Scoperte archeologiche non autorizzate. Antologia delle scoperte sotto censura, oltre la verità ufficiale – Marco Pizzuti

SINTESI DEL LIBRO:
IL CONCETTO DI CICLO
NELLO SVILUPPO DELLA
CIVILTÀ UMANA
Secondo le convenzioni accademiche
più consolidate, il progresso culturale e
scientifico non ha mai conosciuto battute
d’arresto definitive, e se anche in
qualche caso (per esempio nell’alto
medioevo) ha segnato il passo, ha poi
finito sempre per riprendere il suo
inarrestabile corso. Partendo da tale
presupposto
ideologico
(e
non
scientifico) ormai datato (è rimasto
sostanzialmente immutato da più di
duecento anni), le prime collettività
umane civilizzate, cioè ordinate secondo
modelli sociali complessi, sarebbero da
far risalire al 3000 a.C. circa. Una data,
questa, fissata inderogabilmente dagli
studiosi ortodossi come il tempo
dell’inizio della “maratona” tecnologica
umana. Quindi, seppur tra arresti,
rallentamenti
e
improvvise
accelerazioni, lo sviluppo della nostra
conoscenza avrebbe viaggiato in modo
rettilineo per condurci ai ragguardevoli
traguardi raggiunti in questa epoca.
Ma la prima conseguenza di tale
dogmatico ordine di idee ci porta
obbligatoriamente a supporre che prima
del
3000
a.C.
l’umanità
vivesse
sostanzialmente in uno stato primitivo
(poco più che uomini delle caverne).
Pertanto, se guardiamo ancora più
indietro nel tempo, non dovremmo
trovare nessun indizio di alcuna società
civilizzata. O almeno questo è ciò che ci
hanno insegnato a scuola. Ma le cose
stanno davvero così? E se invece le
tracce di società antidiluviane ci fossero
eccome,
ma
fossero
state
sistematicamente
occultate
(come
succede ancora oggi) solo per salvare le
dottrine più tradizionalmente radicate
nei circoli accademici?
Per conoscere la verità sulle nostre
origini al di là delle posizioni espresse
dalla scuola di pensiero dominante,
dobbiamo infatti sapere che esiste una
grande quantità di indizi importanti (tutte
le tradizioni più antiche ricordano
civiltà a noi precedenti) e in qualche
caso vere e proprie prove (come
conoscenze matematico-astronomiche o
reperti tecnologicamente inspiegabili)
circa l’effettiva esistenza di civiltà
progredite antecedenti alla nostra.
Queste ultime molto probabilmente
conobbero un notevole grado di
sviluppo, prima di finire dimenticate tra
le rovine delle cosiddette civiltà
perdute. E se due secoli fa gli
archeologi avevano l’alibi di non
conoscere l’esistenza di alcuna causa
naturale
che
avrebbe
potuto
determinarne
l’estinzione,
ormai
sappiamo che circa dodicimila anni fa
l’umanità dovette fare i conti con i
dissesti
provocati
dall’ultima
glaciazione.
Alla luce delle nuove scoperte
geologiche,
archeologiche
e
paleoastronomiche,
oggi
siamo
perfettamente in grado di demolire la
data del 3000 a.C. come punto di
partenza assoluto del nostro progresso
scientifico e culturale. Sostituendo
definitivamente l’idea ottocentesca di un
cammino lineare della civiltà con quella
moderna di ciclo (anche se in realtà si
tratta solo di una riscoperta di ciò che
gli antichi già sapevano per tradizione),
secondo cui le culture fioriscono e
muoiono in archi di tempo determinati
da catastrofi naturali periodiche, è
possibile fare maggiore chiarezza su
molti enigmi del passato. Il nostro
pianeta, del resto, come dimostrato
contro
ogni
ragionevole
dubbio
dall’improvvisa scomparsa dei dinosauri
e dall’enorme impatto da collisione
presente nello Yucatan, è soggetto come
tutti gli altri astri (vi sono pianeti aridi
come Marte che un tempo dovevano
essere ricoperti da oceani) a repentini e
devastanti mutamenti ambientali di
diversa origine.
Gli impatti meteoritici
Per avere un’idea precisa di cosa può
accadere
durante
una
collisione
meteoritica, possiamo guardare al nostro
passato e scoprire che la Terra è già
stata colpita decine di volte da
“proiettili”
spaziali
di
enormi
dimensioni, con effetti devastanti sulla
flora e la fauna del nostro pianeta.
