Scars – Frammenti di noi – Emma Altieri

SINTESI DEL LIBRO:
Stavo scorrendo le tele di Chloe: era una grande fisionomista. Non avevo
mai trovato una persona che riuscisse a esprimere le emozioni dei soggetti
che ritraeva, come faceva lei. Mi piaceva ammirare i piccoli dettagli delle sue
opere: disegnava anche solo mani, profili o sorrisi, eppure trasmetteva molto
più che utilizzando il soggetto intero. Era pazza, decisamente, soprattutto
quando metteva rosa, fucsia e viola nei quadri, perché dovevano "vibrare". La
prima volta che avevo messo piede in quella casa mi avevano colpito subito.
In effetti sembrava più una discoteca che la casa di un'artista, ma lei era
sempre stata così, fin da piccola. Magari era stato proprio questo fattore a far
sì che ci fossimo legate tanto e non ci fossimo perse di vista, nonostante le
strade diverse cui ci avevano portato, inevitabilmente, le nostre vite. Mi
sentivo ancora un pesce fuor d'acqua in quella città che non dormiva mai. A
Los Angeles i grandi supermercati erano aperti ventiquattro ore su
ventiquattro, mentre da dove provenivo io esistevano solo piccole realtà. Si
poteva uscire e incontrare la star di Hollywood che magari abitava nella casa
accanto. Sembrava la città dove tutto poteva succedere, l'ideale per un cambio
di vita, quello di cui io avevo proprio bisogno.
Sul vetro della finestra avevo notato il mio riflesso; era così strano non
vedere più la folta chioma di capelli scendermi sulle spalle. Fin da quando ero
bambina li avevo sempre portati così. Rob li amava tanto e forse era stato
proprio questo a farmi decidere di tagliarli. Non volevo avere più nulla che
mi legasse a lui, anche se mi aveva dato la cosa più importante della mia vita.
In quel momento riposava nel suo lettino, ignara della burrasca avvenuta
nella sua vita.
I ricordi facevano ancora male e quella maledetta sera scorreva spesso
davanti ai miei occhi.
Non ero sicura di poter arrivare in tempo per la finale dei "World
Series", ma quella partita per Robert era cruciale, così mi ero organizzata.
La sua squadra aveva vinto e io, elettrizzata, ero scesa di corsa negli
spogliatoi per abbracciare il mio uomo. Avevo visto uscire quasi tutti i suoi
compagni di squadra, ma di lui nemmeno l'ombra. Così mi ero azzardata a
entrare piano per paura che qualcuno si stesse ancora cambiando. Avevo
avvertito dei rumori provenire dalle docce e, quando mi ero avvicinata,
avevo riconosciuto la voce di Robert che parlava con una donna. Dallo
spiraglio avevo teso lo sguardo fino a quello che non avrei voluto mai
vedere. Robert stringeva a sé una mora prosperosa col seno rifatto e vestita
in modo discinto. Mi sembrava di averla già vista: doveva essere una di
quelle cantanti emergenti sempre alla ricerca di un flirt con uno famoso per
poter sfondare. Si baciavano e si sfioravano vicendevolmente. Era
impossibile fraintendere il loro atteggiamento. Da dove mi trovavo ero
riuscita a cogliere sprazzi di conversazione.
«Amore, sono stufa di restare nell’ombra.»
Quel tono miagolante mi stava facendo risalire la bile.
«Lo so, tesoro, ma l’attesa è quasi finita.»
Il mio sangue ormai sembrava non scorrere più nelle vene. Si era
congelato come tutto il resto.
«Mi avevi chiesto di aspettare un anno, non di più. Ora voglio amarti
alla luce del sole.»
Non ebbi nemmeno il tempo di rendermi conto della gravità di quello che
stava accadendo, quando le parole di Robert mi diedero il colpo di grazia.
«Sai bene che volevo lasciarla subito, ma poi mi ha detto di essere
incinta e uno scandalo del genere non avrebbe giovato alla mia carriera.
Così ho fatto quello che dovevo. Ora che finalmente il bambino è nato posso
mettere tutto a posto e noi saremo liberi.»
Non potevo sopportare oltre. Spalancai la porta palesando la mia
presenza, mentre loro si staccarono in un sussulto.
«Brutto figlio di puttana!»
Mi avventai contro di lui urlando e prendendolo a schiaffi, anche se il
mio metro e sessanta nulla avrebbe potuto contro la sua mole da
quarterback.
«É tuo figlio, non un pacco postale. Sei rimasto per pietà? Non avrebbe
giovato alla tua carriera? Che pezzo di merda senza sentimenti sei? Tutto
per scoparti questa troietta da quattro soldi! Cos’è stato? Il seno rifatto o le
labbra siliconate che ti hanno impedito di tenerlo nei pantaloni? Mi fai
schifo!»
Non gli lasciai il tempo di ribattere. Me ne andai da quello stadio e da
quella vita. Raccolsi in fretta tutte le mie cose e lasciai la casa che
condividevamo. Non volevo conservare alcun ricordo, solo ricominciare
altrove.
