Umanizzare il brand – Strategie in ottica human per comunicare con successo – Samantha Visentin

SINTESI DEL LIBRO:
Che cosa signi ca umanizzare un brand?
Per mettere a fuoco il concetto di umanizzazione del brand, cominciamo dalla
de nizione che viene fornita dai principali dizionari di lingua inglese dei
termini brand e human.
Brand: “Name, term, design, symbol, or any other feature that identi es one seller’s good or
service as distinct from those of other sellers.”
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(Trad.: Nome, termine, design, simbolo o qualsiasi altra caratteristica che identi ca il bene o il
servizio di un venditore come distinto da quelli di altri venditori.)
Da questa prima de nizione è importante ricordare come un consumatore
possa individuare un brand non solo in base al nome, ma anche da “qualsiasi
altra caratteristica” che lo contraddistingue quale, ad esempio, il tono
comunicazionale o i volti (amdassador e in uencer) dell’azienda individuati
dalla strategia di marketing.
“The set of expectations, memories, stories, and relationships that, taken together, account
for a consumer’s decision to choose one product or service over another.”
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(Trad.: L’insieme di aspettative, ricordi, storie e relazioni che, considerati insieme, rappresentano
la decisione di un consumatore di scegliere un prodotto o un servizio piuttosto che un altro.)
A di erenza della precedente, la seconda de nizione si concentra su una serie
di termini fondamentali nella realizzazione di una strategia human di un
brand: storie e decisione. Più avanti vedremo come questi due concetti non
solo siano strettamente connessi tra loro, ma anche come contribuiscano al
successo e alle vendite di un brand.
Passando poi alla de nizione di umanizzazione, i dizionari di lingua inglese ci
vengono in aiuto con importanti de nizioni per il lemma humanize:
“To make someone or something kinder, gentler, or more agreeable.”
3
(Trad.: Rendere qualcuno o qualcosa più benevolo, gentile e gradevole.)
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“To make (something) more humane or civilized”.
(Trad.: Rendere qualcosa più umano e civilizzato.)
To portray or endow with human characteristics or attributes.
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(Trad.: Ritrarre o dotarsi di caratteristiche o attributi umani)
Delle tre de nizioni proposte, quella che si avvicina maggiormente al concetto
di umanizzazione di un brand è la terza: infatti, associare al brand
caratteristiche umane è il primo vero passo per renderlo vicino al proprio
pubblico, eliminando le barriere spazio-temporali.
Nei dizionari di lingua italiana, a di erenza di quelli inglesi, il lemma
umanizzazione e umano riportano tutti de nizioni che rimandano a contesti
religiosi (es: umanizzazione di Cristo) e alla contrapposizione uomo-animale.
Per questo è fondamentale chiarire n da subito che quando si decide di
applicare il concetto di umanizzazione ad un brand questo include non solo le
caratteristiche antropomor che che possono essere individuate nel logo, ad
esempio, ma soprattutto l’insieme di elementi che fanno dire all’utente “sento
vicino a me questo brand”.
Per fare un esempio pratico: umanizzare un brand non signi ca solo animare
le caramelle della M&M’s facendole muovere e parlare, ma implica lo studio di
strategie di comunicazione per renderlo un partner del consumatore stesso.
Ad ulteriore conferma della recente acquisizione di questi termini nel
linguaggio comune, basta pensare che prima del 2006 i termini
“umanizzazione” e “brand” non erano mai stati usati insieme, nemmeno nel
contesto anglofono che – da questo punto di vista – ha un vantaggio di circa
una decina di anni sul nostro Paese.
Infatti, il primo autore ad impiegarlo è stato Matthew
omson che nel 2006
ha usato, all’interno del Journal of Marketing, il termine human brands nel
titolo del proprio pezzo. Nel suo articolo
6 omson sottolineava, per altro,
come la sensazione di relazionalità instaurata tra il consumatore e il brand
stesso fosse una premessa fondamentale nello sviluppo di una solida relazione
tra le parti, caratterizzata da sentimenti ed emozioni.
Allo stesso tempo, poneva l’attenzione su come non bastasse per il brand
suscitare un rapporto empatico, ma che questo dovesse essere positivo
7
.
Da questo punto di vista,
omson dimostra di aver colto un aspetto
importante dell’umanizzazione del brand, ma al tempo stesso bisogna ricordare
come sia praticamente impossibile suscitare emozioni positive in ogni
consumatore, appartenente a qualsiasi segmento di mercato: anzi, è opportuno
farlo solo per le proprie personas in target.
Dopo l’intuizione pioneristica di Matthew
omson, bisogna aspettare no al
2013 quando Marina Puzakova, Hyokjin Kwark e Joseph F. Rocereto
8
utilizzeranno i termini “humanizing brand” all’interno del titolo del proprio
articolo giornalistico nel quale invitavano i marketer ad umanizzare i brand
attraverso caratteristiche visive tali che rendessero il proprio prodotto
somigliante agli esseri umani.
1.2 Come la digitalizzazione ha cambiato il rapporto tra brand e
consumatori
La rivoluzione digitale ha cambiato radicalmente la vita quotidiana di ciascuno
di noi, modi cando abitudini e aspettative nei confronti del brand.
Tuttavia, è opportuno fare una premessa: il termine digitale è estremamente
fuorviante, soprattutto se utilizzato in questo contesto. Bisogna infatti pensare
al termine digital sotto due punti di vista:
• Digitale come mezzo: in questo senso, la rivoluzione digitale ha portato ad
un cambiamento dello strumento tramite il quale i consumatori entrano in
contatto con il brand. Se prima la radio e la televisione erano le regine
indiscusse, oggi devono fare i conti con siti internet, applicazioni, e social
network come Facebook e Instagram.
• Digitale come contenuto: il punto non è solo che i consumatori vogliono
ricevere notizie e aggiornamenti tramite i social, ma che desiderano testi e
contenuti che si prestino a questa pubblicazione. Facciamo un esempio: un
articolo adatto alla pubblicazione cartacea, non è idoneo alla pubblicazione
online e viceversa.
A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, la pervasione della connessione a
internet e la di usione di smartphone e computer, nonché l’avvento di una
generazione che è nata con il digitale, sta spingendo le aziende a modi care
radicalmente non solo il proprio modo di comunicare, ma anche a stabilire
nuovi e diversi obiettivi aziendali.
Senza lasciarsi andare ad allarmismi, guardiamo i numeri: nel mondo ci sono
circa 7,676 miliardi di persone, di cui 4,3888 miliardi navigano regolarmente
su internet (circa il 57%). Di questi, 3,484 miliardi sono attivi sui principali
social media. Questi numeri sono destinati a crescere se consideriamo che
rispetto al 2018, il numero degli internauti è aumentato del 9,1% e quello dei
connessi a piattaforme social del 9% (stiamo parlando, in questo secondo caso,
di oltre 288 milioni di persone).
Cosa signi ca tutto questo? Che gli utenti, compreso tu che stai leggendo,
hanno modi cato le proprie aspettative nei confronti dei brand con cui
interagiscono. Si tende a dare per scontato che ogni marchio non solo abbia un
sito internet, ma anche una pagina Facebook e spesso Instagram e – se opera in
settori come quello della ristorazione o food and beverage – che ci sia un
servizio di customer care attivo 24 ore su 24.
Ne consegue che è cambiato profondamente il rapporto tra marketing e
comunicazione, basato oggi su un’intrinseca mutazione di entrambe queste
discipline.
Da una parte, è nato il marketing digitale ossia l’insieme delle attività
strategiche che si pre ggono come obiettivo l’utilizzo di canali web per creare
un network commerciale per vendere un determinato prodotto ma anche per
analizzare i trend di mercato, di conseguenza, adattare l’o erta in base al
proprio target.
Fin da questa prima de nizione, appare evidente come ci siano delle di erenze
macroscopiche rispetto al marketing tradizionale che – cercando di
sempli care – era basato sulla regola delle 4P (product, prize, place e promotion):
anche se questo asset è stato in parte confermato, il rapporto con il cliente è
cambiato in maniera radicale. Infatti, se nel marketing tradizionale il centro
dell’intera strategia era il prodotto (a discapito del potenziale consumatore che
era messo in secondo piano), oggi è proprio l’acquirente (cioè la buyer
personas) ad essere portato sotto le luci della ribalta.
Il risultato è che non solo è cambiato il modo di concepire il destinatario della
comunicazione, ma sono mutati anche gli strumenti per raggiungerlo e
instaurare una comunicazione pro cua con lui, tanto che si parla di marketing
relazionale.
Se il marketing aziendale ha subito una profonda mutazione, altrettanto è
accaduto anche alla comunicazione che è diventata comunicazione digitale
bidirezionale. Con questo termine si intende quel continuo scambio che si
instaura tra brand e azienda, in maniera attiva e reciprocamente rispettosa,
attraverso i numerosi canali attraverso i quali un brand è attivo. Idealmente,
nel perfetto equilibrio tra comunicazione e marketing, la prima contribuisce al
raggiungimento degli obiettivi che vengono pre ssati dal punto di vista
aziendale; insomma, utilizzando una metafora, si potrebbe dire che la
comunicazione è la benzina che permette al brand di raggiungere gli obiettivi
condivisi con il marketing.
Alla luce di questi fatti, gli utenti sempre più connessi hanno aspettative
di erenti nei confronti del brand di riferimento, in particolare per quanto
riguarda i luoghi di interazione, i principali dei quali sono:
• sito internet: il primo momento di contatto tra il brand e il consumatore,
nella maggior parte dei casi, è proprio il sito internet. Per questo risulta
essenziale non solo essere ben posizionati nei risultati di ricerca di Google, ma
anche comunicare in maniera e cace i propri punti di forza;
• live chat: è fondamentale avere una live chat o un chat bot che permetta agli
utenti di poter comunicare direttamente con il tuo brand. A riguardo,
soprattutto se lavori nel settore della ristorazione o se ti occupi di erogare
servizi, dovrai formare in maniera adeguata il servizio di costumer care;
• canali social media: Facebook, Instagram e LinkedIn sono le principali
piattaforme social delle quali un’azienda o un libero professionista devono
disporre per poter comunicare con il proprio consumatore. Soprattutto se sei
una realtà B2B, devi non solo avere un pro lo aziendale, ma devi anche
gestirlo in maniera organizzata e strategica.
A questo proposito è importante sottolineare n da subito come comunicare
sui social media attraverso un pro lo aziendale comporti delle responsabilità
concrete, non solo dal punto di vista legale, ma anche nella percezione che gli
utenti hanno del brand stesso. Infatti, un recente studio – divulgato da Statista
Infographics – ha individuato i modi con cui i social media, nel 2018 negli
Stati Uniti, hanno inciso positivamente sull’idea che i consumatori avevano del
brand stesso.
Dal gra co di Figura 1.1 emerge chiaramente come il 75% degli utenti
coinvolti nello studio abbia indicato che la democratizzazione dei social media
stia portando i propri frutti: infatti, per le aziende disporre di uno strumento
che consenta di conferire lo scettro del potere agli utenti sembra essere
particolarmente produttivo e stimolante.
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