L’insofferenza di Giobbe – Mita Fumagatti

SINTESI DEL LIBRO:
La luce radente del mattino era abbastanza clemente da non far
luccicare lo strato di polvere sulla libreria nera oppure, più
semplicemente, era difficile scorgere i ripiani neri del mobile,
sommersi da un eccesso di libri, quaderni, ninnoli e “ricordi”
ammassati senza cura. Marilena si era svegliata da poco, poltriva
indifferente sul letto quando squillò il telefono e la voce di Riccardo
le arrivò come una secchiata di acqua fredda in faccia.
« Pronto, Marilena?»
«Ciao, Riccardo! Come va?»
«Mi sa che ho bisogno di te»
«E io ci sono, arrivo!».
Dopo la telefonata stette ancora per un poco seduta sul letto, col
telefono tra le mani, fissando, seria, la parete di fronte, con tutti quei
libri rinnegati, finché non si levò in piedi con un gran balzo e urlò :
«Roy! Abbiamo un nuovo incarico!».
La voce era squillante e Roy, il grosso labrador, si fece attento,
sollevò la testa bionda dal cuscino e prese a scodinzolare a ritmo
sostenuto. Marilena doveva ancora pranzare, prepararsi, vestirsi e
improvvisamente non aveva più tanto tempo da perdere in
fantasticherie: sarebbe andata da Riccardo nell'immediato dopo
pranzo. Dopo la doccia, si diresse, scalza, in cucina, per mangiare
un toast. Camminava per casa ondeggiando, senza un vero scopo,
quasi danzando. La luce del giorno filtrava promettente tra le
persiane, disegnando rettangoli chiari brillanti sul pavimento che
invitavano a saltellare come nei giochi per bambini. Aprì la finestra e
gli scuri per illuminare tutto il soggiorno. L'aria era piuttosto fresca,
l'autunno si stava ormai introducendo in tutti gli angoli della città,
vivace e volenteroso: aveva già colorato tutte le foglie, ammorbidito i
contorni dei paesaggi e avrebbe dovuto portare soltanto ancora un
po' di venticello frizzante per completare la sua presentazione. Finito
di mangiare, iniziò a truccarsi, vestirsi e fare tutte quelle cose che
normalmente Marilena faceva con un certa rapidità per poi perdere
tempo a guardarsi allo specchio, per piccoli ritocchi, come avrebbe
fatto un pittore rimirando il suo quadro. O per lo meno agiva così
quando era contenta. Raccolse i lunghi capelli rossi in un morbida
treccia, una riga di eye-liner e sarebbe stata pronta per uscire poiché
la vera gioia non aveva bisogno di orpelli. Dopo aver risolto il caso
della setta, Marilena aveva raggiunto una discreta popolarità che le
aveva offerto una modesta possibilità di guadagno, impartendo
lezioni sulle sette, fornendo consulenze e rilasciando interviste. Si
sentiva in forma, fiduciosa, e le piaceva essere coinvolta in tante
attività e apprezzata. Niente però riusciva ad appassionarla come il
lavoro sul campo, a fianco del procuratore Riccardo Castori. Inutile
dirlo, quella telefonata la mise notevolmente di buonumore e iniziò a
valutare, guardando l'armadio, quale vestito indossare. Pensò a
Castori, probabilmente sempre vestito con il suo abito grigio scuro e
pettinato con il suo vezzoso ciuffo nero, che teneva graziosamente
arricciato e impomatato sulla fronte: unico particolare inconsueto in
una persona che altrimenti si sarebbe confusa perfettamente
nell'anonimato degli impiegati pubblici. Era da un po' di tempo che
non lo vedeva e le faceva piacere incontrarlo. Grazie all'indagine
precedente, aveva imparato ad apprezzarlo, nonostante i suoi modi
schivi e burberi. Lei invece riteneva di assomigliare a una
scombinata vagabonda o forse più a una strega, così almeno si
raffigurava quelle antiche fanciulle dedite all'erboristeria e a ballare
nude al chiarore della luna. Non era stato semplice capirsi ma alla
fine avevano trovato un buon equilibrio. Salutò il suo grosso
labrador, Roy, che la guardò, deluso per la mancata passeggiata,
mentre andava a rannicchiarsi sul divano col suo passo da orso
brontolone.
D'altra parte, anche a Castori mancava la presenza di Marilena.
Ormai avevano costituito un'ottima squadra. Essendo un uomo
riservato e poco propenso alle comuni pratiche di socializzazione
aveva escogitato un piccolo stratagemma per rivedere la criminologa
e quindi passò la mattinata a cercare di placare inutilmente la sua
ansia ed espiare i sensi di colpa, compilando infinite e inutili pratiche
d'ufficio. Forse Marilena se ne sarebbe accorta ma Riccardo riteneva
che la sua consulente si sarebbe certamente buttata a capofitto
nell'impresa senza troppi preliminari e domande.
