Ombre nella notte – Tess Gerritsen

SINTESI DEL LIBRO:
Non ho provato nemmeno un briciolo di apprensione quando ho
imboccato per la prima volta North Point Way, all’inizio di agosto, per
andare alla casa. Ho soltanto notato che la strada aveva bisogno di
manutenzione e l’asfalto era deformato dalle radici degli alberi. Al
telefono la titolare dell’agenzia immobiliare mi aveva spiegato che
Brodie’s Watch era stata costruita nella seconda metà dell’Ottocento,
che l’attuale proprietario la stava ristrutturando e che nelle prime
settimane sarei stata disturbata dai due falegnami incaricati di
riparare la torretta. D’altro canto, era proprio per quel motivo che una
casa con una vista mare ineguagliabile era in affitto a una cifra così
bassa.
«Lei ha chiamato al momento giusto» mi aveva detto. «L’inquilina
precedente è dovuta partire all’improvviso un paio di settimane fa,
prima della scadenza del contratto, e il proprietario non vuole che la
casa resti vuota tutta l’estate. Vorrebbe trovare qualcuno che gliela
tenga bene e spera in un’altra inquilina donna, perché le donne sono
più affidabili, secondo lui.»
La fortunata nuova inquilina sono io.
Sul sedile posteriore c’è Hannibal, il mio gatto, che miagola
perentorio chiedendo di essere tirato fuori dal trasportino in cui è
prigioniero da sei ore, da quando siamo partiti da Boston. Mi volto e
vedo che mi guarda furibondo da dietro le sbarre. È un grosso Maine
Coon dagli occhi verdi. «Ci siamo quasi» gli assicuro, anche se sto
cominciando a temere di aver sbagliato strada. L’asfalto è pieno di
crepe, deformato da radici e gelo invernale, e pini e abeti formano
una sorta di tunnel che diventa a mano a mano sempre più stretto.
La mia vecchia Subaru carica di bagagli e utensili da cucina arranca
faticosamente, ma non c’è spazio per fare inversione e non mi resta
che proseguire. Hannibal emette un nuovo miagolio allarmato, come
per dirmi: Fermati. Torna indietro prima che sia troppo tardi.
Intravedo qualche sprazzo di cielo grigio fra i rami, poi di colpo gli
alberi finiscono e appare un ampio pendio di granito chiazzato di
licheni. Un vecchio cartello mi conferma che sono arrivata al bivio
per Brodie’s Watch, ma la salita sterrata si perde nella nebbia fitta e
la casa non si vede. Proseguo. La ghiaia schizza sotto gli pneumatici
e la foschia vela il paesaggio, tra rocce e arbusti piegati dal vento,
ma sopra la mia testa sento i gabbiani strillare come una schiera di
fantasmi.
Tutto a un tratto mi trovo davanti alla casa.
Spengo il motore e resto un momento in macchina a osservarla.
Ora capisco perché dal fondo della salita non l’avevo vista. Essendo
di legno grigio, è perfettamente mimetizzata nella nebbia e anche da
vicino la torretta che la sormonta si distingue a malapena dalle
nuvole basse. Mi avevano detto che era grande, ma forse sono
arrivata nel posto sbagliato: la villa che ho davanti è molto più
imponente di come me l’aspettavo.
Scendo dall’auto e guardo la facciata di assi rese quasi argentee
dal tempo. Sulla veranda un dondolo oscilla cigolando come spinto
da una mano invisibile. Di sicuro la casa è piena di spifferi e ha un
impianto di riscaldamento obsoleto. Immagino già stanze umide e
odore di muffa. No, non era questo che intendevo quando mi sono
messa in cerca di un rifugio per l’estate. Speravo in un posto
tranquillo dove potermi nascondere e scrivere in pace.
Un posto dove guarire.
Invece mi sembra di essere entrata in territorio nemico, le finestre
mi guardano ostili. I gabbiani strillano più forte di prima esortandomi
a scappare finché sono in tempo. Indietreggio e sto per risalire in
macchina quando sento stridore di pneumatici sulla ghiaia. Una
Lexus grigio metallizzato si ferma dietro la mia Subaru. Scende una
donna bionda che mi viene incontro salutando con la mano. Avrà più
o meno la mia età, è carina, ben vestita, e sprizza sicurezza di sé
dalla testa ai piedi, dal blazer Brooks Brothers al sorriso
supercordiale.
«Lei è Ava, giusto?» dice porgendomi la mano. «Scusi il ritardo,
spero di non averla fatta aspettare troppo. Sono Donna Branca,
dell’agenzia immobiliare.»
Mentre ci stringiamo la mano cerco una scusa per tirarmi indietro.
Questa casa è troppo grande per me. Troppo isolata. Troppo sinistra.
«Che posto magnifico, eh?» esclama Donna indicando le rocce
granitiche. «Peccato che con questo tempo non si veda niente, ma
appena si sarà alzata la nebbia il panorama la lascerà senza fiato.»
«Mi dispiace, ma questa casa non è...»
La titolare dell’agenzia immobiliare ha le chiavi in mano e sta già
salendo i gradini della veranda. «È stata fortunata, sa? Subito dopo
di lei mi hanno chiamato altre due persone interessate alla casa.
Quest’estate a Tucker Cove c’è un’invasione di turisti in cerca di
case in affitto. Una follia. Invece di andare in Europa, quest’anno
sono voluti rimanere tutti vicino a casa.»
«Mi fa piacere che ci siano altre persone interessate, perché mi
sembra che per me sia troppo grande...»
«Et voilà! Casa dolce casa!»
Il portone si spalanca e vedo un parquet lucidissimo e una scala
con una magnifica balaustra di legno. Tutte le scuse che avevo sulla
punta della lingua svaniscono di colpo ed è come se una forza
inesorabile mi spingesse a varcare la soglia. Entro e ammiro il
lampadario di cristallo e i decori in gesso sul soffitto. Mi aspettavo
che la casa fosse fredda e umida, che puzzasse di chiuso e di muffa,
e invece sento odore di vernice fresca e cera per legno. E di mare.
«La ristrutturazione è quasi finita» dice Donna. «Gli operai stanno
ultimando i lavori sulla torretta e sulla terrazza, ma cercheranno di
non darle fastidio. E comunque vengono soltanto dal lunedì al
venerdì, quindi nel fine settimana sarà sola. Il proprietario ha
accettato di abbassare l’affitto per il disagio, ma è solo questione di
qualche settimana. Poi, per il resto dell’estate, avrà la villa tutta per
sé.» Vede che osservo ammirata la modanatura che incornicia le
pareti. «L’hanno ristrutturata bene, vero? Il nostro falegname, Ned, è
un maestro in queste cose. Conosce questa casa nei minimi
particolari. Venga, gliela mostro. Poiché si occupa di cucina,
potremmo cominciare da lì. È fa-vo-lo-sa.»
«Le ho parlato del mio progetto? Non mi sembrava di averle detto
che lavoro faccio.»
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