Per sempre tua – Sherry Thomas

SINTESI DEL LIBRO:
Valle di Rumbur, Distretto di
Chitral, Frontiera di Nord
Ovest dell’India, estate 1897
Alla
luce
brillante
del
sole
pomeridiano, la striscia bianca
appariva come un solco desolato nel
nero rigoglioso dei suoi capelli.
Partiva dall’attaccatura sulla fronte,
appena a destra della scriminatura
centrale, e proseguiva dritta verso la
nuca per poi avvolgersi nello
chignon in un singolare – e
inquietante – arabesco.
Rivedendola, lui provò una strana
sensazione. Non compassione: non
avrebbe più provato compassione
per lei, non più di quanta ne avrebbe
avuta
per
il
solitario
lupo
himalayano. E nemmeno affetto; lei
vi aveva messo fine con la frigidità
del suo corpo e del suo cuore. L’eco
di qualcosa allora, ricordi di antiche
speranze che risalivano ai giorni
dell’innocenza.
Bryony indossava una camicetta
bianca e una gonna blu scuro, e se
ne stava seduta tra due canne da
pesca sistemate a tre metri di
distanza l’una dall’altra, con un
secchio accanto, un rametto in una
mano a tracciare disegni nell’acqua
verde chiaro che scorreva veloce.
Dall’altro lato del fiume, i campi
della piccola pianura alluvionale
splendevano di un colore dorato
corposo e intenso: il grano invernale
era pronto per la raccolta. Piccole
case rettangolari, fatte di legno e
pietre squadrate, si susseguivano
lungo il ripido pendio, simili a
costruzioni per bambini segnate
dalla pioggia e dal vento. Alle spalle
del villaggio, il terreno saliva
repentinamente: una breve fascia di
noci e albicocchi si stagliava contro
gli scheletri delle montagne, austere
cime rocciose che ospitavano solo
qualche macchia verde e qualche
intrepido cedro dell’Himalaya.
— Bryony — la chiamò lui. La
testa gli doleva, ma doveva parlarle.
Lei si bloccò. Il ramo finì nel
fiume, si impigliò in una roccia e poi
riprese a scivolare libero nell’acqua.
Col viso ancora rivolto verso il
fiume, Bryony si cinse le ginocchia
con le braccia. — Signor Marsden,
che sorpresa. Cosa vi porta da questa
parte del mondo?
— Tuo padre è malato. Tua
sorella
ha
inviato
diversi
cablogrammi a Leh, e non ricevendo
risposta da parte tua, mi ha chiesto
di cercarti.
— Cos’ha che non va mio padre?
— Non lo so esattamente.
Callista ha detto solo che i dottori
non sono ottimisti e che lui desidera
vederti.
Finalmente, lei si alzò e si girò.
A prima vista, il suo viso dava
un’impressione di grande tranquillità
e dolcezza. Ma poi si notava lo
scoramento in fondo agli occhi
verdi, come se fosse una suora sul
punto di perdere la fede. Quando
parlava, tuttavia, ogni illusione di
mite malinconia svaniva, perché
possedeva la voce più scostante che
Leo avesse mai udito, non aspra ma
aspramente fiera, e poco interessata
a tutto quanto non avesse a che fare
con carni malate.
Però adesso, silenziosa com’era,
gli fece venire in mente un angelo di
pietra di un cimitero che guardava
dall’alto il defunto con dolce,
immutabile compassione.
— E tu credi a Callista? —
domandò
lei,
quell’impressione.
— Non dovrei?
distruggendo
— No, a meno che non stessi per
morire nell’autunno del 1895.
— Come, prego?
— È stata lei a dirlo. Sosteneva
che eri da qualche parte nelle vastità
dell’America, in punto di morte, e
che
desideravi
disperatamente
rivedermi un’ultima volta.
— Capisco — disse lui. — È
diventata un’abitudine per lei?
— Sei fidanzato e in procinto di
sposarti?
— No. — Anche se avrebbe
dovuto.
Conosceva
parecchie
giovani donne belle e devote,
ognuna delle quali sarebbe stata una
sposa perfetta per lui.
— Secondo lei sì. E ha aggiunto
che a un mio ordine saresti stato
felice di piantare in asso la poverina.
— Bryony aveva pronunciato quelle
ultime parole senza guardarlo, gli
occhi fissi sul terreno. — Mi
dispiace che ti abbia trascinato nelle
sue macchinazioni. E ti sono molto
grata per essere venuto fin qui…
— Ma preferiresti che girassi i
tacchi e me ne tornassi da dove sono
venuto?
Silenzio. — No, certo che no. Hai
bisogno di riposare e rifocillarti.
— E se non avessi bisogno di
riposare e rifocillarmi?
Lei gli diede le spalle, senza
rispondere. Si chinò, sollevò una
canna da pesca e cominciò a tirare
su qualcosa che stava lottando per
scappare.
Settimane e settimane trascorse
attraversando a piedi una delle terre
più inospitali del pianeta, a dormire
sul suolo freddo e duro, a mangiare
quello che riusciva a cacciare e di
tanto in tanto qualche bacca
selvatica, per non avere appresso
una schiera di coolies, i servitori
indiani, che trasportavano le tipiche
necessità considerate indispensabili
per il viaggio di un sahib, un
padrone europeo… e quella era la
risposta.
Be’, non ci si poteva aspettare
niente di diverso da lei.
— Perfino il ragazzo che gridava
al lupo disse la verità una volta —
commentò Leo. — Tuo padre ha
sessantatré anni. È così improbabile
che un uomo della sua età stia male?
Con un abile movimento del
polso, Bryony staccò il pesce
dall’amo e lo lasciò cadere nel
secchio.
— Per arrivare in
Inghilterra occorrono sei settimane
di viaggio, e c’è solo una remota
possibilità che Callista stia dicendo
il vero.
— E se così fosse, ti pentiresti di
non esserci andata.
— Non ne sono tanto sicura.
Un tempo, il suo atteggiamento
insolito verso la maggior parte del
Creato lo aveva affascinato. La
vedeva complessa e straordinaria.
Ma era solo fredda e insensibile.
— Non ci vogliono sei settimane
di viaggio — disse lui. — Ne
bastano quattro.
Lei
tornò
a
guardarlo,
l’espressione impassibile. — No,
grazie.
Leo aveva percorso seicento
chilometri da Gilgit, dove stava
tranquillamente badando agli affari,
a Leh, e poi altrettanti per tornare a
Gilgit, quindi altri trecentocinquanta
chilometri da Gilgit a Chitral. Per la
maggior parte del viaggio, si era
imposto un ritmo serratissimo di
marcia. Aveva perso quasi sei chili
di peso. E non si sentiva così stanco
da
quando
Groenlandia.
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