Marilena si recò, così, nel primo pomeriggio, da Castori che le indicò
velocemente la sedia; la criminologa notò appena che, a Riccardo,
pur sempre rigido, squadrato e composto, era sfuggito un
impercettibile sorriso giocoso. Siccome Marilena non stava più nella
pelle per il nuovo caso, iniziò a fare domande senza tanti preamboli:
«Allora c'è un cadavere?»
«Non proprio»
«Una denuncia di scomparsa!»
«Nemmeno. Abbiamo questa»
Riccardo le mostrò un foglio con su stampato:
“Aiutatemi! Se non mi fermate, io punirò gli empi che mi
perseguitano, li ucciderò tutti! Quegli ipocriti e falsi impostori! Non ne
posso più! E sarà colpa vostra.”
Marilena guardò la lettera con ambivalente interesse perché, se da
una parte qualcosa la rendeva inquieta per il disperato grido di aiuto,
dall'altra non c'era nulla di tangibile per avviare un'indagine:
«Riccardo, però, cosa c'è di concreto? Non è possibile pensare ad
uno scherzo o a un mitomane? Riceverete altre lettere così,
probabilmente, a chi era indirizzata?»
«C'è un'altra cosa. La lettera è stata spedita in maniera anonima alle
“autorità competenti” e c'era dentro una chiave. Dopo un po' ci viene
recapitato in procura un bauletto con lucchetto. Ovviamente subito
abbiamo pensato a un attentato e ci siamo spaventati parecchio. Poi
abbiamo aperto con la chiave il lucchetto e abbiamo trovato questo»
Castori le mostrò una specie di diario, scritto a mano, che Marilena
iniziò subito a sfogliare. La prima pagina conteneva una sorta di
prefazione dell'autore:
Ciao a te, lettore, questo è il mio diario. Voglio condividere con te ciò
che mi sta succedendo e non mi giudicare se prima non avrai
camminato per tre lune con le mie scarpe. G.
Marilena non capiva. Ovviamente la cosa si faceva più seria per
l'impegno del mittente nel far arrivare il criptico messaggio. Il
mittente cercava attenzione e aveva un obbiettivo. Ma decisamente
troppo vago. Riccardo disse:
«L'ho letto velocemente, non ci sono né dati né informazioni utili ma
è abbastanza angosciante. Ho pensato che forse tu avresti potuto
capire meglio, magari almeno valutare la personalità del soggetto»
«Va bene, tanto non avevo niente da leggere, stasera. Ti farò
sapere»
«Certo, non esitare a contattarmi anche se le tue intuizioni non
avessero prove oggettive. Voglio sapere tutto. Se fosse un serial
killer che annuncia l'inizio della sua attività? Devo capirci qualcosa»
«Non è facile, sembra che voglia essere fermato o catturato ma
vuole spiegare le sue ragioni. Però non ha senso, avrebbe potuto
spiegarcele al momento della cattura, l'avremmo ascoltato con
interesse. In genere fanno così».
«Magari non agisce in maniera logica»
«Ma c'è sempre una logica. Anche nell'essere in conflitto con se
stessi. Forse vuole più che altro denunciare cosa sta subendo e, per
attirare la nostra attenzione, sta minacciando una tragedia che non
vuole realmente compiere. In genere i serial killer rivendicano
omicidi non mere intenzioni. Al limite, annunciano attentati o altri
crimini, con orgoglio e trionfo, ma si tratat dia ltri contesti, qui
abbiamo qualcuno che vuole essere assolto, come se si sentisse in
colpa. Perché poi non spedire tutto insieme? E perché quella pagina
stampata e non scritta a mano come il diario? Ma mi colpisce
soprattutto il tenore decisamente diverso. I termini minacciosi con cui
il primo mittente annuncia una punizione degli empi, e l'autore del
diario che cita un proverbio indiano per chiedere comprensione
potrebbero essere persone distinte. Ci hai pensato?. Non sono
ancora convinta che non sia uno scherzo, ma allo stesso tempo mi
turba»
«E' per questo che ho pensato a te. Seguirai i suoi ragionamenti
ovunque portino per scoprire la verità. Però, questa volta, evita di
rischiare in prima persona, ti ho chiesto solo di leggere e riferire.
Ok?»
«Va bene, allora inizio subito, giusto il tempo di andare a casa» e
non mentiva. Marilena sentiva ribollire la sua curiosità e si sarebbe
ossessionata fino a che non avesse trovato la soluzione. Aveva
talmente fretta di entrare in quel nuovo incubo che, mentre
assicurava verbalmente il suo impegno, si infilò la giacca e prese in
mano le chiavi della macchina. Castori non la fermò ma, vedendola
già in piedi, le disse:
«Di là c'è Ponti, magari ti fa piacere salutarlo»
«Non credo proprio. A prestissimo!».
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