Puncher – Connie Furnari

SINTESI DEL LIBRO:
«Ciao, bella figa. Esci da lì e facciamo un giro di mambo orizzontale.»
Sospirai, non appena udii questa voce. Alzai il capo seccata e pulii con il
panno l’imbuto, dopo aver cambiato l’olio alla Jeep che avevo sottomano.
«Dave, sei davvero uno stronzo» bofonchiai, acida. Per fortuna non c’erano
clienti, dentro l’officina. «Modera il linguaggio e sparisci. Sto lavorando.»
Tolsi i guanti e il cappellino con visiera. I miei capelli erano un disastro: li
avevo legati in una coda di cavallo, per evitare che alcune ciocche mi dessero
fastidio mentre mettevo a punto quella macchina. Al cliente che me l’aveva
data in consegna serviva il giorno dopo e dovevo sbrigarmi.
Dave si avvicinò, languido, e dalla sua espressione compresi cosa voleva.
«So che tuo padre è in ospedale per dei controlli. Non potevo lasciarti sola
soletta, in un posto così squallido e sporco.»
«Ehi, sta’ attento a come parli!» Lo puntai con una chiave inglese.
Mi faceva davvero incazzare che parlasse così. Lavoravo nell’officina di
mio padre da quando avevo sedici anni. Mi aveva spiegato tutto sui motori. Il
nostro appartamento era al piano superiore, e dava su un cortile che noi
avevamo sistemato come giardino.
Purtroppo, a causa dei suoi problemi di cuore avevamo avuto parecchie
grane, così a ventitré anni suonati, ero stata costretta a lasciare il college e
rinunciare momentaneamente alla laurea. Non avrei mai potuto permettere
che mio padre chiudesse la sua attività solo perché non aveva avuto figli
maschi, dopo che mia madre ci aveva mollati per uno appena conosciuto.
Quando le mani di Dave mi agguantarono il sedere, mi ritrassi. Possibile
che avesse per la testa solo una cosa? Provai a divincolarmi. «Ti ho detto che
sto lavorando. Ho due macchine da sistemare per domani pomeriggio!»
Mi voltai verso il carrello d’acciaio pieno di bulloni e dadi, per prendere
l’ingrassatore pneumatico che avevo collegato al compressore.
Si mise dietro di me e provò a baciarmi il collo, avvinghiandosi come un
polipo. «Te l’ho già detto. Secondo me dovresti trovarti un altro lavoro. È
strano entrare in un’officina meccanica e trovarci dentro una bella ragazza.»
Si morse il labbro. «Anche se… devo dire che vestita così sei molto sexy,
piccola.»
Stavolta mi agguantò i seni, con forza.
Con uno scatto mi allontanai, sbattendo contro il carrello sopra cui tenevo
gli attrezzi. Era veramente un coglione. Dovevo liberarmi di lui. Stavamo
assieme dall’estate oramai; lo avevo sopportato per mesi, ma negli ultimi
tempi era diventato sempre più fastidioso e noioso.
«Parli bene tu» mormorai, con una punta di invidia. «Hai il paparino che ti
paga il college. Io devo sudarmi tutto.»
Ci eravamo conosciuti alla Syracuse University. In poco tempo mi ero
messa con lui, perché all’inizio non si era mai mostrato così stronzo. Da
quando avevo lasciato gli studi, me lo ritrovavo in officina quasi ogni
pomeriggio a rompermi le palle. Aveva tempo da perdere, beato lui.
«È che mi danno fastidio tutti gli uomini che entrano qui dentro. So che ci
provano di continuo con te, April.»
Era vero. Molti ci provavano con me. Quando capivano che non c’era
trippa per gatti cambiavano meccanico. Avevo perso parecchi clienti in quel
modo, ma piuttosto che farmi scopare da un vecchio bavoso avrei chiesto
l’elemosina per strada.
Tantissimi se ne andavano, dopo avermi intravista, china sui cofani aperti
delle automobili. Non credevano che una donna potesse essere un bravo
meccanico. Io e mio padre tenevamo cari i clienti che erano rimasti, i quali ci
consigliavano agli amici.
Dovevo sempre fare un lavoro perfetto. Se fossi stata un uomo, mi
avrebbero perdonato, ma visto che ero una donna… per ogni piccolezza che
avessi tralasciato, avrei corso il rischio di perdere quel cliente. Era tutto molto
frustrante e stancante. E adesso Dave si permetteva di dare consigli non
richiesti, l’imbecille.
Lui che alla Syracuse pagava alcuni tizi anche duecento dollari, per
passargli tesine già pronte.
Abbassai la saracinesca, fino al pavimento. L’officina rimase illuminata
solo dalla debole luce che penetrava dalle finestrelle alte.
Mi poggiai sul cofano della Jeep e sganciai le bretelle della salopette blu,
che portava il nostro logo sul petto. «Vieni, diamoci da fare» sussurrai.
«Cazzo, se non mi do da fare» lui si leccò le labbra.
Si avventò su di me. In un attimo mi sfilò la salopette e rimasi solo con la
maglietta bianca a maniche corte. La tolsi dal collo.
Il mio viso e le mie braccia erano ancora sporchi di grasso, ma a Dave non
sembrava importare, anzi, lo eccitava ancora di più vedermi in quelle
condizioni.
Mi baciò, infilandomi la lingua in bocca. Risposi al suo bacio. L’unica cosa
positiva era che scopava come un riccio e i nostri rapporti duravano al
massimo tre minuti scarsi.
Si spinse contro di me, dopo essere rimasta in biancheria intima. Mi
strappò gli slip e li lasciò cadere a terra, accanto al bidone dell’olio e al cric
che avevo usato poco prima, per cambiare gli pneumatici.
La sua mano scese sul mio seno, torturando uno dei capezzoli. «Adoro le
tue tette» gemette, sempre più arrapato.
Percepii le sue dita scivolare giù per il mio stomaco, e poi fermarsi. «Apri
le cosce» mi sussurrò all’orecchio.
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