e più profonde trasformazioni. Questi fatti sono le
pietre miliari del cammino dell'umanità: la venuta di Cristo, la Riforma, la
proclamazione dei Diritti dell'Uomo, il socialismo, indicano alcune tra le
principali fasi attraverso le quali la concezione umana della vita è passata.
Non a caso, né per artificio, io pongo l'episodio di Caporetto tra i fenomeni
più importanti e maggiormente significativi della storia dello sviluppo
intellettuale dei popoli. Basta considerare ciò che era l'umanità alla vigilia
della guerra, per capire tutta l'importanza che le giornate dell'Ottobre del
1917, hanno avuto non solo per la nostra gente, ma anche per gli altri popoli
d'Europa.
Caporetto è stata la prima manifestazione di una nuova tendenza
dell'umanità.
Tutte le rinascenze sono italiane.- Mai la vita era stata così spezzettata.
Gli uomini tutti sembravano a un tratto divenuti ciechi, come se le rondini
si fossero messe d'accordo per ripetere lo scherzetto di Tobia. Gli uomini, che
un filosofo tedesco ritiene presbiti, avevano preso lo stesso male della donna,
che il medesimo filosofo ritiene miope. Nessuno vedeva al di là della propria
ombra: ogni tanto qualcuno inciampava o batteva del viso in un ostacolo.
I pochi cercatori di verità, ai quali la verità piaceva nuda, sebbene nella
ricerca di lei non riponessero un amore di satiro, erano di continuo deviati
dalle «bandite».
La legge camminava maestosa per le pubbliche piazze, ma leggermente
zoppicando come Wagner, il servo di Faust.
I «figli del secolo» ingombravano le strade; ma pallidi e curvi, già
invecchiati prima ancora di aver raggiunto l'età virile, come se il sole, il bravo
sole pieno sempre d'attualità di cui i chimici avevano analizzato la luce e la
sostanza, avesse perduto ogni forza. Ma in compenso - tutto si compensa - gli
orti di cavoli coprivano una grandissima superficie di terreno e stringevano le
città in una cerchia inesorabile di foglie verdi e di palle bianche, rose dai
bruchi. Lo Stato, assurto ad una altissima potenza, cercava di uniformarsi allo
spirito dei tempi, arrestando il corso delle poche idee generali rimaste in vita.
Le concezioni della vita ampie e sicure che avevano già fatta la gloria della
fine del settecento, si erano ristrette, sgretolate, fino ad esser contenute nel
cervello di ognuno. L'infinito era scomparso, divorato dal particolare.
La lebbra del «frammentario» mordeva le basi della società, filtrava
attraverso le coscienze, intaccava gli scenari immobili della vita e la sua
stessa sostanza, macchiava il corpo, il viso degli uomini tristi, infiacchiva in
tutti la fiducia nelle forze degli elementi e nella possibilità eterna dell'anima e
della vita.
Quando, in un'isola sperduta del tropico, un uomo aveva per l'ultima volta
incrociate le braccia sul petto di fronte all'oceano, una specie di piagnucolosa
follia aveva invaso l'umanità.
La concezione germanica del romanticismo aveva elevato, dietro le spalle
degli uomini tristi, uno scenario di cipressi, di castelli, di foschi orizzonti, una
coreografia di velluti medioevali, di sabati, di cavalcate di spettri, aveva
soffiato un vento artificiale, monotono come tutti i venti nordici nati nelle
foreste, nelle pause del quale si udivano ossa scricchiolare e gemere gente e
piagnucolìo di femmine e di giovincelli ammalati di wertherismo.
Una specie di cavalleria era rinata: non già la bella, luminosa, errante
cavalleria, morta in Don Chisciotte, ma quella dei deboli, dei fantastici, dei
suicidi. Il mondo era pieno di Hortis e di pianisti polacchi.
Uno stupido pessimismo, di natura fisiologica, aveva insonnolito l'umanità.
Gli eroi continuavano a camminare per le piazze pubbliche, ma l'eroismo,
questo sesto senso delle razze latine, agonizzava; ogni tanto l'urlo della
magnifica bestia moribonda riempiva le terre. Pochi erano quelli che l'urlo
faceva sussultare.
Dopo il fenomeno napoleonico, il senso della dimensione, dello spazio, era
stato perduto dagli uomini, si era atrofizzato. C'è una profonda amarezza
nell'invenzione umoristica della ricerca della quarta dimensione- In Germania, (dopo le tre «critiche» di Kant e l'umanesimo romantico di
Goethe e di Schiller) gli annaspamenti cerebrali di Hegel, che non era riuscito
a dare il senso dell'infinito e a terminare l'aguglia della sua cattedrale gotica,
l'amarezza antitedesca e semita (perciò anche antiborghese) della risatina di
Heine, la meravigliosa eccezione di Federico Nietzche che, nato in un'epoca
non sua, non aveva potuto se non stupire e turbare, senza riuscire a trarre
l'umanità al di là del bene e del male, tutto questo, in Germania, aveva fatto
capo al mastodontico, al governativo, al prescritto, aveva partorito il
semitismo di Max Nordau e il filisteismo di Sudermann e di Hauptmann.
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