Sedurre un vichingo – Michelle Willingham

SINTESI DEL LIBRO:
La luce incerta del crepuscolo ammantava il caiseal di un evanescente velo
grigio. Era una sera di festa, ma per Auder O’ Reilly era l’inizio della fine.
Malgrado il tepore primaverile, aveva la pelle gelata, dato che l’esistenza
che aveva sempre conosciuto stava scivolando via, come acqua fra le dita. Di
lì a due giorni si sarebbe trasferita nell’insediamento normanno governato
dal suo futuro sposo, Lord Miles de Corlaine, Barone di Maraloch.
La sola idea di sottomettersi a quell’uomo la faceva rabbrividire. Era vero
che, grazie a quell’alleanza, avrebbe protetto la vita dei suoi parenti,
scongiurando il pericolo di un’invasione e unendo le loro terre. E Lord
Maraloch era un uomo molto ricco, in grado di darle tutto ciò che potesse
desiderare.
Non era quella, però, la ragione per cui aveva acconsentito a sposarlo.
Portò lo sguardo su sua madre, seduta a una certa distanza dalle altre
donne. Sebbene il viso di Halma O’ Reilly fosse atteggiato a un’espressione
serena, dolore e solitudine si celavano al di sotto. L’ombra dell’umiliazione
causata dai misfatti del marito continuava a gravare su di lei.
Non è colpa tua, avrebbe voluto assicurarle. Non meriti di soffrire per
quello che ha fatto mio padre.
Desiderava vederla di nuovo ridere con le amiche. Fornirle un motivo per
rialzare la testa, sapendo che la figlia aveva instaurato la pace dove prima
non c’erano state che minacce. Ed era per quello che aveva accettato quel
matrimonio.
Halma l’aveva protetta in tutti i modi possibili. Lei avrebbe potuto fare di
meno per ricambiare tanto affetto?
Auder attraversò il caiseal e le sedette accanto. «Non hai toccato cibo» le
disse notando che stava fissando gli altri membri del clan intenti a
banchettare e spettegolare.
«Non ho fame.» Halma le diede un buffetto sulla mano. Subito dopo
l’angoscia le alterò il viso. «Auder, non sono affatto sicura che tu debba
sposare quel barone. Non lo conosciamo veramente.»
«È stata una mia scelta, madre. Ho deciso io di accettare quell’onore.» Si
sforzò di sorridere e fallì miseramente.
«Sei una donna meravigliosa.» Le accarezzò la guancia. «Avresti potuto
scegliere qualsiasi degli uomini presenti. Perché non l’hai fatto?»
Per te. Per liberarti dalla vergogna che stai provando. Per fornirti un motivo
per essere di nuovo orgogliosa. «Nessuno di questi uomini mi interessa»
mentì. «E non credi che la vita dei membri del nostro clan sia più
importante dei miei sentimenti personali?»
«Puoi ancora dire di no. Nessuno ti costringerà a sposare quell’uomo.» Il
viso si oscurò. «Né a entrare nel suo letto.»
Un brivido le percorse la schiena alla prospettiva di giacere con il
normanno. Non era vergine, ma l’unica volta in cui aveva avuto un amante
l’aveva trovato tutt’altro che piacevole. Una cosa da sopportare anziché
gioirne. In seguito, l’uomo se n’era andato senza una parola, lasciandola a
chiedersi quale errore avesse commesso.
Da allora, aveva evitato la compagnia maschile. Benché non si fosse mai
mostrata scortese, aveva lasciato capire chiaramente che nessuno le
interessava. Purtroppo, anziché indurli a tenersi a distanza, aveva peggiorato
la situazione. Gli uomini facevano a gara per conquistare il suo affetto,
ognuno fermamente convinto di essere capace di fiaccare ogni forma di
resistenza.
«Sono stanca» dichiarò sua madre, alzandosi dalla panca. «Penso che
andrò a riposarmi un momento.» Un intenso rossore le imporporava le
guance, come se fosse riluttante a continuare a parlare dell’imminente
matrimonio della figlia.
Rimasta sola, Auder si sentì più avvilita che mai. Non aveva voglia di
festeggiare, non quando le restavano che due giorni.
Al colmo dello sgomento, abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Erano
macchiate dalle radici di robbia, così diverse dalle mani di una signora.
Quelle macchie facevano parte di lei, un segno che indicava quanto amasse
tingere i tessuti. Le donne dell’intera regione intraprendevano dei lunghi
viaggi per portarle le loro pezze di lana e di lino. E la riempiva di orgoglio
vedere uomini e donne che indossavano indumenti color cremisi, verde
smeraldo e giallo zafferano.
Se avesse sposato il normanno, era assai probabile che avrebbe dovuto
rinunciarvi. Le donne di nobili natali non si sporcavano le mani con quel
lavoro volgare.
Abbassando le palpebre, si chiese se le sarebbe stato possibile persuadere
il marito a permetterle di continuare a esercitare il suo mestiere. Tornando a
sollevarle, notò che Morren, la moglie del capo del clan, che era incinta,
stava avanzando a fatica, trascinandosi dietro una cesta. Facendosi largo fra
le gente, le andò incontro.
Morren adorava le piante quasi quanto lei e, benché si conoscessero da
sempre, erano diventate amiche intime solo negli ultimi mesi.
Le tolse il paniere di mano e si incamminò al suo fianco. «Sei stanca?»
