Una donna coraggiosa – Karen Ranney

SINTESI DEL LIBRO:
Rose ringraziò il vetturino mentre scendeva dalla carrozza, poi si
avviò verso la porta. Non sapeva cosa aspettarsi e quell'edificio di
tre piani dalla facciata curva la sorprese. Anche le finestre a golfo,
una per lato, erano curve. Ebbe la sensazione che fosse un luogo
amichevole, che le finestre sembrassero quasi occhi. Le due
colonne ai lati della scalinata d'ingresso potevano essere una bocca
aperta, come se la casa stesse dicendo: Chi sei? Una sconosciuta?
In ogni caso, benvenuta.
E se lui si fosse rifiutato di riceverla? E se l'avesse mandata via?
No, non poteva finire così. Non poteva permettere che andasse
così. Aveva fatto tanta strada per arrivare fin lì.
Trovava la Scozia davvero sorprendente, proprio come i suoi
abitanti. Tutti, dal facchino ai compagni di viaggio sul treno, erano
stati cordiali, disponibili e di grande aiuto. Sebbene fossero piuttosto
curiosi, quasi inopportuni a volte, non le importava dover ripetere
decine di volte che sì, era americana. Concordava con loro che la
guerra era una cosa terribile e, per fortuna, di solito la conversazione
sul suo Paese di origine finiva lì. Non doveva spiegare da dove
venisse, cosa pensasse davvero della guerra o perché fosse vestita
a lutto. Dato che viaggiava sola, probabilmente tutti davano per
scontato che fosse vedova.
E quelle loro supposizioni erano una benedizione, perché le
risparmiavano la fatica di mentire.
Rose si era aspettata una terra piena di paesaggi mozzafiato,
montagne alte e aspre, e valli straripanti di edera. In effetti, aveva
visto quei paesaggi, e non solo: ponti che attraversavano dirupi
spaventosi, fiumi che si gettavano con violenza sulle rocce prima di
formare una quieta pozza d'acqua... Alcune parti della Scozia erano
verdi e lussureggianti, altre invece erano marroni, grigie e nere.
Quando avevano raggiunto Glasgow, la sua opinione sulla
Scozia era cambiata.
La città, infatti, era affollata e rumorosa quanto New York. Sulla
linea dell'orizzonte svettavano gru e guglie. I colpi dei martelli e le
grida soffocavano il richiamo degli uccelli in cielo. Moli e navi, grandi
edifici e gente indaffarata, vagoni e carrozze... ogni cosa contribuiva
a
creare un'atmosfera frenetica. Non aveva immaginato che
Glasgow fosse così grande e animata.
Dopo aver riletto attentamente la lettera che teneva nella
borsetta, Rose aveva dato al vetturino l'indirizzo di casa MacIain.
Curioso che, dopo tante settimane di viaggio, sentisse solo un
incredibile bisogno di dormire.
Il viaggio da Nassau all'Inghilterra era stato relativamente veloce
e molto meno spaventoso della traversata da Charleston alle
Bahamas, dove avevano dovuto superare il blocco navale.
Il
treno da Londra, poi, era un capolavoro di velocità ed
efficienza. Se fosse stata in viaggio per ragioni diverse, si sarebbe
divertita un mondo. Per come stavano le cose, invece, ogni giorno
che passava era come un colpo di gong nel retro dei suoi pensieri,
un suono cavernoso che le ricordava da quanto tempo era partita.
Il tempo non era dalla sua parte.
All'arrivo, era stata tentata di trovare un alloggio prima di andare
dai MacIain, ma il vetturino le aveva assicurato di poterle dare una
mano in questo, perciò non avrebbe dovuto preoccuparsene. Ciò
che la angosciava davvero era la sua situazione economica, che
peggiorava di giorno in giorno.
Lui doveva accettare. Doveva farlo, non c'era altra scelta. Se non
avesse accettato, tutto quel dispendio di soldi ed energie sarebbe
stato inutile. Peggio ancora, quel viaggio interminabile si sarebbe
rivelato solo un'enorme perdita di tempo.
No, non era così che doveva vedere le cose. Di certo MacIain
l'avrebbe ricevuta, dato che era una parente acquisita per
matrimonio. Dopotutto, i tre rami della stirpe MacIain provenivano
dalla stessa famiglia. Lo sapeva per certo perché Bruce non faceva
altro che parlare del loro albero genealogico. Era incredibilmente
fiero di discendere dai guerrieri delle Highlands.
La storia della famiglia di Rose, invece, non era così nobile. Il suo
bisnonno era quasi morto di fame in Irlanda, e chissà come era
riuscito a imbarcarsi per New York, dove aveva iniziato una nuova
vita. Naturalmente, un povero manovale irlandese non aveva goduto
di alcuna considerazione in quella società, ma lui aveva lavorato
sodo e aveva messo da parte i soldi, in modo da lasciare una piccola
eredità ai figli. Così aveva dato inizio a un percorso che aveva
condotto i discendenti sulla strada dell'agiatezza.
Purtroppo, però, spesso la buona sorte ti volta le spalle da un
momento all'altro, e Rose lo sapeva. Ricordava bene le parole del
bisnonno, che suo padre ripeteva di frequente: «Alle buone
occasioni bisogna unire l'impegno». Era proprio ciò che lei stava
facendo: aveva affrontato quel lungo viaggio perché Mr. MacIain le
aveva dato una buona occasione.
Davanti alla porta, assunse una postura solida e sistemò i lacci
della borsetta, poi rifece il fiocco al cappellino. Gonfiò un poco la
gonna e abbassò lo sguardo per controllare se le scarpe erano
pulite. Forse avrebbe dovuto trovare prima un alloggio, in modo da
potersi preparare meglio a quell'incontro. Avrebbe dovuto quanto
meno lavarsi il viso e mettersi della pomata sulle labbra, perché le
sentiva screpolate. D'altra parte, temeva che, se avesse avuto un
letto a disposizione, sarebbe crollata e avrebbe dormito per due
giorni di seguito.
Prima di riposare, doveva incontrare Duncan MacIain.
Lui doveva accettare. Doveva.
Prese coraggio, afferrò il battente e lo lasciò cadere contro la
porta. Il suono riecheggiò all'interno della residenza.
Aveva immaginato decine di volte l'uomo che stava per
incontrare, soprattutto dopo aver letto le lettere che scriveva a
Bruce. Di certo era un tipo distinto, all'incirca della stessa età che
avrebbe avuto suo padre se fosse stato ancora vivo. Se lo figurava
come una persona seria e responsabile, che avrebbe avvertito
subito la forza del legame con la famiglia. Avrebbe accettato le
condizioni di Rose, non solo perché erano giuste, ma perché lei
rappresentava il ramo americano dei MacIain.
Forse l'avrebbe trattata con condiscendenza o le avrebbe fatto
un sermone sui pericoli che aveva corso affrontando un viaggio così
lungo, ma a lei non importava. Magari l'avrebbe affidata alle cure di
sua moglie, che l'avrebbe esaminata con ansia come una chioccia,
l'avrebbe tempestata di domande sul viaggio per poi sciorinarle
infine una lunga serie di raccomandazioni.
Da quanto tempo nessuno si preoccupava per lei? Sua madre
non aveva potuto coccolarla perché era morta dandola alla luce. Suo
padre invece l'aveva viziata, ma ormai era morto da anni.
Scosse la testa tra sé e sé e fece cadere di nuovo il battente,
assumendo un'espressione cordiale. Era un'esperta in quello.
Poteva superare qualunque genere di situazione con il sorriso, e lo
aveva fatto spesso.
«Chi è?»
La donna che aprì la porta aveva l'aria di una matrona.
Indossava un abito di un triste blu scuro, adatto però al suo
incarnato. Sorrideva amabilmente, come se fosse abituata a
mostrarsi gentile in ogni occasione.
«Posso aiutarvi?» le chiese. «Se siete un'amica della signora, vi
avviso che sta cenando con la famiglia in questo momento. Ne avrà
per qualche ora. Volete vederla?»
Dalla casa proveniva un delizioso odore di cibo. Rose era così
affamata che distinse ogni profumo: pesce arrosto, pane appena
sfornato, roast beef e quella che doveva essere una torta alla frutta.
Il
suo stomaco gorgogliò, come se lei già non sapesse che non
consumava un pasto decente da due giorni.
«Mr. MacIain» disse, scacciando la fame e la stanchezza dai suoi
pensieri. «È qui? Ho bisogno di parlare con lui.»
«Siete in affari con Mr. Duncan? Be', lui conduce quasi tutte le
trattative in fabbrica, signorina. Non sarebbe meglio se vi incontraste
lì?»
Rose non sapeva dove fosse la fabbrica MacIain, aveva trovato
solo l'indirizzo di casa sulle lettere che Mr. Duncan spediva a Bruce.
«Sono venuta fin qui dall'America» rispose.
