Quella sporca donnina – Dodici seduttrici che hanno cambiato il mondo – Lia Celi

SINTESI DEL LIBRO:
L’Antico Testamento non è terreno per sessuofobi. Inizia con un
uomo e una donna tutti nudi che si intrattengono in un giardino con
un serpente, roba che neanche negli show di Cicciolina, e poi giù di
omicidi, stragi, incesti, stupri e molestie sessuali assortite. Se i
fanciulli sapessero che l’Antico Testamento, al netto delle pecore, è
un Game of Thrones molto più sanguinario, l’ora di religione
diventerebbe la più gettonata della settimana. Eppure i forum dei
teocon americani sono zeppi di credenti scandalizzati, convinti che la
storia delle figlie di Lot o le torride pomiciate descritte dal Cantico dei
cantici siano interpolazioni recenti di atei pornografi bramosi di
corrompere i ragazzini della scuola domenicale.
Ma lo smacco più cocente per i nuovi puritani si chiama Rahab. Il
suo nome deriva da rachav e in ebraico significa “larga”, non si sa se
in riferimento alle sue vedute o a dettagli anatomici più intimi, visto
che la stessa parola in lingua ugaritica indica i genitali femminili. Si
sa invece cosa significano l’appellativo zonah con cui viene indicata
nel libro di Giosuè (2, 1-23) e quello greco, porne, usato nelle Lettere
di
Paolo e Giacomo: prostituta. Non dev’essere facile per i
discendenti dei bigotti che cucivano lettere scarlatte sugli abiti delle
donne promiscue scoprire che sì, è stato Mosè a condurre gli ebrei
fuori dall’Egitto, ma che ad aprirgli le porte della Terra promessa è
stata Rahab la Larga, una che sui vestiti poteva cucirsi tutti gli
alfabeti del Medio Oriente.
Eppure nel racconto della presa di Gerico lei è l’unico personaggio
indicato per nome, a parte Giosuè. Segno che già gli antichi scrittori
le riconoscevano il ruolo di co-star nella vicenda, consapevoli che,
se non ci fosse stata lei, probabilmente gli ebrei sarebbero rimasti a
girare in tondo nel deserto finché, mezzo morti di fame e di sete, con
un’inversione a U se ne sarebbero tornati dal Faraone con tante
scuse, a lavorare come schiavi. La loro storia sarebbe finita lì e la
Bibbia sarebbe rimasta un libretto smilzo come le istruzioni del
frullatore. Senza ebraismo, non avremmo avuto nemmeno gli altri
due monoteismi abramitici, cioè cristianesimo e islam, e saremmo
ancora tutti pagani. Decidete voi se Rahab va ringraziata oppure no.
Noi ci limiteremo a raccontare la sua storia.
Mogli e buoi dei patriarchi tuoi
Se c’è un contesto in cui non possiamo aspettarci di trovare la parità
di genere, è l’Antico Testamento. Il patriarcato è stato brevettato lì,
dove la donna, per toccarla piano, è l’anello mancante fra l’uomo e il
capo di bestiame. Un anello molto sottile, tant’è vero che i nomi delle
due mogli di Giacobbe, Lia e Rachele, significano rispettivamente
“mucca” e “pecora”. Patriarcale sì, il contesto biblico, ma non
sessuofobico. L’esaltazione della castità come stato di grazia arriva
solo con il Nuovo Testamento, anzi, solo con san Paolo. È lui che,
imbevuto di cultura greca e influenzato dal neoplatonismo, svilisce
perfino il matrimonio legittimo e lo bolla come remedium
concupiscentiae: il male minore, rispetto a onanismo e
masturbazione. Per il Dio dei patriarchi invece il sesso (almeno
quello etero, genitale e monogamico) è cosa buona e giusta, anche
perché, fino allo strano caso di Maria di Nazaret, è l’unico modo
conosciuto per fare figli.
