Per grazia ricevuta – Valeria Parrella

SINTESI DEL LIBRO:
A Tonino, per il braccialetto.
Ogni volta che attraverso questa strada scelgo sempre lo stesso punto: ci
arrivo un po' in diagonale dallo spartitraffico, o dritta dritta sulle strisce
pedonali come se le macchine si fossero fermate per farmi passare. O
scendendo dal tram, senza ombrello, corro a ripararmi sotto la tettoia della
farmacia. Ma sempre passo via Marina in questo punto, non lo faccio
apposta, cioè: lo faccio apposta senza volerlo. E allora lo immagino. Lo
immagino così forte che posso vederlo: era Mario, e veniva lungo il
marciapiede. Non attraversava: faceva già abbastanza caldo perché il corpo
scegliesse da solo i passi all'ombra. Camminava veloce scorrendo sulla
sinistra le finestre dell'ospedale Loreto, sulla destra la strada che avanzava
contro il mare. Il mare contro la caserma, contro il collocamento, contro le
gru del porto. Andava spedito come quel signore che aveva fatto il
bancomat pochi istanti prima, proprio mentre lui superava, veloce, la banca,
Divani & Divani, Chateau d'Ax. Il signore del bancomat era giusto un passo
dietro di lui e aveva l'espressione del prelievo in una città di cui non ti fidi.
Mario non aveva nessuna espressione, nessuna. Camminava veloce,
scansava le radici degli alberi che avevano gonfiato il marciapiede, sempre
sulla destra le scansava, lato strada. Quello del bancomat scansava sulla
sinistra, lato ospedale, come se tenersi più dentro potesse evitargli lo scippo,
come se il motorino che temeva si fosse fatto scrupoli a salire lo scalino.
L'ombra conta su pochi alberi. Quelli esplodevano sotto l'asfalto mentre
Mario li sfilava: l'ultimo era immenso, lasciava uno spazio stretto tra il
tronco e il muro. Mario ci passò in mezzo, toccò la corteccia, poi gli alberi
finirono. Allora fece tre passi nel caldo, davanti a sé guardava questa tettoia
della farmacia dove avrebbe ritrovato l'ombra. Aveva sceso lo scalino in un
punto tranquillo: al posto dell'entrata del pronto soccorso c'era un cantiere,
le macchine non passavano di là, neppure c'era bisogno di guardare a destra
e sinistra per attraversare la strada. Tre passi di Mario sono poco più di un
secondo. Il signore del bancomat sentì il rumore di un motore troppo vicino,
lo spostamento d'aria, avvertì un braccio teso mentre si voltava. Mentre si
bloccava atterrito stringendosi la tasca del pantalone, la moto lo superò, e
l'uomo che sedeva dietro, l'unico col casco, piantò una lama di quindici
centimetri tra le scapole di Mario. Poi, come se l'avesse abbracciato per
accompagnarlo al bar, gli cercò addosso dovunque, gli tirò fuori qualcosa
dalla tasca, risalì in sella e si fece portare con la massima calma verso
Sant'Erasmo.
Il coltello è un'arma strana. Luisa mi ha giurato che non fa male, che
quando entra nella carne manco te ne accorgi, e mentre me lo diceva si
passava una mano sulla coscia destra, per tutta la lunghezza della coscia si
contavano ventisette punti e un filo di carne bianca. Ma appunto, il coltello
è un'arma da gamba, non da spalle. E per offendere, non per uccidere. Si
può morire di coltello solo per errore, perché salta la vena sbagliata in una
rissa. Allo stadio, o fuori Mergellina a capodanno, quando la dose di
cocaina costa dieci euro e pure gli uomini di niente se ne possono fare una.
Per essere ucciso alle spalle Mario si sarebbe aspettato una pistola.
Quando lo immagino mi si fanno i muscoli della schiena rigidi, e poi il
collo mi fa male per mezza giornata.
All'entrata del pronto soccorso c'era un cantiere: stavano aggiustando le
rampe di accesso. Fecero partire un'ambulanza dalla traversa, anche se
avrebbero potuto portare Mario a braccia fino a dentro. Il signore del
bancomat si sedette a terra, non vicino a Mario: giusto quel passo che gli
era rimasto dietro, giusto un metro prima, sul gradino del marciapiede.
Rimase poggiato all'albero così finché vide che i portantini lo caricavano
sull'ambulanza; poi a piedi, da un varco laterale, lo raggiunse al pronto
soccorso.
Fu lui la prima persona che vidi, quando arrivai: stava seduto su una panca,
con la schiena e la testa appoggiate al muro.
"Non posso farlo entrare, è troppo piccolo".
"Non dite sciocchezze, dottò", feci all'infermiere scartandolo di lato. "Io
dove lo lascio?" "Qua possono entrare solo bambini dai dodici anni in su".
"Ho capito, e io mo' che devo aspettare, che fa dodici anni?" Quel sorriso
era l'ultima possibilità che gli concedevo, poi avrei buttato per aria la
barella di sinistra, quella vicino al muro.
Il signore del bancomat si alzò dalla panca.
"Appartenete a quello che è stato accoltellato?" "Sì".
"Ve lo tengo io il bambino, andate, andate".
Tonino stava già tutto sudato.
"Non lo fate sfrenare".
Poi guardai l'infermiere.
"Voi controllatemi questo signore qua, vedete? Sta sotto la responsabilità
vostra".
In rianimazione c'è poco da fare, ti fanno entrare solo per dimostrarti che
respira, che non ti hanno preso in giro quando ti hanno detto che era vivo
ancora. Ma Mario, con quel corpo lì, già non c'entrava più niente.
Uscendo sapevo questo: Mario era vivo, la prognosi riservata.
Tonino si era allungato sulla panca e si era addormentato con la testa sulle
gambe del signore.
"Voi siete la moglie?" Gli dissi sì per istinto, intanto piano piano mi girai la
pietra dell'anello verso il palmo della mano.
"Signora, se volete vi porto a casa, ho la macchina davanti alla farmacia".
"Sì, però io sto di casa a Ponticelli".
Al signore del bancomat i medici avevano dato le prime notizie, gli avevano
consegnato il contenuto delle tasche di Mario, poi se l'erano ripreso. I
poliziotti gli avevano chiesto di non allontanarsi, i documenti, una
deposizione, di andare il giorno dopo al comando di via Cosenza. Il signore
del bancomat si era seduto sulla panca, si era dimenticato di essere un
fumatore, mi aveva visto arrivare dal fondo del corridoio come una cassiera
aspetta la collega per passarle il turno. Poi, mentre Tonino dormiva sulle sue
gambe, si era calmato, aveva regolato il suo respiro su quello del bimbo
finché era tornato normale.
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