Sciarada per il conte – Michelle Willingham

SINTESI DEL LIBRO:
Quando scegliete un pollo da
cucinare, assicuratevi che abbia
zampe gialle, cosce grosse e petto
carnoso. Innanzitutto, uccidete il
pollo tirandogli il collo...
Dal Libro di cucina di Emily
Barrow
Falkirk House, Inghilterra, 1850
Due mani fresche gli stavano
tamponando la fronte con una
pezzuola intrisa di qualcosa. Stephen
Chesterfield lottò contro il buio che
minacciava di trascinarlo di nuovo
con
sé,
nell’oscura
dell’incoscienza.
voragine
Acute fitte di
dolore gli trapassavano il cranio,
aveva la bocca secca, le labbra riarse
e il corpo indolenzito.
«Bevete» lo esortò una voce
femminile, accostandogli alle labbra
una tazza di tè caldo. Era amaro, ma
Stephen ne inghiottì un sorso.
«Avete avuto una grande fortuna,
sapete?»
Fortuna? Gli sembrava di avere la
testa spaccata in due e non
possedeva neppure la forza di aprire
gli occhi per vedere chi lo stesse
curando.
«Sono... fortunato?» riuscì a
sussurrare. Forse la donna si riferiva
al fatto che era ancora vivo.
«Che io non abbia messo
dell’arsenico in questo tè, o qualche
altro veleno» spiegò lei. «Altrimenti
sareste già morto.» Una poltiglia
calda, che profumava di erbe, gli
gocciolò sulla fronte.
«Come?» tornò a bisbigliare
Stephen, serrando le dita attorno alle
coperte e sforzandosi di aprire gli
occhi. Dove mi trovo?, si domandò,
cercando di capire dove si trovasse.
Chi era quella donna?
La
creatura
che
pareva
intenzionata a ucciderlo aveva un
viso d’angelo e capelli della tonalità
del miele raccolti in una crocchia da
cui sfuggivano ciocche disordinate
che le ombreggiavano gli occhi color
ambra, segnati dalla stanchezza.
Nonostante gli orribili vestiti a lutto,
appariva piuttosto leggiadra, anche
se le sue guance erano scavate.
Aveva un aspetto familiare,
considerò Stephen fra sé, tuttavia
non ricordava il suo nome. Doveva
essere una conoscenza dell’infanzia,
o comunque risalente a molto tempo
addietro.
«Non avete mantenuto la vostra
promessa. Se non fosse per voi, mio
fratello Daniel sarebbe ancora vivo»
soggiunse la donna con voce venata
di angoscia, e nei suoi occhi scintillò
una lacrima, ma tenne il capo eretto.
Lo riteneva responsabile della
morte di suo fratello?, si domandò
stupito. Doveva esserci un equivoco.
Stephen non la conosceva, non
sapeva chi fosse lei, men che meno
suo fratello.
«Chi
siete?»
le
domandò,
sollevando la pezzuola dalla fronte e
indirizzandole
un’occhiata
minacciosa.
Il volto di lei si fece pallido. «Vi
siete dimenticato di me?» ribatté in
tono di beffarda incredulità. «E io
che credevo che per oggi il peggio
fosse passato!»
Maledizione, era lui il ferito!,
pensò Stephen con insofferenza,
cercando invano di ricordare. Che
cosa gli era accaduto? «Non avete
ancora risposto alla mia domanda. Si
può sapere come vi chiamate?» la
interrogò di nuovo.
«Emily» rispose lei, chinandosi
verso di lui e scrutandolo con occhi
penetranti, come se si aspettasse che
dicesse qualcosa.
La nebbia si dissolse un poco,
permettendo a frammenti del
passato di venire a galla. Emily
Barrow, la figlia del Barone di
Hollingford! Erano quasi dieci anni
che non la vedeva. Stephen la fissò,
incapace di credere ai propri occhi.
Se il portamento rigido e l’aspetto
austero la qualificavano come donna
di riserbo e virtù, nella sua mente si
dipinse l’immagine di una monella
che gettava pietre contro la sua
carrozza e che si arrampicava sugli
alberi per spiarlo. E che lo aveva
baciato quando era un ragazzo
timido e impacciato.
«Che cosa fate qui?» le domandò,
lieto di poter ricordare qualcosa.
«Io vivo qui» rispose lei, poi
soggiunse con una smorfia: «Avete
forse dimenticato vostra moglie?».
Sua moglie? Di cosa stava
parlando? Lui non era sposato,
pensò Stephen, rimanendo per un
momento senza parole.
«State scherzando» asserì. Non era
un uomo impulsivo, programmava
ogni istante delle proprie giornate,
non avrebbe mai neppure preso in
considerazione l’idea di sposare una
donna che non vedeva da anni. A
meno che il matrimonio fosse stato
celebrato quando era del tutto
ubriaco, lei stava mentendo. Se
Emily Barrow intendeva abusare
della sua generosità, si sbagliava di
grosso.
«Non scherzerei mai su un simile
argomento, ve lo assicuro» replicò
lei, porgendogli la tazza del tè, ma
Stephen la rifiutò. Non aveva
intenzione di bere un’altra goccia
della bevanda che lei stava cercando
di propinargli. A un tratto la sua
vista si annebbiò e un forte ronzio
gli rimbombò nelle orecchie.
Chiuse gli occhi, aspettando che
lo stordimento cessasse, poi tornò a
guardarsi attorno. Pesanti tendaggi
azzurri pendevano dal baldacchino
del letto e scaffali colmi di libri
rivestivano un’intera parete della
stanza. Si trovava nella sua camera a
Falkirk House, una delle residenze di
campagna della famiglia, gli
sovvenne a un tratto. Ma come c’era
arrivato? «Da quanto tempo mi
trovo qui?»
«Da due giorni.»
«Cos’è accaduto, prima?»
«Siete partito per Londra una
settimana dopo le nostre nozze» lo
ragguagliò Emily, stringendosi nelle
spalle. «Non vi vedo dal mese di
febbraio. Perché non mi dite dove
siete stato?»
Stephen cercò di ricordare, ma la
sua memoria era vuota. Una parte di
lui, della sua vita, sembrava essere
svanita.
Era
mortificante.
Conservava ricordi dell’infanzia e
dell’adolescenza,
e
rammentava
anche di aver controllato i conti di
una delle proprietà, in gennaio, ma
poi... il vuoto.
«Che giorno è?» chiese, cercando
di stabilire a quando risaliva il suo
ultimo ricordo.
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