Omicidio al Giro – Paolo Foschi

SINTESI DEL LIBRO:

destro, sinistro, destro.
Igor Attila danzava intorno al saccone da boxe appeso al soffitto nel suo
ufficio. Il ginocchio gli faceva un male boia, ma stringeva i denti,
imprecava e picchiava come un fabbro.
Ancora destro, destro, e poi una rabbiosa sequenza ravvicinata, quasi un
corpo a corpo con il sacco che ondeggiava paurosamente.
«Un giorno o l’altro quel coso si staccherà dal soffitto portando via un
pezzo di pavimento del piano di sopra. E tu passerai dei guai, quando dovrai
spiegare a quelli del ministero che cosa ci faceva un sacco da boxe qui
dentro» gli aveva detto la sua vice Chiara Merlo, scatenando in lui la tipica
reazione scaramantica maschile.
«Non è smucinando fra i tuoi gioielli che eviterai il disastro» aveva
commentato la Merlo.
Drinnnnnnnn.
Fine del round.
Il timer impostato sul cellulare aveva suonato il gong dell’ultima delle tre
riprese che Igor Attila aveva programmato. Come una finale olimpica. Diede
ancora un violentissimo pugno e poi si girò verso l’arbitro immaginario
scusandosi per il colpo proibito a tempo scaduto. Si voltò di nuovo verso il
saccone e lo fissò con aria di sfida all’altezza degli occhi di un avversario che
esisteva solo nella sua mente.
Fantasmi del passato.
Prese fiato e tornò all’angolo, cioè alla scrivania, dove tracannò una
bottiglietta d’acqua. L’età cominciava a sentirsi. Il cuore pulsava a mille e le
braccia erano pesanti come due tronchi.
Lo scorrere del tempo è la più grande porcheria del mondo, pensava Igor
Attila.
Poteva continuare ad allenarsi come un forsennato. Fatica inutile. Era una
lotta impari, altro che Davide contro Golia. Ogni giorno che passava, era un
piccolo passo verso la fine. Era sempre stato così, e così sarebbe sempre stato.
Doveva rassegnarsi.
Guardò la pila di documenti accumulati nelle ultime settimane. Senza
inchieste da condurre, l’attività della Sezione crimini sportivi era ridotta a
carte da firmare, burocrazia da domare e tantissima noia.
Si mise a fissare il telefono.
Squilla, maledetto.
Squilla, brutta testa di cazzo.
Squilla, inutile ammasso di microchip.
Nulla.
Si alzò e prese la chitarra elettrica che teneva in ufficio. Collegò
l’amplificatore e il pedale multieffetto, mise la cuffia.
…e ora che avrei mille cosa da fare
io sento i miei sogni svanire
ma non so più pensare a nient’altro che a te…
canticchiò in un lamento, ma non riuscì a cominciare la strofa successiva.
Chiara Merlo spalancò la porta e irruppe nella stanza come un tornado.
Igor Attila fece un salto per lo spavento.
«Che grazia» esclamò. «Che succede?».
«Ha chiamato il grande capo. Ci aspetta in Questura. Subito».
«Torniamo in campo?»

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