Un appartamento a Parigi – Guillaume Musso

SINTESI DEL LIBRO:
La sindrome di Parigi
Paris is always a good idea.
Audrey Hepburn, Sabrina
1.
Roissy-Charles de Gaulle, zona
arrivi.
Una
certa
dell’inferno in terra.
definizione
Nell’area controllo passaporti
centinaia
di
ammassavano
viaggiatori
in
una
si
coda
congestionata che si allungava e
serpeggiava come un boa obeso.
Gaspard Coutances levò il capo in
direzione delle cabine di plexiglas
allineate venti metri davanti a lui.
Dietro la fila degli sportelli, solo
due miseri poliziotti controllavano
il flusso straripante dei passeggeri.
Gaspard si lasciò sfuggire un
sospiro di esasperazione. Ogni volta
che
metteva
piede
in
quell’aeroporto si domandava come
i
responsabili pubblici potessero
ignorare gli effetti devastanti di
un’immagine così odiosa della
Francia.
Gaspard deglutì. Come se non
bastasse,
faceva
un
caldo
insopportabile. L’aria era malsana,
pesante, satura di un puzzo
spaventoso di sudore. Gaspard
s’incuneò tra un adolescente con il
look da motociclista e un gruppo di
asiatici. La tensione era palpabile: in
pieno jet-lag, dopo un volo di dieci
o quindici ore, una lunga teoria di
passeggeri con la faccia da zombi
scoprivano con rabbia che non
erano ancora giunti alla fine della
loro via crucis.
Il calvario era cominciato subito
dopo
l’atterraggio.
Il
volo
proveniente da Seattle era arrivato
puntuale un po’ prima delle 9 del
mattino, ma c’erano voluti venti
minuti perché approntassero la
scaletta e i passeggeri potessero
scendere. E poi, dopo una marcia
interminabile lungo vetusti corridoi,
una terrificante gimkana per
interpretare
i
complicatissimi
cartelli di segnalazione, facendo
attenzione a non rompersi le gambe
su scale mobili in panne, e una
battaglia per infilarsi su una navetta
stracarica, erano stati parcheggiati
come bestiame in una sinistra sala
d’attesa. Benvenuti in Francia!
Con la sacca da viaggio sulla
spalla, Gaspard stillava sudore.
Aveva l’impressione di avere già
percorso tre chilometri da quando
era sceso dall’aereo. Prostrato, si
chiese cosa ci facesse lì. Perché ogni
anno s’infliggeva un mese di
prigione a Parigi per scrivere la sua
nuova pièce teatrale? Fece una
risatina nervosa. La risposta era
semplice, e s’imponeva come uno
slogan: “Tecnica di scrittura in
ambiente ostile.” Tutti gli anni, alla
stessa data, Karen, la sua agente, gli
affittava
una
casa
o
un
appartamento nel quale avrebbe
potuto lavorare in tutta tranquillità.
Gaspard detestava talmente Parigi
e il periodo di Natale in particolare– che non gli costava alcuna fatica
restare rinchiuso ventiquattro ore
su ventiquattro. Risultato: la pièce
si scriveva da sola, o quasi. In ogni
caso, a fine gennaio, il testo era
sempre pronto.
La fila si stava smaltendo con
una lentezza esasperante. L’attesa
diventava una sorta di prova.
Bambini sovreccitati correvano
urlando tra le barriere, una coppia
anziana si teneva stretta per
reggersi in piedi, un neonato
vomitava il latte succhiato dal
biberon sul collo della madre.
“Affanculo
le
vacanze
di
Natale...” inveì Gaspard, inspirando
un’altra boccata d’aria viziata. Poi,
notando il suo stesso scontento sui
volti dei compagni di sventura, si
ricordò di un articolo letto su una
rivista a proposito della “sindrome
di Parigi”. Ogni anno decine e
decine di turisti giapponesi e cinesi
venivano ospedalizzati e sovente
rimpatriati a causa dei gravi
disturbi psichici accusati nel corso
della loro prima visita nella capitale.
Appena sbarcati in Francia molti
iniziavano a manifestare strani
sintomi – delirio, depressione,
allucinazioni, paranoia. Con il
tempo gli psichiatri avevano finito
per trovare una spiegazione: il
malessere dei turisti derivava dallo
scarto tra la loro visione sublimata
della Ville Lumière e quella che si
presentava realmente ai loro occhi.
Credevano di scoprire il mondo
meraviglioso di Amélie Poulain,
quello propagandato nei film e nelle
pubblicità, e invece trovavano una
città difficile e ostile. La Parigi del
loro immaginario – quella dei caffè
romantici, dei bouquinistes sulle
rive della Senna, della butte
Montmartre e di Saint-Germain
des-Prés – si scontrava con la dura
realtà: sporcizia, ladri, insicurezza,
inquinamento permanente, scempi
urbanistici,
inadeguatezza
trasporti pubblici.
dei
Per pensare ad altro, Gaspard
estrasse dalla tasca un pacchetto di
fogli
piegati
in
quattro.
La
descrizione e le foto della prigione
dorata che la sua agente gli aveva
affittato nel VI arrondissement. L’ex
atelier del pittore Sean Lorenz. Le
foto
erano
accattivanti
e
promettevano un open space
luminoso, riposante, perfetto per la
maratona di scrittura che lo
aspettava. Di solito diffidava delle
foto, ma Karen aveva visto il posto
e si era preoccupata che gli
piacesse. “E anche qualcosa di più,”
aveva aggiunto con fare misterioso.
Sempre che riuscisse ad
arrivarci.
Gaspard dovette pazientare
ancora un buon quarto d’ora prima
che uno degli agenti della polizia di
frontiera si degnasse di dare
un’occhiata al suo passaporto.
Amabile come la porta di una cella,
non gli rivolse né un “Buongiorno”
né un “Grazie”, né rispose al suo
“Buona giornata” quando gli restituì
il documento.
Nuova perplessità davanti ai
cartelli. Gaspard prese subito la
direzione sbagliata, poi tornò sui
suoi passi. Cascata di scale mobili.
Successione di porte automatiche
che si aprivano sempre in ritardo. Si
affrettò a superare il tapis-roulant.
Grazie a Dio non era stato così
incosciente da registrare bagagli.
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