Piccola Fabbrica degli Orrori – Guido Pacitto

SINTESI DEL LIBRO:
In quel periodo dell’anno la nebbia la copriva per buona parte del
giorno. Era soltanto nelle ore centrali, quelle più calde, che appariva
in tutto il suo cupo stato di abbandono.
Grigio. Era quello il colore della Fabbrica, che riusciva a spiccare
sul verde delle colline intorno.
«Sai che io c’ho lavorato?»
«Dove?»
«Alla Fabbrica.»
Ettore si fermò e guardò negli occhi Lucia. Begli occhi Lucia,
grandi, profondi, scuri. «Ma dai.»
«Dico sul serio. Nell’ultimo periodo.»
«Nessuno mi ha mai saputo dire nulla su quel posto. Credevo
fosse chiusa da decenni.»
«Mi stai facendo un complimento?»
«Scusa?»
«Lascia stare.»
«Ah, sì, certo... scusami! Sì, secondo me sei troppo giovane per
aver potuto lavorare in una fabbrica abbandonata da decenni.»
«Esattamente sedici anni fa.»
«Ha chiuso sedici anni fa?»
Lucia fece cenno di sì con la testa, sorridendo. Le piaceva un
sacco quella ragazza conosciuta un paio di giorni prima al pub.
«Ho trentatre anni. Che galante a non avermi chiesto l’età finora.»
«Pensavo molti di meno. Davvero.»
«Basta con le smancerie, non sono il tipo.»
«Nemmeno io.» Il ragazzo si esibì in un sorriso imbarazzato. «Che
tipo di fabbrica era?»
«Da quanto tempo ti sei trasferito in città?»
«Un annetto.»
«E nessuno ti ha mai parlato della Fabbrica?»
«Beh, diciamo che informarmi sulla fabbrica abbandonata della
nuova città non è stato tra i miei principali interessi. Finora.»
Lucia riprese a camminare.
«Davvero ci hai lavorato? Sbaglio o avresti dovuto avere...»
«Diciassette anni, quasi diciotto. Ci ho lavorato per quasi cinque
anni.»
Ettore scoppiò a ridere. «Wow... piccola lavoratrice!»
«Dico sul serio. Ho iniziato a lavorare in quella Fabbrica quando
avevo quasi tredici anni.»
«Lavoro minorile?»
«Sì. Decisamente. Diciamo che essere adulto era uno svantaggio
per chi presentava curriculum per essere assunto alla Fabbrica.»
Ettore rise ancora. «Non credo esistano fabbriche che assumono
solo minorenni.»
«Non solo. Ma era preferibile.»
Che bel sorriso che aveva Lucia. A Ettore in quel momento non
gliene fregava niente se gli stesse raccontando cazzate, se lo stesse
prendendo per il culo. A Ettore in quel momento importava soltanto
poter stare con lei.
«Non mi credi, vero?»
«Oh sì, certo.»
«Non era una Fabbrica normale.»
«Ah sì? E che tipo di fabbrica era?»
«Orrori.»
«Orrori?», ripeté col punto interrogativo un divertito Ettore. Si
erano fermati di nuovo. La strada che stavano percorrendo
costeggiava la pista ciclabile. Su, tra le colline a qualche chilometro
di distanza dalla città, la Fabbrica grigia sembrava dominare il
paesaggio, nonostante la sua piccola figura nei confronti della
maestosa natura intorno.
«Sì. Mai sentito parlare della Fabbrica degli Orrori?»
«Intendi rifiuti chimici? Tossici? Roba del genere.»
«Oh no!», rispose Lucia scoppiando a ridere.
«Sei bellissima quando ridi.»
Lei tornò seria, ma la sua espressione era felice, lusingata. «Vuoi
che te la faccia vedere?»
La faccia sorpresa di lui la fece arrossire. “Vuoi che te la faccia
vedere”?! Come diavolo le era uscita una domanda del genere
dopo... un complimento! «La Fabbrica.»
«Oh, sì. Certo.»
Dopo la figura di merda Lucia cercò di recuperare facendo finta di
niente. Ma quello sguardo... e poi sicuramente era diventata rossa.
Se lo sentiva.
«Ma se è chiusa, come faremo a...»
«Non è chiusa. O meglio, non chiusa materialmente.»
Conversazione veloce, senza soste, senza pause. Così la figura di
merda sarebbe sparita in poche battute. «Non è quello il problema.»
«E quale?»
Lucia stavolta non rispose subito. Ecco, una bella pausa adesso,
suspense, e quel “Vuoi che te la faccia vedere?” sarebbe finalmente
stato cancellato dalla curiosità per la risposta che Ettore si
aspettava.
«Allora? Qual è il problema?»
«Ti ho già detto che tipo di Fabbrica era, no?»
«Orrori», rispose Ettore divertito.
«E saresti pronto?»
«Oh, certo. Una Fabbrica degli Orrori potrebbe spaventarmi, ma è
chiusa, giusto?»
«Gli Orrori restano.»
Ettore sorrise, sempre più divertito. «Dai, che tipo di fabbrica
era?»
«Non mi credi proprio, eh?»
«Beh...»
«Beh, cosa? Chiedi in giro. Vedrai, nessuno te ne vorrà parlare,
nemmeno chi ci ha lavorato. Sopravvivendogli.»
«Tu dici di averci lavorato, e me ne stai parlando.»
«Perché io non ho mai avuto paura di ciò che fabbricavamo. Al
contrario di tutti gli altri.»
«Sei speciale.»
«Riguardo la Fabbrica, credo di sì.»
«Riguardo tutto.»
Lucia si esibì in un bellissimo sorriso imbarazzato. Non sembrava
certo il tipo di ragazza che non aveva paura di nulla. Era troppo
dolce. E quelle belle guance rosse e morbide... gliele avrebbe
morse, baciate tutte.
«Riguardo la Fabbrica, se vuoi possiamo veramente andare a
dargli uno sguardo.»
Un bel giretto in una fabbrica abbandonata. Lui, con lei. I
preservativi c’erano. «Sì, certo che lo voglio!»
«Ma mi devi fare una promessa.»
«Tutto ciò che vuoi.»
«Devi starmi a sentire. Non devi fare nulla di testa tua, nulla. Se ti
dico non aprire quella porta, tu non devi aprirla. Se ti chiedo di
tenere gli occhi chiusi, tu li devi tenere chiusi, ok?»
«Meraviglioso!»
«Non sto scherzando.»
«Figurati. Ti prometto che non farò nulla di testa mia. E ti starò a
sentire. Anzi, te lo giuro.»
Lucia restò per qualche secondo in silenzio. «Ok, allora seguimi»,
esclamò infine.
Ed Ettore la seguì.
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