Un celebre passo del Levitico (18, 6-23) vieta severamente agli
israeliti incesto, rapporti fra consanguinei, omosessualità, zoofilia,
adulterio e sesso in periodo mestruale, ma sull’amore mercenario
chiude un occhio. È sempre peccato, ma veniale, purché si consumi
con donne straniere (ai figli di Israele, maschi e femmine, è proibito
prostituirsi, anche sotto forma di ierodulia, la prostituzione sacra
comunissima nelle religioni antiche). Il sesso a pagamento è
veramente pericoloso solo per il portafoglio, perché, ammonisce il
libro dei Proverbi, «chi si accompagna alle meretrici sciupa il
patrimonio».
I
patriarchi avevano comunque a disposizione stuoli di mogli,
concubine e prigioniere di guerra, e occasionalmente approfittavano
pure di figlie, sorelle e cognate: vendere sesso in Israele doveva
essere (per usare una similitudine ormai superata dal riscaldamento
globale) come vendere frigoriferi al Polo. Perché i maschi ebrei
avrebbero dovuto comprare dalle straniere ciò che avevano già in
abbondanza e gratis fra le mura domestiche e nelle proprie tende?
La risposta ce la dà lo stesso Antico Testamento. Che, per mettere in
guardia gli israeliti dalle prostitute, ne descrive nei dettagli le
attrattive: le loro labbra stillano miele, le loro parole sono più
carezzevoli dell’olio, sono sempre agghindate, profumate e
seducenti. La narrazione delle gesta erotiche delle sorelle Ohola e
Oholibah, che abbordano in topless maschioni egiziani dai membri
faraonici e dalle eiaculazioni pirotecniche, è un vero e proprio spot a
luci rosse firmato Ezechiele (23, 20-21). È un po’ come voler
scoraggiare il consumo di dolci mostrando il banco di una
pasticceria.
Sex appeal, seduzione, look maliardo: prerogative di cui le
matriarche purosangue erano presumibilmente sprovviste, specie
dopo i primi dieci-quindici figli. Ma bisogna precisare che le
lamentazioni bibliche contro la prostituzione non si riferiscono al
sesso mercenario vero e proprio. «Io ho visto le tue abominazioni, i
tuoi adulteri, la tua prostituzione sulle colline e per i campi. Guai a te,
Gerusalemme!» tuona il profeta Geremia (13, 27). La Meretrice
numero uno, quella contro cui i profeti si scagliano con più
veemenza, è Israele stesso, rappresentato come una cortigiana
frivola e venale, una moglie infedele che tradisce lo sposo, il Signore
Dio unico, con gli dei falsi e bugiardi.
Sarà per questo che contro le sex worker in carne e ossa l’Antico
Testamento non è mai troppo severo. Il profeta Osea ne sposa
addirittura una, per ordine del Signore in persona. Quando questa
cede al richiamo della strada e torna al mestiere, lui si dispera ma
continua ad amarla, la riscatta di tasca sua e si riconcilia con lei. Il
saggio re Salomone emette il suo famoso giudizio per dirimere la
contesa fra due prostitute, senza scacciarle né umiliarle. Jefte,
scacciato dai fratellastri perché figlio di una meretrice, in seguito
viene riabilitato e nominato comandante dell’esercito. Pure Giuditta
conquista gloria imperitura improvvisandosi entraîneuse per
annientare il crudele re Oloferne. E che dire di Tamar? Vedova di Er,
figlio del capotribù Giuda, viene data in moglie al riluttante cognato
Onan – un nome, un dramma. Per riuscire a concepire una
discendenza per la stirpe di Giuda, la scaltra Tamar si traveste da
lucciola e abborda per strada il suocero, che non la riconosce e in
cambio della prestazione le lascia in pegno alcuni effetti personali.