Quando mi presentai a casa dei miei genitori in piena notte, col trucco
colato, il bambino addormentato sul seggiolino e le valigie, non mi fecero
domande. Lessi sul viso di mio padre tutta la disapprovazione per Robert, la
stessa che aveva sempre malamente nascosto. Non lo aveva mai sopportato,
ma aveva fatto buon viso a cattivo gioco per amore mio. Aveva sempre
sperato che un figlio lo avrebbe fatto ragionare, ma Robert lo aveva sempre
fatto con la parte sbagliata del corpo.
Il trambusto vero e proprio scoppiò qualche giorno dopo, quando dissi ai
miei che avrei cercato una nuova casa, il più lontano possibile da quel
verme, e un nuovo impiego. Ovviamente erano preoccupati, visti i precedenti:
infatti, la mia scelta di abbandonare una carriera ben avviata come fotografa
professionista per colpa dell'uomo sbagliato era per loro ancora dolorosa.
Proprio durante la discussione, però, arrivò una telefonata di Chloe che,
dopo aver ascoltato quanto accaduto, mi aveva quasi imposto di andare da
lei.
«Il mare, il sole, la vita di qui ti faranno bene e poi voglio un po’
spupazzarmi il mio coccolino. É una vita che non lo vedo. Ti do due giorni
per organizzarti e poi ti voglio qui.»
Ecco perché mi trovavo a Los Angeles.
Un vagito mi riportò alla realtà; mi voltai verso il mio angelo che si stava
stiracchiando nel suo lettino ancora fra il sonno e la veglia. Scott aprì i suoi
immensi occhi grigio-verdi, purtroppo patrimonio di quel bastardo che aveva
contribuito al suo concepimento, e mi guardò attentamente. Tante volte
pensavo che capisse che qualcosa non andava.
«Buongiorno amore della mamma.Andiamo a fare la colazione?»
Per tutta risposta cercò di prendermi i capelli come faceva sempre, anche
se, da quando li avevo tagliati, gli avevo tolto gran parte del divertimento.
Sorrise ugualmente e poi si mise il pollice in bocca. Aveva fame: il segnale
era inequivocabile.
Cercai fra i pensili il bollitore per scaldare il biberon, ma i primi tentativi
andarono a vuoto. Avevo trovato solo salsa di soia, semi di lino e gallette di
kamut, tutte diavolerie che mangiava la mia stravagante coinquilina.
«Amore qui la vedo dura. Prima o poi mangeremo come canarini.»
In verità, Chloe aveva già provato più di una volta a propinargli zuppe di
cereali e altre delle sue ricette vegan, ma mio figlio le aveva usate solamente
per tappezzare le pareti della cucina. Quando finalmente riuscii a trovare del
latte, Scott succhiò così voracemente da addormentarsi poco dopo, sfinito. Ne
approfittai per prepararmi in tutta fretta. Meno male che c'era la signora
Adams, la nostra dirimpettaia, a cui poterlo lasciare, altrimenti sarei stata
persa. La sua espressione quando mi aprì la porta, tuttavia, mi fece subito
stare in ansia.
«Tutto bene Berenice?»
Lei mi rivolse un sorriso mesto che non arrivò agli occhi.
«Non molto cara. Mi hanno detto che Sam sta rientrando in patria, ma
non è messo molto bene...io...io...»
I singhiozzi non le permisero di proseguire. L’abbracciai, per quanto
potevo, reggendo sempre Scott. Anche lui mise una mano sulla guancia della
sua ormai adorata nonna acquisita come a volerla consolare. Berenice accolse
quella carezza baciandogli la mano e lasciando intravedere un sorriso colmo
di tenerezza. Per la prima volta da quando avevo cambiato pagina, avrei
voluto immortalare con la macchina fotografica quel momento. Le loro
espressioni erano quanto di più significativo potesse esserci nella
comunicazione non verbale fra due persone così diverse.
«Ha subito un intervento d'urgenza in Afghanistan, ma non hanno potuto
fare molto. Lo hanno solo messo in condizione di poter viaggiare e tornare
qui. Lo avrà in consegna il dottor Powell, l'inquilino del B4, hai presente?»
Feci un cenno di assenso con la testa ricordando quell'uomo simpatico
che tutte le volte che mi incontrava per le scale mi riempieva di complimenti
e di sorrisi seducenti. Peccato io avessi chiuso con gli uomini.
«Sam dovrebbe arrivare stasera. Credi di riuscire a rientrare dal turno
prima?»
«Certamente, al massimo per le due del pomeriggio sarò di nuovo qui.
Oggi ho il turno breve. Ancora grazie e, se avessi bisogno di qualsiasi cosa,
fammi sapere. Hai il mio numero.»
Mentre mi dirigevo al lavoro, pensai a quanto fosse ingiusta la vita.
Berenice viveva per suo figlio, aveva solo lui al mondo e questa guerra stava
cercando di portarglielo via. Il destino aveva proprio un cattivo senso
dell'umorismo.
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