Un maledetto per sempre – Bianca Marconero

SINTESI DEL LIBRO:
I risvegli non sono tutti uguali. Alcuni si tingono d’ottimismo, altri di paure.
Altri, semplicemente, sono plasmati nell’aspettativa.
Oggi ho aperto gli occhi e mi sono trovata davanti il viso di Jacopo che mi
dormiva accanto. In genere, davanti a mio figlio, mi concedo un attimo di
stupore. Stamattina invece no. Stamattina ho pensato: «Bimbo mio, oggi
succederà qualcosa».
Negli ultimi anni ho imparato a fidarmi di questo sesto senso. Credo che
l’inconscio acquisisca informazioni e delinei ipotesi di rischio. Ho maturato una
certa capacità di sommare i dettagli e capire se produrranno un cambiamento.
Il cambiamento in sé non è buono o cattivo. È, potenzialmente, entrambe le
cose.
Ci penso da stamattina. Mi sono rigirata in testa molte congetture, l’ho fatto
mentre passavo aspirapolvere e straccio, mentre accatastavo i vestiti di Tatiana,
la mia coinquilina russa, mentre facevo partire la lavatrice, preparavo le mele per
Jacopo, facevo un primo tentativo di svegliare la mia amica, pulivo le verdure
per il pranzo, facevo un secondo tentativo di svegliare Tatiana. E la sensazione è
rimasta anche mentre mettevo la vellutata sul fuoco, stendevo i panni sul
balcone, sfidando il freddo di Milano, e infine ci ho pensato sedendomi a tavola
con la mia coinquilina e mio figlio.
Non ho smesso neppure per un attimo.
«L’appartamento profuma!», esclama Tatiana. «Sei proprio bravissima donna
di casa, Agnieszka». Mi chiama sempre così, per via dell’abitudine. Era il nome
della sua precedente coinquilina, di origine polacca. «Sai che prima di te, io
vivevo come un cane in canile?».
Ha detto la verità. Tatiana è disordinata per scelta e vocazione, ma per me non
è un problema. Le devo moltissimo. Sei mesi fa sono arrivata da Firenze e non
avevo un posto dove stare.
«Hai fatto un affare a prendermi in casa!», dico mentre le verso nel piatto la
vellutata.
Lei annuisce, prende il tovagliolo e lo apre con un gesto brusco. «Tu molto
brava nelle cose da femmina, Agnieszka». Indica il piatto. «E sei anche brava a
cucinare».
«Ti sembro brava perché prima mangiavi malissimo».
Lei ride. Lo fa in un modo esplosivo, eccessivo e troppo assurdo per riuscire a
stare seri.
«Tu hai ragione. Io non sono brava nelle cose delle femmine», poi mi lancia
un’occhiata oltre il cucchiaio. «Tranne una cosa da femmine che mi riesce molto
bene».
«Cosa?», chiede Jacopo, alle prese con la sua vellutata. Siede su un
seggiolone, composto come una bambola. Gomiti attaccati al corpo, busto dritto.
Il contrasto con Tatiana, mezza stesa sul tavolo e seduta a gambe divaricate,
salta all’occhio.
«Cresci, bimbo», gli dice lei, «cresci che poi ti spiego».
«Adesso», insiste Jacopo.
«Quando sarai grande, lo capirai da solo», ribadisco io.
Tatiana ride e io provo a non farlo.
Alla fine del pranzo, Jacopo prende i suoi mattoncini della Duplo e va a
giocare sul tappeto.
«Ieri al parco ha perso tre pezzi. Era molto triste», mi riferisce Tatiana. «Per
Natale gliene regalo una scatola nuova».
«Lascia perdere. Meglio se teniamo i soldi», le raccomando. «Io lavoro in uno
stato semi regolare, tu del tutto in nero. Bisogna che stiamo attente».
«E se facciamo che entrano più soldi, per me e per te?».
L’espressione misteriosa, la mezza frase e il tono improvvisamente basso mi
mettono subito sulla strada giusta.
«Ho capito di cosa parli, Tatiana, e la mia risposta è no».
«Sven dice che sarebbe nostra fortuna».
«Tuo cugino fa i suoi interessi. Ma non mi fido di lui. E neppure delle persone
per cui lavora».
«Agenzia di mio cugino è a posto. In regola».
Scuoto la testa e mi metto a sparecchiare. Tatiana mi raggiunge.
«Io ci ho pensato. Ho deciso. Voglio provare», mi dice. «Pagano bene».
«Quanto bene?»
«Duecentocinquanta euro», risponde. «A sera», precisa, con una strana luce
negli occhi. «Più extra».
«Continua a non sembrarmi una buona idea». Voglio mantenere la mia
posizione ma capisco che sia tentata.
Finisco di rassettare, poi mi metto a giocare con Jacopo. È fissato con i
mattoncini da costruzione. Usa quelli grandi, ma vorrebbe quelli piccoli. Gli ho
detto che prima deve compiere trentasei mesi. E da quel momento si allena a
pronunciare “trentasei” come fosse una parola magica. Ammucchia i pezzi in
base al colore, quindi in base al tipo. Poi li incastra tra loro per dare forma ai
suoi pensieri. È incredibilmente bravo per la sua età.
Mentre lui costruisce, io disegno. Sto cercando di farlo tutti i giorni, ma è
dura. Le matite mi portano dentro ai ricordi e non sempre sono abbastanza forte
per restarci.