«Un po’. Sarà un sollievo quando nascerà il bambino, verso la fine
dell’estate.» Lanciò un’occhiata al marito, che stava in piedi all’altra estremità
del caiseal insieme a diversi altri uomini. «Trahern teme più di me il
momento del parto.» Si lasciò cadere su una panca e le indicò di sederle
accanto, facendosi seria. «Auder, dovresti sapere che i soldati normanni
stanno perlustrando ancora una volta le nostre terre. Trahern ha sistemato
delle sentinelle, ma non ho la più pallida idea delle loro intenzioni.»
Anche se avvertì una contrazione allo stomaco, lei evitò di lasciar
trapelare l’ansia. «Può darsi che siano venuti per accompagnarmi al loro
insediamento per il matrimonio.» Incontrando gli occhi dell’amica, tentò di
dimostrare un coraggio che era ben lungi dal provare. «Andrò con loro se
sarà necessario.»
«Finché non sapremo perché sono qui, non voglio che tu resti sola un
istante.» Guardandosi intorno e scorgendo Gunnar Dalrata, Morren gli fece
segno di raggiungerle.
Alto, con fumosi occhi grigi e i capelli striati dal sole, Gunnar era uno dei
pochi uomini con cui Auder si sentisse a suo agio, probabilmente perché
erano stati amici quattro estati addietro, prima che lei si recasse dai parenti
di sua madre in Scandinavia. Purtroppo non aveva mai dimostrato il benché
minimo interesse per lei. Cosa per niente sorprendente, del resto, dato che
era stata più bassa di alcuni pollici e il suo corpo non aveva ancora assunto
le forme di una donna.
Tuttavia, anche dopo il suo ritorno, lui si era tenuto a distanza, senza mai
rivolgerle la parola. Lo aveva sorpreso a osservarla di tanto in tanto, ma la
loro amicizia sembrava scomparsa. Sebbene le dispiacesse, supponeva che
un simile comportamento fosse dovuto al rispetto nei confronti di Clàr O’
Reilly, che stava corteggiando.
«Gunnar, resterai accanto ad Auder e veglierai su di lei?» domandò
Morren. «I normanni...»
«Li ho visti.» Anche se il viso gli si contrasse per la collera, annuì. «E hai
ragione. Auder non dovrebbe stare sola mentre si aggirano nei paraggi.»
Il suo tono di voce e il fatto che non l’avesse degnata di uno sguardo le
diedero l’impressione di essere una bambina incapace di badare a se stessa.
Ogni traccia dell’amicizia con cui l’aveva trattata una volta era davvero
svanita. Senza che lei riuscisse a capire per quale motivo.
«Bene.» Morren si premette una mano sulle reni mentre si alzava e si
accingeva ad allontanarsi. «Devo parlare con Trahern dei festeggiamenti di
questa sera, e se rimarrai accanto ad Auder te ne sarò grata.»
Implacabile e corrucciato, lui fissò la giovane con palese riprovazione.
«Quindi intendi portare avanti questa follia?»
«Non hai altro da dirmi dopo la mia lunga assenza?» Incrociò le braccia
sul petto, scoccandogli un’occhiata truce. «Neppure un saluto?»
Lo sguardo di lui si indurì. «Non riesco a credere che Trahern te lo
permetta. Dev’essere uscito di senno per pensare che dovresti sposare il
barone.»
Irrigidendosi, lei squadrò le spalle. «È la cosa giusta da fare, se servirà a
evitare un’invasione.» E a proteggere mia madre.
«Siamo capaci di difenderci da soli, Auder. Il fatto che loro siano più
numerosi di noi non significa che non siamo in grado di combattere.»
«Se io lo sposo, non sarà necessario combattere.» Gli O’ Reilly non
potevano permettersi di subire un altro attacco, non dopo lo spaventoso
massacro che li aveva decimati un anno prima. A poco a poco i superstiti
stavano tornando, ma il danno era fatto. Ne restavano poco più di venti.
Gunnar la studiò come se stesse tentando di trovare un modo per
dissuaderla. I suoi occhi grigi parvero perforarla, percorrendole il viso e
scendendo lungo il suo corpo. «E a te non importa di essere usata in quel
modo? Non sei che una ragazzina.»
Un’ondata di imbarazzo la colpì mentre quelle parole evocavano la visione
del talamo nuziale. Immaginò il peso del normanno che la schiacciava,
obbligandola a sopportare un contatto sgradito. Sapeva di essere incapace di
provare passione. Il suo primo e ultimo amante le aveva insegnato bene
quella lezione. Non avrebbe provato alcun piacere. Avrebbe dovuto distrarsi
pensando ad altro mentre lui soddisfaceva le proprie esigenze.
«Non sono più una ragazzina, Gunnar» ribatté in tono pacato. «Non che
tu l’abbia notato.»
Lui incontrò i suoi occhi. «L’ho notato.» Serrò le labbra in una linea dura e
avanzò di un passo.
Lei riuscì quasi a percepire il cambiamento sopravvenuto fra loro, ma non
avrebbe potuto muoversi neppure se l’avesse voluto.
«Sospettavo che saresti diventata una bella donna» dichiarò Gunnar,
sfiorandole la guancia con il palmo della mano. «Ma non avevo mai
immaginato che ti saresti data a un normanno.»
Benché un nodo le serrasse la gola, Auder si costrinse a guardarlo. «Se,
facendolo, proteggerò mia madre e tutti gli altri, ne sarà valsa la pena.» I
bisbigli su suo padre sarebbero cessati. E chissà che non riuscisse a ricavare
qualcosa di buono dagli errori di Lucas.
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