Nightwalker-Il Benandanti – A.J. Llewellyn

SINTESI DEL LIBRO:
Sabino de Bianci era esausto. Cambiò posizione sulla scomoda
seggiola di legno, mentre gli uomini dall’altra parte della stanza
sedevano in grandi sedie imbottite dietro l’enorme tavolo di quercia.
Si versarono dell’altro vino e presero fichi e uva dai grossi vassoi
posti davanti a loro.
Così lontani, eppure così vicini. Sabino non mangiava da…
S’impose mentalmente di non contare i giorni. Era troppo penoso.
Spesse candele bianche, poste in candelabri fissati alle pareti del
palazzo, diffondevano una luce tremolante. Dalla sua cella, appena
quella mattina, Sabino aveva assistito al rogo di sette martiri. Tutti
provenivano dal suo stesso distretto, il Friuli, nel lontano nord.
Gli inquisitori erano fin troppo… allegri, considerate le vite innocenti
che avevano stroncato quel giorno. Sì, quegli uomini, quelle donne e
quella ragazza così giovane non erano pagani. Non erano diavoli.
Tuttavia ciascuno aveva confessato di esserlo, sotto tortura. In
un’agonia mortale, qualunque essere umano sarebbe disposto a
confessare… di tutto.
Giunse una brezza da qualche parte, raddoppiando i brividi di
Sabino. Dal soffitto sgocciolava acqua, e quel suono monotono lo
stava quasi facendo impazzire. La nuova minaccia della tortura
rappresentava l’ultima pagliuzza.
“O confessi le tue… inclinazioni, oppure la tua tortura avrà inizio
all’alba,” disse il Grande Inquisitore. Le labbra dell’uomo erano
macchiate dal rosso del vino che aveva bevuto.
Sabino bramava poter ingoiare qualcosa di liquido. Gli mancava il
sapore del vino della sua famiglia.
Ebbe l’improvvisa intuizione che non avrebbe mai più rivisto casa
sua… né il suo vigneto.
Tortura. Era già brutto che mangiassero e bevessero in sua
presenza. Era una cosa insopportabile, dato che non gli erano state
concesse vivande per molti giorni, sin da quando era giunto
volontariamente dalla sua casa a Udine, capoluogo del distretto del
Friuli. Non che avesse avuto altra scelta, ma aveva pensato che
venire di sua sponte piuttosto che pungolato da una baionetta
sarebbe stata una dimostrazione di buona volontà.
Non aveva più la forza di lottare. Avrebbe potuto denunciare le sue
credenze, ma avrebbe comunque ricevuto una sentenza. Sarebbe
stato punito lo stesso. Ma sarebbe stato vergognoso negare la sua
verità. Fissò le candele che bruciavano. L’idea di morire sul rogo non
lo allettava particolarmente, ma ora sapeva che quegli uomini non si
sarebbero limitati a legarlo a una pira e ad appiccare il fuoco.
Avevano sempre voluto fare di lui un esempio. Lui non aveva mai
fatto altro che del bene. Era un guaritore. E invece quelli lo
chiamavano stregone.
Sabino de Bianci non era uno stregone. Era un Benandante, un
buon camminatore, che desiderava solo aiutare e guarire.
Naturalmente la Chiesa cattolica non comprendeva questo concetto.
Chiunque possedesse speciali… abilità veniva bollato come mago,
strega, o peggio…
Eretico.
Aveva contribuito a far nascere un bambino ancora avvolto nel
sacco amniotico. Sua madre non aveva mai negato che anche lui,
Sabino, fosse nato allo stesso modo. Di fatto, aveva conservato
quella membrana in una pergamena. Secondo la leggenda, tutti i
bambini nati ancora con la placenta addosso erano buoni
camminatori, Benandanti.
Sabino si rese conto che gli uomini lo fissavano, in attesa di una sua
replica.
“Che cosa rispondi?” chiese il Grande Inquisitore.
“Non posso confessare di essere ciò che non sono.” Sabino sapeva
che rifiutando il sentiero facile avrebbe permesso la libertà
dell’anziana madre. Di solito le famiglie dei perseguitati venivano
lasciate in pace, una volta che l’influenza del maligno era stata
rimossa dalle loro vite. Dopo che il sangue del martire era stato
versato e che l’isteria collettiva si era placata, i villici tendevano a
sentirsi dispiaciuti per le famiglie dei morti.