Quando viene l’ora, lo bacio, gli raccomando di fare il bravo con Tatiana ed
esco per andare al lavoro. In metropolitana mi assale di nuovo la sensazione di
stamattina. Forse sotto sotto sapevo che Tatiana stava valutando di accettare la
proposta di suo cugino Sven. Sven non mi piace, è un tipo viscido e ambiguo.
Gestisce la sicurezza per la StarLust, un’agenzia che si occupa di “eventi e
animazioni di alto profilo”, più che altro feste private destinate a committenti
piuttosto ricchi. Ma se serve qualcuno che si occupi di sicurezza, durante queste
feste, significa che qualcosa può andare storto. Comunque, Sven è sempre alla
ricerca di ragazze da inserire nel giro. Certo, non sembra un lavoro molto
diverso da ciò che Tatiana fa nel locale di quart’ordine in cui ora balla mezza
nuda. Ma allo stesso tempo non è la medesima cosa. Quando girano molti soldi
non è mai la stessa cosa. Però riconosco che un compenso di duecentocinquanta
euro, a sera, sia una tentazione alla quale è difficile resistere.
Scendo alla fermata Garibaldi e, una volta uscita dalla stazione della metro, mi
coglie una ventata gelida. È un inverno freddo, soprattutto per me che non ci
sono abituata.
Quando arrivo davanti al Vino di Bacco, il locale dove lavoro, il cuore mi fa
un altro scherzo. Due giorni fa, proprio qui, io ho incontrato Brando.
Dopo tre anni esatti, ho rivisto il ragazzo di cui ero innamorata. Ho preso un
caffè con colui che, nonostante mi abbia dato Jacopo, non sa di essere diventato
padre.
Brando voleva sapere cosa mi fosse capitato e, poiché anche io volevo capire
cosa fosse successo a lui, abbiamo finito per barattare le nostre verità. Forse
Brando è stato sincero, quando mi ha confessato di aver combattuto i suoi
demoni, e mi ha confermato di avere avuto un serio problema con le droghe, ma
io non potevo esserlo fino in fondo. Il tempo non ha reso i segreti più facili da
confessare.
Durante la nostra conversazione, io ho nominato Jacopo. Una parte di me ne
sentiva l’urgenza. Erano tre anni che immaginavo il momento in cui avrei
pronunciato, davanti a Brando, il nome che avevo scelto per nostro figlio. Ma
ovviamente non ho avuto il coraggio di dire chi fosse.
Sto provando a essere serena, ho anni di allenamento, ma ammetto che era più
facile prima di rivederlo. Mi sento come una ex alcolista che dopo essere stata
sobria per 1075 giorni si è fatta uno shot di vodka.
La verità è che spero che torni, so che è pazzesco, ma non faccio che pensarci.
Ieri sera ho cercato di capire se lui fosse ancora a Milano. Quello che ho dedotto,
dalle notizie in rete e dai profili della band in cui Brando canta e suona il basso,
è che gli Urban Knights hanno partecipato a una trasmissione radiofonica e
hanno posato per un servizio fotografico che verrà pubblicato su «Beat!», una
nota rivista musicale. Dopo Natale saranno a Parigi per la seconda parte del
servizio di «Beat!» e per partecipare a un festival indoor. Poi torneranno a
Roma, dove si esibiranno al concerto di capodanno al Circo Massimo. Mi pare
improbabile che Brando festeggi davvero. Chissà quanto gli peserà tornare a
Roma proprio nel terzo anniversario del funerale di sua madre.
Il primo a salutarmi, appena varco la soglia del Vino di Bacco, è Maurizio, il
mio capo. Vorrei che non sorridesse così tanto, ogni volta che mi vede,
soprattutto quando ho il turno con Valentina. Valentina ha un’evidente
infatuazione per lui e il modo in cui Maurizio mi tratta la porta a essere un po’
acida con me.
La verità è che, quando ci sono di mezzo i sentimenti, gli equilibri si rivelano
fragilissimi. Si diventa sospettosi, territoriali. Stupidi.
So di cosa parlo.
Vado dietro il bancone e mi infilo il grembiule nero. Maurizio, un tipo
piuttosto magro, con i capelli fini e gli occhi perennemente spalancati, attacca
bottone.
«Hai mancato per un pelo qualcuno che ti avrebbe fatto piacere vedere!».
Il cuore perde un colpo. Gli rivolgo un’occhiata che deve essere lo specchio di
ansia e attesa, tanto che si sente in dovere di spiegare.
«Un turista giapponese. Ha fatto mille foto ai tuoi disegni. È stata una grande
idea appenderli al muro».
«Ah okay», abbasso la testa, completo il nodo del grembiule. Mi ero quasi
scordata di quanta violenza ci fosse in certi colpi al cuore.
Mentre passa lo straccio sul bancone, si mette a parlare dei voucher. A
settembre ci siamo accordati per compilarne uno ogni tanto, così lui avrebbe
risparmiato sui contributi. Se si vuole lavorare, questi sono compromessi
quotidiani. Sono comunque grata a Maurizio perché mi fa lavorare e perché mi
ha presentato suo cugino Carmelo, proprietario della pizzeria Vesuvio, a
Rogoredo, a due passi da casa mia. Qualche volta faccio la cameriera anche lì,
anche se di rado perché pure Tatiana lavora di sera. Una di noi deve restare a
casa con Jacopo.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo