Un’ altra notte ancora – Bianca Marconero

SINTESI DEL LIBRO:
Essere brave persone secondo me è una malattia. Il servizio
sanitario nazionale dovrebbe mettere a punto un programma per
curarci. Nel caso, io ne avrei avuto diritto.
Il vero guaio è che, per ogni persona geneticamente incapace di
dire un no, ci sono almeno dieci persone in grado di riconoscere la
nostra debolezza e, generalmente, non hanno pietà di noi.
Mi potrei godere questa trasferta al Lido di Venezia, questa
passeggiata sul prato con vista sul campanile di San Marco, oltre la
laguna, mi potrei godere Stella, la mia dolcissima cavalla baia,
stando concentrata sulle gare che ci aspettano nel weekend, le fasi
finali dell’internazionale. Invece no. Perché Caterina Hoffman, la
direttrice sportiva del circolo ippico le Colline Dorate, nonché
accompagnatrice adulta della squadra juniores, mi ha appena
scovato, irretito con i suoi modi super gentili e, infine, scaricato
addosso una rogna gigantesca.
«Caterina, non credo sia una buona idea».
Lei, sgrana i suoi grandi occhi neri. Un’espressione di esagerato
stupore, che mi ricorda certi sguardi dei suoi figli maschi. «Non c’è
nessun altro che possa farlo. Sei maggiorenne, e soprattutto sei
responsabile».
«Non così maggiorenne, Caterina. Ho solo diciannove anni».
«Certe persone portano i loro diciannove anni con la maturità che
altri non raggiungono neppure a cinquanta», chiarisce, lasciando
intendere che la “cinquantenne dentro” sono io. Poi mi sorride. «Sei
perfettamente in grado di occuparti del resto della squadra».
Vorrei avere la sua sicurezza. Ma mi accontenterei anche di avere
la forza di oppormi. «Non possiamo evitare questa… scampagnata,
gita o qualunque cosa sia…?»
«Gita d’istruzione», mi corregge, annuendo. «E no, non possiamo
evitarla», scuote la testa
È paradossale che usi il plurale. Perché di fatto Caterina, la nostra
accompagnatrice davvero adulta, sta chiedendo a me, che potrei
essere sua figlia, e che sono più giovane di un paio dei suoi cinque
figli, di fare quello che lei dovrebbe fare
«Non me la sento di accompagnare in gita a Venezia dieci
minorenni della squadra. È una responsabilità troppo grande».
«Ma in pratica vi autogestite. Siete tutti tranquilli, assennati e
affidabili».
Come no! Sulla parola “tranquilli” ho visualizzato il volto di Elisa
Hoffman, la figlia minore di Caterina, una specie di folletto
indemoniato incapace di stare dove le si dice di stare, a meno che
quel posto non sia la schiena di un cavallo; quando ha detto
“assennati”, ho visto il sorriso impunito di Massimo Gilberti Sezzi, un
quindicenne con tutti i vizi del caso e l’impronta del casinista, e
quando ha detto “affidabili”, per antifrasi, mi si è materializzata la
faccia da schiaffi del terzo dei figli di Caterina Hoffman.
L’Innominabile.
È chiaro che non ce la posso fare.
Anche perché avevo altri progetti. Ludovica Spallanzani e Ottavia
Moreschi, due under venti che montano all’Antonelliano di Torino, mi
avevano invitato a passare la giornata in città. E con loro ci
sarebbero stati i ragazzi dell’Antonelliano. Ci sarebbe stato anche
Giacomo Salvatori Franchi. E stare con Giacomo era quello che io
volevo fare nel mio giorno libero! Primo anno a medicina, occhi
azzurri, e incantevole predisposizione alla gentilezza. Lui è uno che
si ferma per premetterti di entrare per prima, tiene la porta aperta e
non si siede al tavolo se c’è una donna in piedi. Come mio padre.
Come mio fratello. Come la persona che voglio al mio fianco.
Forse Caterina mi legge in faccia che non cederò, perché torna
all’attacco. «E poi, Bianca cara, ci sono almeno due validi motivi. Il
primo è tuo padre!»
«Mio padre?»
«Certo. Il programma “cultura e sport” dell’ente è stato fortemente
voluto e finanziato dai nostri soci Fondatori. Da tuo padre in
particolar modo».
Sto per dirle che, da quando la mamma ci ha mollati per scappare
con un ballerino di salsa, papà pur di tenersi impegnato “vuole
fortemente” e “finanzia” un sacco di progetti, ma non me ne dà il
tempo perché enuncia il secondo motivo.
«Inoltre, domani le gare sono sospese in attesa delle finali del
weekend. Quindi è un giorno libero e io devo andare in un podere,
sulla terraferma. Mi hanno chiesto di visionare dei cavalli». Si china
sulle ginocchia e accarezza la testa della mia Stella. Poi sospira.
«Se non lo facessi sarebbe un vero peccato. Per tuo fratello».
«Andrea? Cosa c’entra Andrea?»
«Tuo padre vuole che veda un cavallo per lui. Hanno messo in
vendita un irlandese che ha sfiorato la selezione olimpica», mi dice
accarezzando le orecchie di Stella. «Ora si trova in un maneggio
vicino a Mestre. Ha qualche acciacco, ed è tagliato fuori dalle gare
importanti, ma i referti non segnalano nulla che precluda una carriera
agonistica nelle basse categorie. Regal Ray è giovane e sarebbe
perfetto per far crescere Andrea, magari fino all’autorizzazione di
Secondo Grado».
«Potresti sempre fare la tua valutazione per papà alla fine
dell’internazionale, lunedì per esempio, e…»
«È un cavallo di Lanfranchi delle Piane. Se domani gli do buca,
qualcuno andrà al posto mio. In questo momento a Venezia è in
corso la gara più importante della stagione. Il che significa un’alta
concentrazione di acquirenti interessati. Quel cavallo sarà venduto
prima che cali il sole», dice profetica. «Peccato. Tuo padre ci
contava. Voleva dare qualcosa di bello ad Andrea. È stato un anno
molto duro per voi, ma per tuo fratello in particolar modo».
Affonda il coltello, tra il senso di colpa e il rimorso, con la
disinvoltura di una anatomista delle emozioni. Perché è vero che
Andrea ha sofferto. Lo ha fatto come solo una persona chiusa e
riservata può fare. Implodendo nel suo stesso dolore. Senza
esprimerlo con nessuno. Negandolo perfino con me.
Il suo autocontrollo a volte spaventa. L’analista che lo ha avuto in
cura aveva addirittura ipotizzato un disturbo dello spettro autistico.
Una lieve sindrome di Asperger. Andrea, pur precisando che non
metteva in dubbio le qualifiche della dottoressa, ha preteso che
venissero fatte altre quattro valutazioni. Si è fissato che ne
servissero almeno cinque in tutto.
Ciò che è emerso negli altri quattro profili è che Andrea non ha la
sindrome di Asperger, ma ha un disturbo ossessivo compulsivo e un
paio di altri disturbi dell’ansia. E, poco ma sicuro, questa botta di
realtà deve aver dato il colpo di grazia al suo carattere. Ora è chiuso
come una noce.
Ma andare a cavallo lo fa stare bene e il maneggio è il suo rifugio.
Lui fa molte cose per dovere o abitudine, ma alle Colline Dorate ci va
perché gli piace. Lì ci sono i suoi amici, prima di tutti Massimo
Gilberti, e un certo numero di persone che gli vanno particolarmente
a genio, compresa Caterina Hoffman.
Il cavallo su cui mio padre ha messo gli occhi potrebbe renderlo
davvero felice.
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