Opinioni di un clown – Heinrich Böll

SINTESI DEL LIBRO:
Era già buio quando arrivai a Bonn.
Feci uno sforzo per non dare al mio arrivo quel ritmo di automaticità
che si é venuto a creare in cinque anni di continuo viaggiare:
scendere le scale della stazione, risalire altre scale, deporre la borsa
da viaggio, levare il biglietto dalla tasca del soprabito, consegnare il
biglietto, dirigersi verso l'edicola dei giornali, comperare le edizioni
della sera, uscire, far cenno a un tassì.
Per cinque anni quasi ogni giorno sono partito da qualche luogo e
sono arrivato in qualche luogo, la mattina ho disceso e salito scale di
stazioni, il pomeriggio ho disceso e risalito scale di stazioni, ho
chiamato un tassì, ho cercato la moneta nella tasca della giacca per
pagare la corsa, ho comperato giornali della sera alle edicole e, in un
angolo riposto del mio io, ho gustato la scioltezza perfettamente
studiata di questo automatismo Da quando Maria mi ha lasciato per
sposare Zpfner, quel cattolico, il ritmo é diventato ancor più
meccanico, senza perdere in scioltezza.
Per la distanza dalla stazione all'albergo, dall'albergo alla stazione,
c'é un'unità di misura: il tassametro.
A due marchi, tre marchi, quattro marchi dalla stazione.
Da quando Maria non c'é più, qualche volta ho perso il ritmo, ho
confuso l'albergo con la stazione, ho cercato nervosamente il
biglietto ferroviario davanti al portiere dell'albergo, oppure ho chiesto
all'impiegato che ritira i biglietti all'uscita della stazione il numero
della mia camera.
Qualcosa che si può chiamare destino, mi riportava alla mente il mio
mestiere e la mia situazione.
Sono un clown.
Definizione ufficiale: attore comico, non pago tasse per nessuna
Chiesa, ho ventisette anni e uno dei miei numeri si chiama "arrivo e
partenza": una (quasi troppo) lunga pantomima in cui lo spettatore
fino alla fine confonde arrivo e partenza.
Poich‚ questo numero lo ripasso sempre un'ultima volta, per lo più in
treno (consiste di oltre seicento entrate e uscite di cui naturalmente
devo ricordare la coreografia), non c'é da stupire che di tanto in tanto
resti vittima della mia stessa fantasia: così mi precipito in un albergo,
cerco con gli occhi gli orari delle partenze, riesco a trovarli, corro su
e giù per una scala per non perdere il treno, mentre non devo far
altro
che
andare nella mia camera e prepararmi alla
rappresentazione.
Per fortuna nella maggior parte degli alberghi mi conoscono; nello
spazio di cinque anni, il ritmo che si forma in questo modo ha minor
possibilità di variazioni di quanto si possa generalmente supporre, e
poi é il mio agente - che conosce le mie stranezze - a preoccuparsi
che le cose vadano relativamente lisce.
Quella che lui chiama "la sensibilità del temperamento artistico"
viene totalmente rispettata e un'"aura di benessere" mi avvolge
appena sono nella mia camera: fiori in un bel vaso; non appena ho
gettato via il cappotto e scaraventato in un angolo le scarpe (odio le
scarpe), una graziosa cameriera mi porta caffé e cognac, mi prepara
il
bagno che l'aggiunta di un ingrediente verde rende calmante e
profumato.
Nella vasca leggo i giornali - tutti giornali poco seri, un massimo di
sei, tre come minimo - e a voce non eccessivamente alta canto
esclusivamente motivi liturgici: corali, inni, sequenze che mi sono
rimaste nella memoria ancora dal tempo di scuola.
I
miei genitori, protestanti osservanti, ossequienti alla moda del
dopoguerra che voleva uno spirito conciliante fra le confessioni, mi
hanno mandato a una scuola cattolica.
Personalmente non sono religioso, non vado neppure in chiesa e mi
servo dei testi e delle melodie liturgiche per motivi terapeutici: mi
aiutano più di qualsiasi altra cosa a combattere i due mali da cui
sono afflitto per natura: malinconia e mal di testa.
Da quando Maria é passata ai cattolici (sebbene Maria sia lei stessa
cattolica, questa definizione mi appare appropriata), la violenza di
questi due mali é aumentata e persino il "Tantum ergo" o le litanie
lauretane - fino ad ora le mie favorite per combattere il mal di testa
non servono più a nulla, o quasi.
C'é una medicina di effetto momentaneo: l'alcol.
Ci sarebbe una guarigione duratura: Maria.
Maria mi ha lasciato.
Un clown che comincia a bere perde quota rapidamente, precipita
più in fretta di un operaio ubriaco che cada da un tetto.
Quando sono ubriaco, sulla scena eseguo senza precisione dei
movimenti che solo la precisione giustifica e cado nell'errore più
penoso che un clown possa fare: rido delle mie stesse trovate.
Un'umiliazione terribile.
Fintanto che sono sobrio, la paura che precede l'entrata in scena
continua ad aumentare fino al momento in cui esco sul palcoscenico
(per lo più mi dovevano buttar fuori) e quella che alcuni critici hanno
chiamato "quell'allegria critica e pensosa dietro alla quale si ode il
battito di un cuore"
non era altro che un gelo disperato che mi rendeva simile a una
marionetta.
Terribile poi il momento in cui il filo si spezzava e io ritornavo in me.
Probabilmente ci sono dei monaci che provano qualcosa di simile
nello stato di contemplazione Maria si portava sempre attorno molta
letteratura mistica e ricordo che in quelle pagine si trovavano spesso
le parole "vuoto" e "nulla".
Da tre settimane ero salito sul palcoscenico quasi sempre ubriaco e
carico di un'ingannevole fiducia in me stesso, e le conseguenze si
mostrarono ben presto, assai prima di quanto accada a uno scolaro
negligente che può farsi delle illusioni fino alla consegna delle
pagelle.
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