Appena ebbe pronunciato quelle parole, la donna la trascinò in
casa tirandola per una manica. «Ma perché non lo avete detto
subito? Dall'America? Così lontano? E io che vi lascio in piedi sulla
porta. Quello è il vostro bagaglio? E la vostra carrozza? Ci
occuperemo subito di entrambe le cose.»
La donna, calma e posata fino a un attimo prima, si trasformò in
un tornado.
Rose si ritrovò a seguirla attraverso la casa, avvicinandosi
sempre di più al profumo del cibo, tanto che le vennero i crampi per
la fame. Pochi istanti dopo, la donna la fece entrare in una piccola
sala da pranzo.
Intorno al tavolo erano sedute quelle che a una prima occhiata le
sembrarono decine di persone, tutte attraenti e ben vestite. Alcuni la
guardarono e le sorrisero.
«Duncan? Questa signora è venuta dall'America solo per parlare
con voi.»
Rose era così affamata che non riusciva più a pensare né a
parlare. Quando un uomo si alzò, temette che la fame le stesse
causando le allucinazioni: alto, capelli scuri, gli occhi azzurri più belli
che avesse mai visto. Lui le sorrise con dolcezza. Era così bello e
gentile, talmente perfetto, che lei si chiese se fosse reale. Aveva le
spalle ampie e forti e un volto che probabilmente attirava l'attenzione
di ogni donna che lo incontrasse per strada. Era certa che tutte
restavano colpite dalla bellezza delle sue mascelle forti, della bocca
che sembrava capace di incurvarsi tanto in un sorriso bonario
quanto in una smorfia beffarda.
Non si era aspettata che Duncan MacIain fosse così
affascinante. Le parve quasi di barcollare leggermente tanto era lo
stupore.
«Sì?» disse lui, avvicinandosi.
«Mr. MacIain? Duncan MacIain?»
L'uomo la fissò con uno sguardo così intenso che Rose si sentì
privare di ogni forza di volontà. Tese una mano inguantata verso di
lui, ma di colpo qualcosa cambiò. L'aria intorno si scurì e il
pavimento cominciò ad avvicinarsi velocemente. Per fortuna Mr.
MacIain riuscì a prenderla tra le braccia mentre cadeva. Proprio in
quel momento, lei fece uno strano pensiero che la turbò molto,
sebbene fosse quasi priva di sensi.
Era per questo che aveva fatto tanta strada.
Duncan portò la donna nella camera degli ospiti, seguito da sua
madre Eleanor e da Mabel.
Sua madre tolse il cappellino alla ragazza, scoprendo una
chioma di capelli rossi come il tramonto di Glasgow. Sebbene fosse
vestita completamente di nero, era giovane, e aveva i lineamenti
delicati e la carnagione chiara e levigata, tipica delle bellezze inglesi.
Era molto graziosa e lui pensò che doveva essere bellissima
quando sorrideva.
Il nero non le donava. Per lei ci volevano colori vivaci, come il
verde smeraldo, il rosso rubino o un bell'azzurro, tonalità che non
stonavano con i capelli. Era riuscito a vedere i suoi occhi solo per un
istante prima che svenisse, ma aveva notato che erano verdi come i
pini di Hillshead.
«Mettila sul letto, Duncan» gli disse la madre. «Dobbiamo
slacciarle il vestito. La poverina sarà svenuta per colpa del corsetto
troppo stretto.»
«O per la fame» suggerì lui, osservando il volto della ragazza. Il
naso era delicato, ma ben definito, e le labbra carnose, ma la linea
della mascella era troppo affilata e le guance troppo scavate.
La madre annuì. «Forse dovremmo prepararle un vassoio di
cibo» disse a Mabel. Quando questa fece un cenno affermativo e
uscì, chiese a lui: «Secondo te chi è?».
«Non ne ho idea.»
«Date le circostanze, non sarebbe inappropriato se controllassi io
stessa?» domandò lei, lanciando un'occhiata alla borsetta che la
ragazza ancora stringeva tra le mani.
Duncan contemplò la loro ospite inaspettata. Aveva il volto
pallido, ma i capelli rosso vivo scendevano a cascata sul cuscino
come lingue di fuoco. Una donna misteriosa si era presentata alla
loro porta, chiedendo di parlare con lui, ma era svenuta prima di dire
una sola parola.
Capiva perfettamente la curiosità di sua madre perché provava la
stessa cosa.
«So bene che è un gesto scortese, ma non pensi che vorrebbe
che sapessimo chi è? La poverina non è riuscita nemmeno a
presentarsi prima di perdere i sensi. Credi che sia malata?
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