Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto – Leonardo Giovanni Luccone

SINTESI DEL LIBRO:

 Folgorazione da virgola
Ve lo dico subito: c’è un verso che mi ha folgorato quando avevo
tredici anni:
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia.
Sì, parliamo di Dante, quinto canto dell’Inferno, quello di Paolo e
Francesca.
La versione che avevo io si presentava proprio come la vedete.
Credo sia il verso più bello di tutti i tempi.
Sentite come suona statuario, con quell’avverbio fantastico. Come
si sta orribilmente? E poi quella virgola seguita dalla congiunzione
e dal verbo.
Minos sta lì in tutto il suo orrore e, tanto per mettere le cose in
chiaro, ringhia.
Nella versione del mio compagno di banco Gianluca c’era scritto:
Stavvi Minòs, orribilmente, e ringhia.
È sempre un bellissimo verso, ma – lo capivo già allora – non è la
stessa cosa. Per me è importante che quell’«orribilmente» si
incateni per bene a «stavvi», e non che lo segua ingabbiato tra due
virgole.
Ma nella testa di Dante come suonava?
Come forse sapete, quelle che leggiamo non sono le virgole di
Dante: purtroppo non abbiamo autografi. E quindi chi cavolo ce le
ha messe quelle virgole (e tutti gli altri segni che troviamo nella
Commedia)? perché abbiamo due versioni del mio verso preferito?
È chiaro a tutti che il senso cambia, e nemmeno di poco?
Insomma, con un semplice segnetto in più si rischia di rovinare
tutto.
Se vi fa impressione che non sapremo mai come Dante abbia
punteggiato la sua Commedia, come ci rimanete se vi dico che gli
antichi Romani non usavano la punteggiatura? Guardate
l’iscrizione della Colonna traiana, che, tra l’altro, segna l’inizio
della tipografia come la conosciamo oggi.

Avete di fronte agli occhi una scritta bellissima – che entra nel
marmo; sentite ancora il frusciare del pennello grondante pece che
scivola sulla pietra; sentite lo scalpellino che sottrae la materia al
blocco. Guardatela, e ammirate la splendida diversità delle lettere.
Ecco: le lettere sono attaccate l’una all’altra, più o meno alla
stessa distanza. Non ci sono virgole, non ci sono punti, non ci sono
frasi, periodi, proposizioni.
Avvicinatevi ancora e vi accorgerete che a dividere le parole ci
sono dei puntini più o meno a metà altezza. Ma ripeto: non c’è
punteggiatura. Come facevano i Romani a scandire bene le parole,
le frasi per capirne bene il senso?
Come facevano a orientarsi?
Con la testa accesa, la mente connessa: con la logica, e grazie al
naturale appoggiare delle parole.
La verità, vi prego, su scrittura e lettura
Si scrive di più, questo è certo. Si scrive di più, tutti. Merito, per
molti discutibile, dei messaggi di testo che scandiscono le nostre
giornate. La comunicazione scritta è succinta, ma è continua,
continuamente differita, rimandata. C’è sempre la possibilità di
precisare.
Più scrittura vuol dire più consapevolezza. Quando si scrive si
affronta la difficoltà comunicativa, la necessità di sintesi e quella di
trovare le parole giuste, il tono più adatto (aiutati oramai dagli
indicatori di emozione, le emoticon, che servono a sinestetizzare il
messaggio).
Si scrive di più e si legge di più, sempre grazie ai device (gli
smartphone, i tablet e più in generale l’accesso alla rete). È una
lettura non particolarmente pregiata, chiaro, che sta erodendo
l’autorità della stampa periodica e l’idea stessa di editoria.
Se da un lato si registra un passo in avanti nelle competenze
linguistiche minime da parte dello strato meno alfabetizzato (gli
stessi individui che qualche anno fa non avrebbero letto né scritto
quotidianamente), dall’altro si attesta un impoverimento delle
letture negli strati medi e alti. La frammentata ma continua (spesso
convulsa) fruizione attraverso gli smartphone sottrae tempo alle
forme più tradizionali dell’informazione e dell’arricchimento
(lettura di libri, riviste eccetera).
Dal punto di vista della scrittura il miglioramento si riverbera sia
sulla capacità complessiva sia su aspetti più specifici come
l’ampiezza del lessico e la conoscenza dell’ortografia. La
situazione rimane però grave

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