La vedovella si ritrova incinta, e rischia di essere messa al rogo dalla
tribù come adultera, ma sul più bello esibisce i souvenir del vecchio
Giuda. Il patriarca riconosce che il fine giustifica i mezzi e la dichiara
«donna giusta». (Col tempo gli ebrei diventeranno molto più
bacchettoni dei loro antenati. Tanto che Rabbi Hiya bar Ashi,
protagonista di un racconto talmudico, è così divorato dai rimorsi per
aver ceduto a una prostituta, che non si dà pace nemmeno quando
scopre la verità: la maliarda era sua moglie, che si era travestita con
il virtuoso scopo di rinfocolare gli ardori coniugali. Ma l’integerrimo
Rabbi Hiya sa di aver peccato nel suo cuore, e per espiare si getta
vivo nella stufa.)
Si (com)batte a Gerico
Torniamo alla nostra Rahab. In un anno imprecisato del XV secolo
avanti Cristo, la Larga esercita il mestiere più antico del mondo in
una delle città più antiche del mondo: Gerico, nell’attuale
Cisgiordania, all’epoca capitale dei Cananei. Costoro, discendenti di
Cam, il figlio maledetto di Noè (aveva molestato sessualmente suo
padre nudo e ubriaco), adorano Baal e Astarte, e nel tempo libero si
dedicano a tutte le pratiche abominevoli indicate nel famoso passo
del Levitico. E per farlo in totale privacy, si sono circondati di una
formidabile doppia cinta muraria, forse la prima dell’antichità. Proprio
a ridosso delle mura sta la casa di Rahab. La Larga non è
esattamente la regina del demi-monde gerichese, e nemmeno una
mistica ierodula del tempio di Astarte che fa del proprio corpo l’altare
di sofisticate liturgie sessuali. È una popolana single che abita ai
margini della città. Non ha né marito né protettore e mantiene se
stessa, i genitori e i fratelli offrendo il suo letto ai poveracci e il suo
tetto ai viaggiatori di serie C, quelli cui tutti chiudono le porte in
faccia. (Chissà se c’era una Rahab anche a Betlemme il famoso 24
dicembre dell’anno 0, disposta ad ospitare Giuseppe e Maria. Forse
lui
ci
avrebbe fatto un pensierino, ma Maria avrebbe messo
sicuramente il veto.)
La sagace Rahab si è accorta che in città si è diffusa una certa
depressione. (Va detto che Gerico è a duecentoquaranta metri sotto
il
livello del mare, praticamente complanare ad Atlantide, e
tecnicamente il morale è sottoterra anche quando è alto.) Gira voce
che dall’Egitto sia in arrivo una massiccia ondata di profughi. Pare
siano protetti da Jahvè, un dio così potente che ha aperto per loro le
acque del mar Rosso, per poi richiuderle sui soldati egiziani che li
inseguivano. Sono armati e pericolosi, dove passano seminano
morte e si impadroniscono delle città e del bestiame dei vinti. Il
peggio è che il loro Jahvè gli ha promesso la terra di Canaan, e – oh
oh – la città chiave per occuparla è proprio Gerico. Una città protetta
da quel po’ po’ di mura, il più avanzato sistema di difesa dell’epoca,
non dovrebbe preoccuparsi troppo. Ma questi Israeliti, che sono già
arrivati al di là del Giordano guidati dal loro condottiero Giosuè,
sembrano molto motivati. Troppo. Non sono i soliti migranti che
cercano una vita migliore e fanno i lavori che gli indigeni non
vogliono più fare. Lo erano qualche generazione prima, ai tempi
della migrazione in Egitto. Lì erano schiavi, ora vogliono essere
padroni.
I
gerichesi sono sulle spine. Non Rahab, che continua a fare
marchette nella sua casetta sulle mura. Più degli stranieri accampati
al di là del Giordano le interessano quelli che varcano la sua soglia e
le permettono di sfamare la sua famiglia. E così, quando le si
presentano due forestieri dall’aria circospetta, lei dà loro quel che dà
a tutti gli altri. Ma in città l’aria è tesa e ogni faccia nuova viene
attenzionata. Qualche vicino o un avventore dall’occhio lungo
riconosce i due per quello che sono: spie venute a esplorare la città
in vista di un attacco. E fa quel che farebbe qualunque bravo
cittadino: ne informa le autorità competenti.
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