Quello di Chicxulub, per esempio, è
un antico cratere da impatto rimasto
sepolto sotto la penisola dello Yucatan,
con
il
suo
epicentro
localizzato
approssimativamente sotto il paese di
Chicxulub, nel Messico. Le ricerche
suggeriscono che l’impatto in questione
risalga a circa sessantacinque milioni di
anni fa,1 determinando il passaggio tra il
periodo Cretaceo e il Paleogene. Il
diametro stimato del meteorite è di circa
dieci chilometri (paragonabile per
dimensioni a Deimos, satellite di
Marte), equivalente alla detonazione di
una potenza esplosiva pari a circa
5×1023
joule,
approssimativamente
100.000 gigatoni di TNT. 2 L’esplosione
al
suolo
provocò
uno
tsunami
gigantesco, che si sparse a cerchi
concentrici
in
tutte
le
direzioni,
colpendo in particolare l’isola caraibica
di Cuba. L’emissione di polvere e
particelle
provocò
cambiamenti
climatici simili all’inverno nucleare.
Probabilmente la superficie della Terra
rimase totalmente coperta da una nube di
polvere per molti anni. 3 Questo calcolo
dei tempi è in armonia con la teoria
postulata dal fisico Luis Alvarez e da
suo figlio Walter, geologo, per spiegare
l’estinzione dei dinosauri.
Il Messico peraltro non rappresenta
affatto un caso isolato e per dimostrarlo
al pubblico scientifico il ricercatore
croato Korado Korlevic (direttore
dell’Osservatorio
Astronomico
di
Visnjan in Croazia) non ha dovuto far
altro che ricorrere a dati storici
accessibili a tutti. Durante una sua
conferenza, infatti, è stata mostrata la
lunga sequenza di immagini riguardanti i
crateri terrestri da impatto, l’esistenza
dei quali però è misconosciuta alla
maggior parte dei “non addetti ai
lavori”. Le immagini oggi a disposizione
della comunità scientifica sono molto
eloquenti e vanno dal Meteor Crater
dell’Arizona agli immensi crateri del
Canada o dell’Africa del Sud (con
diametri
di
circa
300
km)
e
costituiscono ormai la prova definitiva
che il fenomeno è molto meno raro di
quanto si riteneva agli inizi del
Novecento. Inoltre l’8 maggio 2007
l’insigne astrofisico Margherita Hack ha
dichiarato addirittura che un asteroide
potrebbe colpire nuovamente la Terra
già nel prossimo 2036.4 Il nome di
battesimo che la comunità scientifica ha
attribuito al bolide in arrivo è Aphosis e
l’attualità della questione testimonia
quanto siano disinformate le persone che
sorridono di fronte a una revisione
dell’antico concetto di ciclicità delle
civiltà umane.
Fig. 1 – Una veduta del cratere scoperto in
Arizona, 1,186 km di diametro.
Fig. 2 – Cratere Sahariano di Kebira, 31 km di diametro.
Bisogna tenere conto anche del fatto che
la Terra è ricca di ghiacciai, oceani,
vegetazione e agenti atmosferici che
sono
in
grado
di
mimetizzare
perfettamente le “ferite” inferte al nostro
pianeta dalla caduta di corpi celesti. Se
invece osserviamo i crateri visibili su
altri pianeti (o su satelliti come la Luna)
privi delle nostre condizioni ambientali,
possiamo comprendere meglio quanto in
realtà siano frequenti tali fenomeni
(ovviamente in termini di tempo che
vanno dai milioni alle migliaia di anni).
A dare poi un assaggio visivo della
potenza
devastante
che
possono
sviluppare alcuni asteroidi ci ha pensato
la cometa Shoemaker-Levy 9 nel 1994, 5
quando il corpo celeste ha centrato il
pianeta Giove (che grazie alle sue
enormi dimensioni e alla sua forte
attrazione
gravitazionale
funge
da
spazzino celeste del nostro sistema
solare) come fosse un bersaglio. Se
infatti tale collisione fosse avvenuta
sulla Terra, avrebbe completamente
annientato l’intera umanità. Nessun astro
è immune da collisioni e persino la
nostra stella, il Sole, è periodicamente
bombardata da alcune comete (chiamate
sun-grazing)
riprese
in
più
di
un’occasione dai satelliti astronomici.
L’esistenza dei crateri da 300 km di
diametro individuati dai ricercatori sulla
crosta terrestre testimoniano l’effettivo
verificarsi di sconvolgimenti planetari
periodici.
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