Terra e cenere – Atiq Rahimi

SINTESI DEL LIBRO:
Ho fame!
Prendi una mela dal fagotto rosso ornato di bianchi fiori di melo
1
. Tenti di
pulirla con l’orlo del mantello impolverato, ma la mela si sporca di piú. La
riponi nel fagotto. Ne prendi un’altra, piú pulita, e la metti nelle mani di tuo
nipote Yassín, seduto accanto a te con la testa appoggiata sul tuo braccio
stanco. Yassín, con le mani piccole e sporche, prende la mela e la porta alla
bocca. Il vuoto lasciato dai suoi incisivi da latte non è stato ancora riempito.
Cerca di morderla con i canini. Le guance magre e scavate si mettono in
movimento. Gli occhi piccoli e stretti si stringono sempre di piú. La mela è
aspra. Yassín arriccia il naso e tira su.
Sei seduto con le spalle rivolte al sole estivo e ti appoggi al parapetto del
ponte che lega le due rive di un fiume in secca a nord della città di
Polkhomrì. La strada che congiunge il nord dell’Afghanistan a Kabul passa
proprio da questo ponte. Comunque, se dopo il ponte giri a sinistra e
continui per la strada di Khamèh lungo aride montagne, arrivi alla miniera
di carbone di Karkàr...
Il lamento di Yassín ti distoglie dal pensiero della strada per la miniera.
Guarda! Tuo nipote non riesce a mordere la mela. Dov’è il coltello? Cerchi
nelle tue tasche. Lo trovi. Prendi la mela dalle sue mani, la tagli in due, e
ogni pezzo di nuovo in due. Gli ridai tutti i pezzi. Rimetti il coltello in tasca
e incroci le braccia sul petto.
È da tempo che non sciogli il naswar
2 sotto la lingua, dov’è finita la
scatola? Cerchi di nuovo nelle tue tasche. Finalmente la trovi. Ne metti un
pezzo in bocca. Prima di riporre la scatola in tasca, ti dài un’occhiata al viso
nello specchietto all’interno del coperchio. I tuoi occhi stretti sono rintanati
nelle orbite. Il passaggio del tempo ha lasciato il segno: un’impronta di linee
sinuose, come vermi brulicanti all’apertura di due gallerie. Vermi affamati,
vermi in agguato...
In testa porti un grande turbante, sgualcito e mezzo disfatto. Il suo peso ti
ha incassato la testa tra le spalle. È impolverato. Forse è la polvere che lo ha
appesantito. Il colore originale è un mistero. Il sole o la polvere l’hanno reso
grigio...
Metti la scatola in tasca! Pensa a qualcos’altro! Guarda qualcos’altro!
Rimetti la scatola in tasca. Ti accarezzi la barba grigia abbracciandoti le
ginocchia. Fissi la tua ombra stanca sovrapposta all’ombra ordinata delle
sbarre del ponte.
Un camion militare con la portiera ornata di una stella rossa attraversa il
ponte. Indispettisce e disturba il pesante sonno della terra. La polvere si alza
nell’aria, conquista il ponte, e poi pian piano si riabbassa. Scende ovunque,
su ogni cosa: sulla mela, sul turbante, sulle sopracciglia... Copri con la mano
la mela di Yassín per impedirle di impolverarsi.– Lasciami stare!
Tuo nipote urla. La tua mano gli impedisce di mangiare.– Preferisci mangiare la polvere?!– Lasciami stare!
Lascialo tranquillo. Occupati del tuo dolore! La polvere t’invade la bocca e
le narici. Sputi per terra il naswar vicino ad altre cinque macchie verdi. Con
un lembo del turbante ti copri la bocca e il naso. Volgi lo sguardo all’inizio
del ponte, verso la strada della miniera e verso la piccola guardiola di legno
tinta di nero, dove vigila il guardiano della strada. Da una finestrella esce un
f
i
lo di fumo. Dopo qualche attimo di esitazione, con una mano ti aggrappi
forte alle sbarre arrugginite del ponte e con l’altra prendi il tuo fagotto rosso.
Ti alzi da terra e ti avvii tutto curvo verso la guardiola. Chiami Yassín.
Anche lui si alza e attaccandosi all’orlo del tuo vestito ti accompagna nel
cammino. Arrivate vicino alla baracca. Avvicini la testa alla finestrella
piccola senza vetro. Dentro, la guardiola è piena di fumo. L’odore del
carbone esce all’esterno insieme alle vampate di calore. Il guardiano, cosí
come lo avevi visto qualche minuto prima, è seduto appoggiato alla parete di
legno. Gli occhi sono ancora chiusi. Probabilmente il suo cappello è sceso un
po’. Nient’altro! Altrimenti tutte le cose sono identiche a com’erano, perfino
la sigaretta mezza consumata tra le sue labbra screpolate...
Allora, dài un colpo di tosse!
Il rumore non è arrivato nemmeno alle tue orecchie, figuriamoci a quelle
del guardiano! Un altro colpo di tosse, piú forte! Ma lui non sente ancora.
Non sarà rimasto intossicato dai fumi del carbone!? Lo chiami.– Fratello!– Cosa c’è ancora, baba jan
3
?
Grazie al cielo, parla. È vivo. Ma sempre immobile, con gli occhi chiusi
sotto il berretto... La tua lingua si prepara a dire qualcosa. Non interrompere
le sue parole!– ...Mi hai sfinito! Ti ho già detto quaranta volte
4 che appena vedo
arrivare un mezzo, mi butto sulla strada e lo supplico che ti porti alla
miniera!! Cos’altro vuoi?! Hai visto arrivare qualcosa finora? No! Ti serve un
testimone?!– Mio caro fratello, non mi permetterei! Capisco che finora non è passato
nessuno, però, non vorrei che per caso ti dimenticassi di noi.– Perché dovrei dimenticarmi, baba jan? Se vuoi, ti ripeto tutta la storia
che mi hai raccontato quaranta volte, in ogni particolare. Ho capito che tuo
f
iglio lavora nella miniera e tu sei venuto a trovarlo insieme a suo figlio.– In nome di Dio, ti ricordi tutto. Ma sono io che ho perso la memoria e
ho l’impressione di non avertelo detto. A volte penso che anche gli altri si
dimentichino, come me. Ti chiedo scusa. Ti ho importunato...
In realtà sei triste. È da tempo che nessuno, né un amico né uno
sconosciuto, ha dato ascolto al tuo cuore. È da tempo che nessuna parola, né
nella tua lingua né in una lingua straniera, ha dato calore al tuo cuore. Hai
voglia di dire qualcosa e ascoltare qualcosa. Allora parla! Ma non sentirai
nulla. Il guardiano non ascolterà le tue parole. Lui è chiuso in se stesso, è
solo con i suoi pensieri. Sta bene nella sua solitudine. Lascialo tranquillo!
Sempre in silenzio, rimani di fronte alla guardiola. Il tuo sguardo si
allontana dalla baracca e vaga lungo le curve sinuose della vallata. La valle è
arida, tranquilla e piena di rovi. In fondo alla valle c’è Moràd, tuo figlio.
Distogli lo sguardo dalla valle, scruti di nuovo all’interno della guardiola.
Vorresti dire al guardiano che se stai aspettando un mezzo di trasporto, è
solamente per tuo nipote, che se fossi stato solo, ti saresti già avviato a piedi,
che queste quattro o cinque ore di cammino non ti farebbero paura. Tu, ogni
giorno, passi dieci ore e piú in piedi a lavorare la terra, sei un uomo
coraggioso... Cos’altro ancora? È proprio necessario raccontare tutto al
guardiano? A lui cosa importa? Niente! Allora lascialo tranquillo. Dormi
tranquillo fratello! Noi andiamo. Non ti disturberemo piú.
Ma non ti muovi. Rimani in piedi. Silenzioso.
Il rumore di sassi che sbattono ai tuoi piedi richiama la tua attenzione su
Yassín, seduto lì accanto. Ha messo un pezzo di mela su un sasso e con un
altro sasso la schiaccia.– Cosa fai? Dio ti punirà! La mela si mangia!
Prendi Yassín per le spalle e lo sollevi. Il bambino grida:– Lasciami! Lasciami! Perché il sasso non fa rumore?
Dall’interno della guardiola, insieme all’odore del carbone, esce anche il
lamento del guardiano:– Mi avete sfinito! Non sei capace di tenere calmo un minuto tuo nipote?!
Non hai il tempo di chiedere scusa oppure non ne hai il coraggio. In fretta
prendi la mano di Yassín e lo trascini con te verso il ponte. Ti risiedi per
terra pieno di rabbia e ti appoggi di nuovo al parapetto. Appoggi il fagotto
rosso accanto a te, stringi tuo nipote tra le braccia e lo sgridi:– Stai fermo un minuto!
A chi lo dici? A Yassín? Ma lui non può sentire nemmeno il rumore del
sasso, figuriamoci la tua voce debole e tremante! Il mondo di Yassín è
diventato un altro mondo, un mondo senza rumore. Non era sordo, lo è
diventato. Lui stesso non se ne rende conto. È stupito che le cose non
facciano piú alcun rumore. Fino a qualche giorno fa non era cosí. Prova a
immaginare. Sei un bambino come Yassín e fino a qualche tempo fa sentivi
le parole e non sapevi cosa volesse dire essere sordo. E un giorno non senti
piú nulla. Perché? Anzi, se ti dicessero che sei sordo, ti sembrerebbe una
parola stupida! Non senti, non comprendi. Non immagini che sei proprio tu
a non sentire piú! Credi che siano gli altri ad aver perso il suono. Il suono ha
abbandonato l’uomo, il suono ha abbandonato il sasso. Il suono ha
abbandonato il mondo. Allora perché gli uomini aprono e chiudono la
bocca inutilmente?
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo