Tre piani – Eshkol Nevo

SINTESI DEL LIBRO:
Quello che sto cercando di dirti è che, al di là della sorpresa, c’era un’altra
questione di cui io e Ayelet non osavamo parlare: il fatto che in qualche
modo sapevamo – dovrei dire sapevo – che poteva succedere. I segnali erano
lí da sempre, ma preferivo ignorarli. Troppo comodo, una coppia di vicini che
ti tengono la bambina. Pensaci. Cinque minuti prima di uscire la prendi cosí
com’è, senza borse, senza carrozzina, bussi alla porta di fronte, e sei a posto.
Lei è contentissima di andare da loro. Loro sono contentissimi di accoglierla.
E tu sei contentissimo di poter fare i cavoli tuoi. Ovviamente costa meno di
una baby-sitter. Sono cose imbarazzanti da dire, ma oggi non intendo
censurare niente, ti racconto tutto. Tu però mi prometti di non utilizzarlo in
uno dei tuoi libri. Affare fatto?
Una coppia come loro, due pensionati, non ha la minima idea del prezzo di
un’ora di babysitteraggio sul mercato. Non si passano la voce come le altre
baby-sitter, perciò puoi fissare il prezzo che ti pare. L’abbiamo deciso noi:
venti shekel all’ora. Nove anni fa poteva sembrare ragionevole. Un compenso
basso, ma ragionevole. Nel frattempo, il prezzo di un’ora nella nostra zona è
salito a quaranta, e noi siamo rimasti a venti. Ogni tanto Ayelet mi ricordava,
dobbiamo aumentare, lo sai. E io rispondevo, chiaro, aumentiamo. Ma siamo
rimasti a venti. Loro non hanno mai chiesto. Sono persone educate, arrivati in
Israele dalla Germania, lui gira in giacca e cravatta, lei insegna pianoforte al
conservatorio e usa espressioni come “di grazia”. Se anche avessero voluto
chiedere qualcosa, l’orgoglio gliel’avrebbe impedito. E noi ci siamo detti
magari non l’abbiamo confessato ad alta voce, ma l’abbiamo pensato: con la
vita noiosa che si ritrovano, hanno solo da ringraziare. Dovrebbero pagarci
loro per il privilegio di godersi Ofri.
Non ricordo quanto aveva esattamente la prima volta che l’abbiamo
lasciata da loro, di sicuro era piccolissima. Quanto ci vuole per ricominciare a
fare sesso dopo che una donna ha partorito? Un mese? Un mese e mezzo? È
iniziata cosí, per il sesso. Al nono mese Ayelet ha avuto la gestosi. Non la
potevo toccare. Un mese dopo il parto sanguinava ancora. Io ero
arrapatissimo, bruciavo dalla voglia. Come gli angoli dei bigliettini d’auguri
che preparavamo da ragazzi, ti ricordi? Mai successo niente del genere. Mi
capitava di trovarmi, durante un incontro di lavoro, a fissare una cliente e
immaginare di acchiapparla, trascinarla in bagno e strapparle i vestiti. E le
donne questa fame la captano. In quel periodo le donne mi perseguitavano.
Tutte a provarci, e io non sono esattamente Brad Pitt. L’istruttrice di spinning
mi mandava sms da non credere. Alla prima occasione te li mostro. Ma mi
sono controllato. Mi sono morso forte le labbra, e Ayelet ha apprezzato. Non
me l’ha detto, “apprezzo”, non dice cose del genere. Però mi ripeteva di
continuo: mi mancano le tue carezze, mi mancano quanto mancano a te. Poi
una sera ha proposto: lasciamola per qualche minuto da Hermann e Ruth. E
mi ha sfiorato la spalla con un dito, piano. Il nostro segnale.
L’idea è stata sua. Sicuro. La prima volta l’iniziativa l’ha presa Ayelet.
Siamo andati insieme, abbiamo bussato alla loro porta e abbiamo chiesto se
potevano tenere Ofri per qualche minuto. Secondo me hanno capito
esattamente di cosa si trattava. L’urgenza. Sono una di quelle coppie che sta
insieme da una vita, e si vede che fra loro c’è ancora fuoco. Hermann è alto,
diritto. Ha l’aria del cancelliere tedesco. E Ruth ha i capelli bianchi e lunghi,
sempre raccolti in una coda di cavallo: non sembra una vecchia, piú una
donna matura. Ha chiesto ad Ayelet quando Ofri aveva mangiato per l’ultima
volta, e Ayelet ha risposto che non doveva essere affamata, e comunque
sarebbe rimasta con loro solo per qualche minuto. Poi ha chiesto se usava il
ciuccio e che le lasciassimo un pannolino, per ogni evenienza. Dopodiché
Hermann si è messo a fare rumoretti buffi a Ofri e le ha fatto il solletico alla
pancia con la punta della cravatta. Ofri gli ha sorriso. A quell’età i sorrisi
sono istintivi, non veri, lo sai. Ma ho ugualmente detto ad Ayelet: guarda
come gli sorride. E Ruth ha commentato, i bambini adorano Hermann.
Devi capire: Ofri non era disposta a stare con chiunque. Da piccola,
piangeva perfino con la nonna. Ma come l’abbiamo messa in braccio a Ruth
le si è acciambellata addosso, le ha posato la testa sul petto e ha giocherellato
con i suoi capelli lunghi. Ruth ha detto, shh, shh, shh, le ha accarezzato la
guancia, e Ayelet si è chinata all’altezza di Ruth e ha detto a Ofri, torniamo
fra qualche minuto, d’accordo, amore? Ofri l’ha fissata con il suo sguardo
saggio e poi l’ha posato su di me. Sembrava stesse per piangere, invece no. Si
è solo rannicchiata piú comodamente sul petto di Ruth, la quale ci ha invitati:
di grazia, andate a cuor leggero, abbiamo cresciuto tre figli e cinque nipoti, e
Ayelet ha ripetuto di nuovo, è solo per pochi minuti e ha dato un’ultima
carezza a Ofri, sulla guancia.
Appena la porta dell’appartamento si è chiusa alle nostre spalle, le ho
messo la mano sul culo, ma lei si è bloccata e ha detto: aspetta, non senti
piangere? Siamo rimasti immobili ad ascoltare ma, a parte il solito rumore di
mobili trascinati dalla vedova del piano di sopra, non si sentiva niente.
Abbiamo aspettato ancora un attimo per sicurezza, poi Ayelet mi ha preso la
mano e mi ha detto, di grazia, tralasciamo i preliminari, sei d’accordo? E mi
ha trascinato in camera da letto.
I nipoti di Hermann e Ruth sono sparsi per il mondo. Due a Vienna. Due a
Palo Alto. La piú grande abita con la madre a Parigi, viene in visita ogni
estate e fa uscire gli occhi dalle orbite ai ragazzi del quartiere con le
minigonne microscopiche, la pelle abbronzata e gli occhi verdi. L’aspettano
sotto casa come gatti in calore, e lei ci gioca. Li sfiora mentre parlano, ma
non si lascia mai toccare. Una vera francesina. Porta già i tacchi. Si mette il
profumo, come una donna. L’estate scorsa, Ruth l’ha mandata a chiedere
delle uova; le ho aperto senza camicia e lei ha commentato, con il suo
accento francese, Monsieur Arnò, indossi una camicia, le pare il caso di
mostrarsi cosí a una signora?, e ha ridacchiato civettuola. Le ho dato le uova
senza ricambiare la risata, pensando che si sente proprio che la zoccoletta non
ha un padre. Se fossi io suo padre, gliela farei allungare subito quella mini.
Ma della sua gonna riparliamo dopo.
Anche gli altri nipoti di Hermann e Ruth vengono in visita un paio di volte
all’anno. In quei giorni la casa, da cui di solito provengono solo note di
pianoforte e voci del canale tedesco via cavo, si fa rumorosa, piena di vita.
Hermann costruisce un mucchio di giochi in giardino. Prima di andare in
pensione lavorava nell’industria aeronautica, perciò se ne intende. Fabbrica
altalene, scivoli e scale e anche modellini di aerei telecomandati. Se è estate,
recupera dalla cantina una piscina gigantesca, di plastica rigida. E dentro la
piscina monta una portaerei su cui devono cercare di far atterrare gli
aeroplanini. Poi tira fuori la portaerei e tutti si mettono il costume ed entrano
in piscina a spruzzarsi. Mai scatenati, però. Sono bambini educati. Si vede
che vengono da fuori. Mangiano con il coltello e la forchetta. E quando li
incontri nell’atrio salutano.
Quando i nipoti ripartono per i loro paesi, Hermann e Ruth cadono in
depressione. Regolarmente. Il giorno dopo la partenza, si chiudono a chiave
in casa e c’è poco da bussare. Come posso spiegartelo… È come se la porta
improvvisamente pesasse un quintale e avvertisse: non adesso. Due giorni
dopo la partenza dei nipoti vengono a bussare, per informarci che se
vogliamo possiamo portare Ofri da loro. Hermann dice a Ofri: dai un bacino
a Hermann. Si abbassa alla sua altezza e le porge la guancia. Lei lo bacia
cauta, per non pungersi con la barba. E Ruth dice ad Ayelet: anche per poco
tempo. Non ci dovete pagare. E aggiunge a bassa voce, quasi sussurrando,
per Hermann è durissima quando i nipoti se ne vanno. Sono due giorni che
non dorme, non mangia, non si fa la barba. Non so cosa fare.
La faccenda del bacino, per esempio. Quando prima ti ho detto che ci sono
stati dei segni premonitori, intendevo cose del genere. Ha cominciato col
chiedere a Ofri un bacio quando arrivava da loro. E quando se ne andava.
Due baci. Uno per guancia. Ma in quest’ultimo anno capitava che aprisse
improvvisamente la porta, cosí, senza motivo, mentre eravamo sul
pianerottolo e stavamo uscendo o rientrando, si accoccolava e la chiamava:
ciao, Ofri, dai un bacino a Hermann.
Adesso mentre te lo racconto mi sento morire: non poteva essere piú ovvio.
Ma noi non volevamo vederci chiaro, è questo che cerco di dirti. La mamma
di Ayelet non è il tipo di donna che vuoi lasciare sola con i tuoi figli. I miei
genitori sono in pensione e non fanno altro che viaggiare. Viaggi lunghi.
Sudamerica. Cina. Zaino in spalla e via. Poi è nata Yaeli. E ha avuto la
complicazione alle vie respiratorie. Abbiamo passato settimane in ospedale
accanto al suo letto, facevamo a turno, io e Ayelet, e chi era di turno non si
poteva addormentare, rischiavamo che smettesse di respirare esattamente
quando chiudevamo gli occhi. Dall’ospedale si correva direttamente al
lavoro, non c’era nemmeno tempo di passare a casa per cambiarsi. Non sto
cercando scuse, spiego solo che avevamo sempre piú bisogno di Hermann e
Ruth. Di pomeriggio, di sera, nei fine settimana. A volte lasciavamo Ofri da
loro giusto mezz’oretta. Altre volte per mezza giornata.
Mi è tornata in mente proprio adesso – che storia, me n’ero completamente
dimenticato – una mattina che Ayelet era arrivata a darmi il cambio in
ospedale e mi ha raccontato un sogno fatto quella notte: noi due aspettavamo
fuori dalla sala operatoria, ma la bambina operata, la bambina in pericolo, era
Ofri, non Yaeli. Nel sogno non aveva sette anni, ne aveva uno. E il chirurgo
che poi usciva dalla sala operatoria per annunciarci l’esito era Hermann. Solo
che invece del camice da medico portava la vestaglia dei malati, quella aperta
dietro. Nel sogno lei quell’apertura non l’ha vista, ma sapeva che c’era.
Hermann le passava un dito tra le sopracciglia e diceva: Ofri vivrà. Lei era
stupita che parlasse di Ofri e non di Yaeli, ma non voleva chiedere per non
guastare il senso di sollievo.
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