Com’era successo? Chi mi ha tradito? Ho sempre amato il prossimo
e mi sono fidato di quelli che mi erano vicini, ma qualcuno ha dato
inizio a tutto ciò. Loro non mi diranno mai chi…
I suoi pensieri corsero a…
No. Era mostruoso pensare che dietro quella faccenda potesse
esserci il suo ex amante, Ettore. Sabino rimase seduto, frastornato
per un momento. In cuor suo sapeva che l’impensabile era possibile.
Quando fosse rimasto solo poteva mandare la sua anima a vagare
per il mondo e trovare il suo amore perduto… soltanto così ne
avrebbe avuta la certezza. Avrebbe osato farlo?
Non aveva alcun desiderio di restare nel proprio corpo quando fosse
cominciata la tortura. Odiava il dolore. Ne aveva paura. Gli inquisitori
non avevano idea che amasse gli uomini. In tal caso la sua
punizione sarebbe stata peggiore, al di là di quello che avrebbe
confessato. Gli uomini che desideravano altri uomini venivano
sottoposti alla tortura più brutale e dolorosa di tutte, la Pera rettale.
Pochi tra coloro che la subivano sopravvivevano all’emorragia
interna, mentre quasi tutti morivano lentamente e fra dolori atroci.
“Non posso pentirmi,” disse Sabino, sorprendendo anche se stesso.
Alcuni uomini confessavano i propri ‘peccati’ alla sola menzione
della tortura. Si domandò quale metodo avrebbero usato. Sperava
che non scegliessero la sega. Aveva sentito che anche quel sistema
era orribile.
“Portatelo via, mi rovina il pasto,” disse il Grande Inquisitore.
Accanto a lui don Bartolomeo Sgabarizza, il sacerdote giunto dalla
città natale di Sabino e che aveva insistito per istituire il processo
contro di lui, fece un gran sorriso.
Sabino si sentì attraversare da un brivido di terrore quando il
sacerdote proclamò: “Non ci serve una confessione. Abbiamo la
dichiarazione giurata di una persona che ti conosce bene.”
In quel momento Sabino capì di chi si trattava. L’immagine dell’uomo
gli fluttuò alla mente.
Mio padre.
“Sei fortemente sospettato di eresia,” aggiunse il sacerdote.
Era la dichiarazione tipica. Sabino continuò a tacere mentre di nuovo
gli uomini lo informavano che la sua tortura avrebbe avuto inizio alle
prime luci dell’alba.
Due guardie lo condussero via. Sabino attese di essere tornato nella
sua cella prima di vomitare. Era talmente a corto di sostanze
nutritive che rimise solo bile.
I
conati proseguirono. Alla fine, si accasciò contro la parete,
passandosi una mano tremante sulla bocca.
“Ti hanno condannato.”
Strizzando gli occhi nell’oscurità, Sabino vide un uomo anziano che
lo osservava. L’uomo si alzò in piedi e guardò fuori dalla finestra
munita di sbarre.
“Se puoi uscire stanotte, se davvero la tua anima è in grado di
viaggiare, vai adesso… Sconfiggi la gravità. Vola via.”
“Non posso.”
Sabino stava infine cedendo al dolore e all’autocommiserazione.
Non aveva fatto niente per meritare un simile destino, ma la lunga e
sanguinosa scia di sacrifici umani era iniziata prima di lui e sarebbe
continuata ben oltre la sua scomparsa.
L’anziano gli si avvicinò. “Ascolta: io ti credo. Credo nelle tue
capacità. La scienza può spiegare molte cose, ma solo Dio può
sondare i pensieri degli stolti. Tua madre, temendo il peggio, ha
portato qualcosa per te.”
“Come ha fatto ad arrivare a voi?” Sabino era sinceramente
perplesso. Non gli era consentito ricevere visite e aveva trascorso le
ultime tre sere a conversare di scienza con il celebre erudito e
astronomo.
Galileo strizzò l’occhio. “Mi ha portato del cibo.” Arrossì con aria
colpevole. “So che a te non permettono di mangiare. Ha nascosto
questa sotto il pesce.”
E gli passò un pezzo di pergamena, vecchio e incartapecorito, intriso
dell’odore del pesce. Al tatto, Sabino capì subito che conteneva la
sua placenta.
Il vecchio sorrise. “Avevo ragione…” mormorò. “Ci sono cose che
ancora non sappiamo…” Si passò una mano sul mento, con aria
meditabonda, le dita che lisciavano la barba rada.
“E voi, Galileo?” domandò Sabino.
“Io sono un uomo anziano.”
“Siete il più grande scienziato che sia mai vissuto. Vi hanno
accusato di eresia per aver detto la verità.”
“Sono… solamente uomini. Per favore, vuoi andartene?”
“Temo per voi, amico mio.
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